Qualcuno userebbe la parola fallimento, qualcuno vergogna, altri invece proverebbero a capire, con distacco, come mai la Nazionale sia diventata la brutta copia di quella vista agli Europei.
Guardando attentamente alcuni dati, sarebbe riduttivo pensare che la “crisi” prenda in considerazione solo i mondiali in Russia e quello di dicembre in Qatar. Ma, deve abbracciare anche gli ultimi a cui abbiamo partecipato, ovvero quelli del 2010 e del 2014.
In quegli anni, pur essendoci qualificati, nel primo lo facemmo da campioni in carica, i risultati non furono dei migliori e venimmo eliminati già nella prima fase.
Quindi, in realtà, se vogliamo essere onesti noi manchiamo dalla competizione iridata dal 2006. Praticamente quando vincemmo la coppa del Mondo in casa della Germania e la nostra Nazionale era piena di campioni.
Abbiamo cambiato allenatori, abbiamo sostituito dirigenti, avevamo una squadra che, nel 2006, pur non da favorita, vinse bene, regalando tante soddisfazioni ai tifosi italiani. Senza togliere niente al trionfo europeo dello scorso anno, e dopo ne parleremo, in quel gruppo c’erano tanti campioni che, se giocassero ora, avrebbero centrato la qualificazione molto prima.
Il 2006 fu il punto più alto del nostro calcio a livello di Nazionale; il 2010 fu il punto più alto a livello di club, successivamente abbiamo arrancato.

Tornando alla Nazionale, procediamo con la macchina del tempo fino al 2010 dove iniziano i nostri “problemi”. In un modesto girone con Paraguay, Nuova Zelanda e Slovacchia riuscimmo ad arrivare ultimi, pareggiando con le prime due e perdendo l’ultima con la Slovacchia. Fu il saluto definitivo di Marcello Lippi alla guida della Nazionale, quel Lippi che era ritornato da campione in carica dopo la parentesi europea di Roberto Donadoni.
Fu una delusione, ma non fu certamente l’ultima.
Arriviamo al 2014, ultimo anno di partecipazione al Mondiale. Ma anche qui la fase a gironi fu fatale. Partimmo bene, vincendo la prima contro gli inglesi ma, successivamente, la sconfitta contro il Costa Rica e l’Uruguay costarono una precoce eliminazione alla squadra allenata da Prandelli. Insieme agli Inglesi (arrivati ultimi) salutammo come quattro anni prima, senza sapere che quella sarebbe stato fino ai giorni nostri, la nostra ultima partecipazione.
Non fummo eliminati da squadroni ma, con tutto il rispetto, da formazioni alla nostra portata, dove noi eravamo superiori sul piano tecnico.
Il cammino nel girone da campioni del mondo è stato penoso, in quello successivo ci siamo incasinati la vita da soli.
Dopo sono arrivate le due non qualificazioni. Quella del 2018 e quella di ieri, che non sono altro la conseguenza del 2010 e del 2014.
Nel 2018 noi giocammo i play off perché nel girone c’era la Spagna, che era più forte di noi ed il regolamento prevedeva che sarebbe passata solo la prima del girone, mentre la seconda avrebbe partecipato ai play off. Ci toccò la Svezia e pensavamo di potercela fare, ma assistemmo a due partite noiose e l’Italia venne eliminata con un altro allenatore (Ventura) ed un altro presidente di federazione.
Allenatore e dirigente cambiarono dopo che quell’Italia non si qualificò.
Mancini è stato capace di ricostruire la Nazionale, o così sembrava, gli ha ridato dignità nei risultati, arrivando ad essere imbattuta per numerose gare e qualificandoci con un percorso netto per gli Europei 2020 (rassegna disputata l’anno successivo per via del Covid). Non avevamo un percorso complicato e l’Italia fece L’Italia.
Con l’unità e col gioco riuscirono a riaccendere la passione dei tifosi, i risultati conseguiti erano motivo di speranza per il futuro. C’era voglia di fare e ripartire, e quando hai voglia di fare e c’è equilibro le cose sicuramente migliorano e peggio di prima non puoi fare.
Tanto è vero che, da non favoriti, riusciamo a portare a casa l’Europeo e crediamo che da quel momento la strada sia tutta in discesa, dimenticandoci da dove eravamo dovuti ripartire.

Noi nelle difficoltà diamo il meglio, siamo un popolo meraviglioso soprattutto nello sport. Le ultime vittorie della Nazionale, infatti, sono figlie di situazioni particolari. Se nel 1982 il silenzio stampa imposto da Bearzot aveva compattata il gruppo e portato alla serata eroica di Madrid contro la Germania; la stessa cosa avvenne nel 2006. Calciopoli stava per abbattersi nel nostro campionato, ma Lippi e la squadra andarono spediti verso il traguardo finale. Spostando l’attenzione dalle polemiche e dai veleni e mettendo al centro la squadra e il sogno di fare bene in Germania.
L’Europeo, invece, era figlio di una disgrazia chiamata Covid, cambiando la vita di tutti noi, cancellandone alcune e modificandone altre.
Noi siamo riusciti a tirare fuori il meglio perché siamo bravissimi, siamo un popolo capace di rialzarsi e fare gruppo.
Però siamo anche un popolo che non impara mai dai propri errori e, dopo esserci rialzati, ci risediamo. Siamo abituati male! Quando gli eventi si ripetono ripartiamo con la retorica, dimenticando che ci ritroviamo sempre al punto di partenza. E questo vale sia nello sport che nella vita di tutti i giorni.
L’eliminazione ad opera della Macedonia non è altro che rivivere le stesse situazioni degli anni precedenti, senza aver fatto nulla per evitarlo.
Siamo tornati indietro e scopriamo oggi che i problemi non sono mai stati risolti, sono stati solo attenuati anche grazie alla vittoria dell’Europeo, nascondendoli come la polvere sotto il tappetto.
Se non avessimo vinto lo scorso anno probabilmente non avremmo fatto finta di dimenticarcene. Una vittoria meritata sì, frutto dell’unione, della compattezza, del gioco, ma anche degli errori di chi era più forte di noi. In più la fortuna era dalla nostra parte Insomma c’erano tutti gli ingredienti per fare bene.
Dopo quell’Europeo sono venuti a mancare alcuni di questi e sono riemerse le problematiche che non erano stata risolte, ma erano latenti. Pronte a manifestarsi alla prima occasione utile.

Ci siamo di nuovo persi, siamo tornati nei ranghi. Uno dei nostri problemi è stato il non avere attaccanti convocabili, che potessero fare la differenza. Ma se guardiamo con attenzione nei nostri club le scelte nostre non si distaccherebbero da quelle di Mancini. I nostri club, quelli che lottano per vincere, non hanno punte centrali italiane. Il Milan ha Giroud ed Ibra, la Juve ha Vlahovic, L’Inter ha Dzeko e Lautaro, il Napoli ha Osimenh. Devo arrivare a Lazio, Sassuolo e Torino se voglio prendere un attaccante italiano. E questo a noi fa comodo. Siamo i primi che speriamo di acquistare quel giocatore rispetto ad un altro. Nel Milan, se chiedi alla maggioranza dei tifosi, scelgono Origi e non Scamacca. Tutti sogniamo di avere un Mbappé o un Haaland.

Un altro problema è la mancanza di giocatori che prima facevano la differenza e che erano al centro dell’attenzione internazionale. Infatti, dove sono i Vieri, i Paolo Rossi, i Del Piero, i Totti, (e mi fermo a questi) di turno. Io non li vedo.
Abbiamo dei giovani interessanti, in cui possiamo credere, a cui manca l’esperienza internazionale, che vanno difesi ai primi errori. Abbiamo i Barella (anche se la prestazione di ieri è figlia della condizione fisica) i Tonali, i Chiesa, che sono la base del prossimo futuro. Abbiamo un portiere che sta pagando le scelte fatte a livello personale e ogni occasione è buona per andargli addosso.
Insomma abbiamo un gruppo da cui ripartire ma non basta perché non vogliamo inoltrarci nella palude dei settori giovanili.
La diminuzione del numero dei giocatori italiani al loro interno è una condizione che non aiuta. C’è una percentuale alta, troppa, di investimenti verso calciatori stranieri ed un tetto andrebbe messo.

Stamattina, parlando con un mio amico mi diceva una cosa giusta. Se prendi un giovane, non italiano, devi avere il coraggio di metterlo in prima squadra e non nel settore giovanile, perché altrimenti toglie la possibilità di formare ed investire su giocatori del nostro territorio.
Occorre tornare a fare scouting, cercando nella nostra penisola, scovando quei prospetti da far crescere per il futuro. Serve investire dalla scuola calcio in poi in Educatori Sportivi preparati e in costante aggiornamento.
Se non si parte dalla base e si “cura il malato”, corriamo il rischio di rimanere in questa situazione per molto tempo e, alla fine, torneremo a chiederci sempre come mai ci siamo ritrovati in questa situazione.