Della partita di ieri non mi preoccupa il risultato. Aver perso 2 a 0 o 4 a 0 non fa molta differenza. Soprattutto se il filo conduttore delle due sconfitte è l’assenza di vitalità del Milan. Quello che mi preoccupa maggiormente è la mancanza di reazione da partita a partita, senza un minimo accenno di risposte da parte della squadra, allenatore e società.

Non guardo quindi i dodici punti di distacco dal Napoli, dopo un girone di andata, e la consegna “teorica” di uno scudetto che solo la squadra di Spalletti può perdere. E non voglio pensare nemmeno alla zona Champions, che in questo momento vede numerose squadre coinvolte per tre posti, con il rischio di finire fuori. Qualche mese fa ipotesi remota ed ora spauracchio da evitare.

Voglio solo concentrarmi sul mondo Milan, fermatosi dopo il pari con la Roma, e la caterva di errori che, nel giro di poco tempo, hanno investito i rossoneri in questo mese di gennaio.

Ho sempre visto, nel bene e nel male, il Milan attento alla comunicazione con i suoi tifosi. Ieri, a fine gara, Maldini e lo stesso Pioli mi hanno dato l’impressione che avrebbero voluto evitare di parlare ai microfoni, e comunque non hanno detto niente di diverso da quello che ci si aspettava. Non c’era niente di nuovo da dire se non mettere in evidenza che la squadra non gioca secondo canoni conosciuti e di essere lontanissima da quello che serve per essere squadra. Sembrano tornati i tempi in cui non si riusciva a tirare in porta, ad essere pericolosi nell’area avversaria. Si è perso quel tocco magico, Pioli lo chiama spirito Milan, che aveva portato a vincere e convincere.

Cercare il responsabile di questa situazione poco importa. È un’impresa ardua e forse ingiusta. Serve solo a togliere lo sguardo dai problemi reali, concentrandosi solo su una problematica e tralasciando le altre. Anche perché non esiste un unico “colpevole”, ma c’è una correlazione di responsabilità che vanno ricercate sia sulla società, sull’allenatore e sui giocatori.

Visto che nessuno è esente, tutti insieme devono trovare le soluzioni affinché questa stagione non diventi tragica.

Da un lato ha ragione Maldini quando parla di parametri di questo Milan nel quale si ritrova. Ma solo gli stessi parametri che dicono che a fine gennaio, e nel giro di poco tempo, ti sei trovato fuori dalla Coppa Italia, sconfitto in Supercoppa Italiana e fuori dalla lotta scudetto. Ovvero lontano dalla possibilità di vincere qualcosa. A livello societario, arrivare secondo o comunque in Champions rientra nei loro parametri, anche alla luce di quelle che sono le possibilità del momento, senza dimenticare cosa è il Milan attualmente.

E lo stesso Maldini ce lo ricorda nel caso fossimo distratti!

Però i parametri non ci parlano della metamorfosi di questa squadra. Capace di trasformare il difficile in possibile ed ora involuta nel gioco e nelle idee. Da bellissima carrozza è diventata una zucca senza che nessuno potesse immaginarlo. Forse, coloro che ad inizio anno la escludevano dalla lotta scudetto erano gli unici ad avanzare dei dubbi in proposito ed ora si prendono delle piccole rivincite dialettiche, puntando il dito sul gruppo, ritenendolo incompleto o sopravalutato.

Mi trovo d’accordo sul fatto che possa mancare qualcosa. Se ci riferiamo ai giocatori che possano accrescere il valore tecnico spetta alla dirigenza, e gli investimenti estivi non hanno portato valore aggiunto alla rosa; se parliamo di campo spetta all’allenatore. In questa fase, dal punto di vista tattico, il Milan non riesce a sostenere il 4-2-3-1, dove ci deve essere equilibrio e, venendo a mancare, mette in difficoltà il reparto difensivo.

Quella sicurezza che viene a mancare sia per l’assenza di Maignan; sia per la condizione fisica di coloro che l’avevano resa granitica e impenetrabile. Punto di forza per la conquista del diciannovesimo scudetto. Ora, tra campionato e Supercoppa, in questo mese di gennaio, ha subito 12 reti e non ha mai dato l’impressione di poter rimanere imbattuta.

Al di là dei problemi difensivi, una cosa che non va tralasciata è stata anche la difficoltà nel creare occasioni da poter concretizzare per vincere la partita.

Se Tatarusanu è finito al centro delle discussioni per via dei numerosi gol subiti, anche il reparto offensivo necessita di un’attenta analisi per la sterilità incontrata e per il forte individualismo nelle scelte finali. Tutto questo porta a fare la giocata sbagliata nel momento sbagliato.

Il Milan era altro. Questo non è Milan. Era capace di esibire un gioco corale che permetteva di superare le difficoltà. Dove non c’erano solisti ma tutto era in funzione della squadra. Con giocate semplici e con lo spirito giusto vedevi la voglia di stare in campo, di stare bene assieme. Se guardiamo le facce dei giocatori sembrano aver perso quel sorriso rispetto a qualche mese fa, quel sorriso che rendeva tutto più facile e che contagiava tutto l’ambiente circostante.

Sembra sia passato tanto tempo ed invece è passato pochissimo. Con un mondiale di mezzo, che ha diviso la stagione in due parti, e che può aver portato a valutazioni errate sia nella preparazione che nell’approccio alla ripartenza.

Qualcuno ha mostrato scorie mondiali, altri non sono in condizione pur non avendo partecipato, altri stanno giocando sotto i loro livelli ed è inspiegabile e difficile farsene una ragione.

Sul banco degli imputati son finiti sia quelli della “vecchia guardia”, sia coloro che sono arrivati quest’anno e che non riescono ad essere un supporto valido per affrontare la stagione. Alcuni non verranno confermati, altri saranno aspettati perché la società crede in loro. Sta di fatto che il principio societario legato alla valorizzazione non cambierà e sarà portato avanti anche nella prossima.

Io credo nella valorizzazione. È la strada da perseguire per far fronte alle difficoltà di quei club che non possono spendere come i big della Premier o coloro che ogni anno mettono budget importanti per il mercato. Ma sono anche consapevole che al Milan servono anche giocatori pronti, utilizzabili subito, che siano capaci di incidere e puntellare quei ruoli scoperti.

Lo scudetto vinto lo scorso anno, oltre ad essere stato un meritato trionfo, probabilmente è stato un impiccio che ha creato “confusione”, non certamente per la società che è andata dritta per la sua politica aziendale.

Quella “confusione” che perdura e, secondo alcuni, non è stata metabolizzata dai giocatori in campo.

Non voglio pensare a questo, ma le parole di Tonali ad inizio campionato, dove invitava a dimenticarsi dello scudetto vinto, dovevano essere un monito o un presagio di come potesse evolversi il tutto. Da vero leader ha ricordato come il tempo dei festeggiamenti sia finito e che nulla era loro dovuto nonostante fossero campioni d’Italia in carica.

Non è però il tempo di giudizi affrettati. È il tempo di riflessioni per ripartire perché c’è tutto un girone di ritorno da giocare. Senza guardare il Napoli, che sta facendo un campionato a sé, e può gestire un vantaggio di quattro partite su diciannove da giocare, occorre pensare alla zona Champions e a salvaguardare quel posto che solo il merito sportivo può dare.

Per farlo bisogna resettare e unire, mettendo da parte gli individualismi, facendo delle scelte di campo che possano essere decisive per ripartire alla grande.

In passato il Milan è stato capace di “trasformare l’acqua in vino”, di rendere l’impossibile in possibile. Ora basterebbe che tornasse almeno a vincere per riconquistare fiducia e consapevolezza dei propri mezzi.