Carlo, anzi Carletto, è più di un allenatore. Chi ha avuto la fortuna di essere allenato da lui ha sempre speso parole al miele, soprattutto per l’uomo Ancelotti. Capace di entrare subito in sintonia con i suoi giocatori, negli anni, ha sempre lasciato un’impronta importante nei club dove ha avuto modo di lavorare, portando la sua gentilezza e la sua competenza calcistica.
Nonostante i numerosi trofei vinti, che lo hanno portato ad essere uno degli allenatori più titolati al mondo, negli ultimi anni qualcuno ci ha raccontato di un Ancelotti che aveva intrapreso una strada diversa. Ma si erano dimenticati che il dio del pallone ha a cuore chi ha reso grande questo sport, dando sempre un’occasione insperata.
Madrid forse lo è stata. Nella ricerca di un tecnico capace di riportare i “Blancos” alla vittoria, tanti nomi erano stati fatti. Si narra anche di un no da parte di Allegri che ci avrebbe portato a raccontare una storia diversa da quella che abbiamo vissuto in Italia e in Spagna, ma alla fine la scelta è ricaduta sul Carletto Nazionale. L’uomo della decima, che preferisce la coppa ma non disdegna portare a casa campionati o altri trofei sportivi.
Il suo palmares di tutto rispetto mette in evidenza come sia stato Re in quattro dei cinque campionati top a livello europeo.
Le vittorie in Italia (Milan), Inghilterra (Chelsea), Francia (Psg), Germania (Bayern) sono gemme incastonate nella storia del calcio. Mancava solo la Liga per essere il primo tecnico a vincere nei cinque campionati, e se in passato l’occasione non è stata colta al volo, ma altri trofei importanti sono stati conquistati e conservati al Museo del Real, stavolta andava sfruttata al meglio.
E così è stato!
Dopo le parentesi al Napoli e all’Everton, Real diventa il porto sicuro per rilanciare le ambizioni di un tecnico che si vede ancora sul campo a lavorare quotidianamente con i suoi ragazzi, che conosce bene l’ambiente e sa gestire la pressione che una tifoseria vincente e un club famoso sanno trasmettere.

Ma Carlo, anzi Re Carlo come affettuosamente lo descriviamo, non sa solo gestirla ma anche trasformarla. Sa che stemperare le tensioni gli riesce benissimo perché per i suoi giocatori è visto come un buon padre di famiglia, presente e protettivo, autorevole e capace di creare le condizioni necessarie per isolare l’ambiente dall’esterno.
Di conseguenza, vince la Liga con netto anticipo e regala la trentacinquesima vittoria nel campionato spagnola alla casa Real. Vince passeggiando, in un campionato scritto apposta per consegnarlo alla storia e restituirgli la giusta considerazione che merita. Non era bollito ma aveva bisogno dell’ambiente giusto, di quella scintilla che gli avrebbe permesso di lavorare secondo i suoi canoni. E alla fine il lavoro ha ripagato.
Ma il capolavoro artistico “del nostro” lo si evince non solo da come ha conquistato il campionato spagnolo, ma anche dal suo cammino europeo in Champions.
Alzi la mano chi, ad inizio stagione, avrebbe puntato una pesetas, pardon un euro, sul Real finalista? Forse solo il più esagerato degli ottimisti. Per molti era una squadra a fine corsa, con un ricambio che sarebbe dovuto avvenire anche grazie al lavoro del Mister, e che sarebbe stata eliminata appena avrebbe trovato un club più forte.
Previsioni che sono naufragate piano piano, perché questo Real è stato capace non solo di vincere ma anche di risorgere (sportivamente parlando) ogni qualvolta la partita era indirizzata verso un’eliminazione certa.
Lo ha fatto anche con un pizzico di fortuna, ma soprattutto grazie ai suoi campioni e al carisma dell’allenatore, che ci hanno creduto fino alla fine. Da un girone dove ha conquistato cinque vittorie ed un’unica sconfitta (contro lo Sheriff) si è passati alla fase ad eliminazione diretta dove già dagli ottavi si recitava il de profundis vista la presunta sfortuna nell’incontrare quel Paris st Germain, una delle favorite alla vittoria finale.
La squadra parigina aveva puntato molto sulla Champions e quale occasione migliore era provare ad eliminare quel Real che aveva dalla sua parte la storia ma non veniva considerato forte come in passato.
Invece, la storia ha sempre un peso anche nei momenti di difficoltà e soprattutto se ti chiami Real e hai uno stadio, ed una tifoseria, che possono trasformare la partita in corso.
Nonostante la sconfitta al Parco dei Principi, il ritorno ha consacrato il Madrid come vincitore e rimandato a casa una squadra che anche quest’anno ha speso tanto, ma ha vinto solo in Ligue 1.
Nel complesso la storia ha vinto per 3 a 2.
Ai quarti è toccato il Chelsea campione in carica. In questo caso la partita era più aperta. All’andata il Real sbanca lo Stamford Bridge con un secco 3 a 1 che sembra ipotecare il passaggio al turno; ma al ritorno soffre perché gli inglesi giocano una partita quasi perfetta, vincono 3 a 2 ma non basta per passare il turno.
Ci pensa come suo solito Benzema, già contro il Psg aveva dato lustro delle sua forza in zona gol, e anche stavolta non è da meno segnando il gol decisivo e portando la squadra a qualificarsi per le semifinali, dove avrebbe incontrato un’altra squadra inglese (il Manchester City).
Stavolta la bilancia pendeva dalla parte degli Inglesi e la sfida era quella tra due allenatori vincenti e preparati come Guardiola e Ancelotti. Una sfida che si sarebbe giocata sui particolari, e quest’ultimi sono quelli che alla fine fanno la differenza.
A Manchester il Real ha dovuto sempre inseguire e rimettersi in corsa per non compromettere la qualificazione già all’andata. Undici minuti ed era già sotto di due gol a zero, ma la calma olimpica di Carletto è la stessa di quella dei suoi giocatori che pian piano hanno ribattuto colpo su colpo.
Alla fine è stato un pirotecnico 4 a 3 per il City che lasciava tutto in sospeso e che dava al Real quella convinzione che, giocando al Santiago Bernabeu, i miracoli possono accadere.

Ieri, un miracolo sportivo lo abbiamo visto e goduto in ogni attimo. Se il gol del Manchester dopo il settantesimo avrebbe piegato chiunque non si può dire la stessa cosa per questo Madrid che gioca, sbanda, ma poi ritrova risorse indefinite.
La doppietta di Rodrygo, quando tutto era compiuto, allunga la partita e chiarisce ancora maggiormente che Carletto e la sua banda non hanno intenzione di abbandonare la competizione.
Infatti si giocano tre partite. Quella in campo dove i giocatori danno il tutto per tutto; quella sugli spalti dove il pubblico non ha mai smesso di sostenere la squadra, anche quando si è ritrovata sull’orlo dell’eliminazione; quella in panchina dove allenatore, staff e coloro che non giocavano erano in piena trans agonistica, consci che qualcosa di grande stava per accadere.
Infatti i supplementari, sempre grazie a “Karim The dream”, regalano il 3 a 1 al Real e Carletto diventa il primo allenatore a giocare una finale di Champions per la quinta volta (2003-2005-2007 con il Milan, 2014-2022 con il Real).
Storia!
Cinque finali come la vittoria nei cinque campionati top per un allenatore che è amato come non mai, e che ieri si è commosso abbracciando il figlio, consapevole dell’importanza di quello che era stato fatto, al di là delle critiche, esagerate. ricevute negli ultimi anni.
Ma Carletto ha sempre risposto sul campo. Ha sempre preferito far parlare quest’ultimo per zittire i pochi.
In Italia saranno invece tanti a sostenerlo nella finale di Parigi contro il Liverpool, nella speranza che anche stavolta la corona di Re di Champions possa posarsi sulla sua testa.

Ho visto un Re! Ha la faccia rassicurante di un uomo che continua a regalare a me, e a chi ama questo sport, emozioni indescrivibili che conserviamo gelosamente.
Grazie Carlo!