Ho pensato a lungo se scrivere o meno un pezzo per parlare del femminicidio. Alla fine ne avevo scritto uno pieno di citazioni e riferimenti storici, di frasi ovvie e di verità inoppugnabili. Rileggendolo, però, mi sono sentito a disagio: non era mio! Così ho deciso di riscriverlo, mettendoci dentro me stesso, quello che davvero io penso e sono. E pazienza se non sarà lungo come gli altri. Pazienza se molti, temo, non capiranno, e mi odieranno. Qualcuno, ne sono certo, capirà, e apprezzerà.

Il 25 novembre è passato. Ognuno di noi si è costernato e indignato al meglio delle proprie capacità. Certo, si può sempre migliorare, ma direi che per gente come me, e come tutte le persone che frequento abitualmente, che atti di violenza su una donna non ne farebbero mai nemmeno mezzo in tutta la loro vita, pretendere di più sarebbe davvero troppo.
Tutt’al più, confesso che in questi giorni ho avuto più di una volta la tentazione di compiere atti violenti nei confronti di taluni che hanno provato con insistenza a convincermi che avrei dovuto comunque fare atto di contrizione pubblico, per il semplice fatto di appartenere al sesso maschile. Primo caso, che io sappia, di persona accusata di essere qualcosa (nella fattispecie, un uomo) e non di fare, o aver fatto qualcosa.
Direi che se non siamo al razzismo, poco di manca.
'Sì', dice allora quello che vuole convincerti, ma siamo tutti figli della cultura patriarcale che in passato, e in alcuni casi anche nel presente, contempla il predominio dell’uomo basato sul ceffone, e, via via, in una orribile escalation, sull’uccisione.
Va bene, dico allora io, ma se il sottoscritto, e le persone (uomini o donne o transgender che siano) che vivono in contesti come il mio, dove la violenza non esiste per niente, pretendere di doversi sentire in colpa, e con l’aspettativa da parte di tutti di mostrare pentimento per qualcosa che non rientra completamente, ormai, tra ciò che io potrei mai fare, sarebbe un po’ come pretendere che io mi senta in colpa nei confronti delle donne che hanno subito abusi sessuali, anche se io personalmente, faccio per dire, fossi un eunuco.

Sì, ma è un dato di fatto che le posizioni di maggior potere, in ogni campo siano appannaggio dell’uomo. E’ vero, ma, anche qui, si tratta di un processo (quello della parità delle opportunità) che sta andando nella direzione giusta. Il suo raggiungimento, però, non deve subire accelerazioni innaturali (come ad esempio, l’introduzione delle quote rosa). La parità è l’obiettivo, ma esso dovrà essere raggiunto senza azioni che vadano a forzare un processo che deve compiersi in modo spontaneo, naturale.

Il compito di noi uomini è di rimuovere tutti i vincoli che impediscono alle donne di esprimere le loro qualità, ma se esistono delle oggettive differenze, esse devono emergere in modo spontaneo, e diventare magari caratteristiche vincenti. Mi spiego meglio: se per decine di migliaia di anni l’evoluzione dell’uomo ha portato a far sì che la donna abbia acquisito delle sensibilità particolari (magari, ad esempio, per la difesa della prole), queste eventuali differenze non devono essere represse né si deve far finta che non esistano: esse potranno far sì che in certi ambiti chi le possiede abbia una marcia in più nello svolgere determinati incarichi.

Margaret Thatcher e Angela Merkel sono esempi perfetti di quello che voglio dire: entrambe infatti hanno avuto le qualità per arrivare dove sono arrivate; e questo, forse, proprio in quanto donne, e quindi dotate di qualcosa di impalpabile che le ha dato la famosa marcia in più. Quello di cui si può star certi e che nessuno ha aperto a queste due donne portoni, né steso lungo il loro cammino tappeti rossi.
Sono arrivale lì perché erano le migliori, con una concorrenza maschile, ne sono certo, nient’affatto amichevole!
Immagino anche le volte in cui, per l’essere donna, abbiano dovuto combattere contro i soliti stereotipi sessisti, ma il loro essere migliori, nel compito a cui sono state chiamate, le ha portate ad avere dal popolo del Regno Unito e da quello tedesco l’incarico di far primeggiare i propri paesi, a cui nessuno ha fatto sconti per il solo essere guidate da donne. Tutt’altro!

Tornando però alla violenza, che ancora troppe donne nel mondo subiscono da parte dell’uomo, violenza contro cui, ovviamente (e nel mio caso inutilmente) è giusto scagliarsi, ma per uno come me, che di violenza sulla donna ne ha a malapena sentito parlare, il 25 novembre potrebbe essere molto, ma molto, molto più appropriato chiedere ad alcune donne prevaricatrici per natura, di non rendere per il resto dell’anno l’inferno in terra la vita di alcuni uomini, con la violenza di cui molte donne sono capaci: la violenza psicologica.
Quella che riduce fieri uomini, pieni di qualità, tra cui, spesso, la gentilezza, a diventare l’ombra di se stessi, e questo tramite l’incessante lavorio, che porta lentamente l’uomo in condizioni di schiavitù nei confronti della donna che, a queste latitudini rappresentano, molto più della violenza sulla donna, il vero problema: la vera sofferenza, che non è fisica, ma è psicologica, e fa male. Porta al suicidio che non fa notizia, o (che è lo stesso) all’annullamento della propria personalità; a credere di non valere nulla, disprezzato e deriso anche dai propri figli.

Guardatevi intorno, e mentre lo fate, abbiate la sensibilità di vedere cosa ci circonda. Una donna può morire uccisa dalla violenza del vigliacco di turno; ma quella dell’uomo che vive annientato, privato di dignità, senza un apprezzamento, senza il riconoscimento che indubbiamente gli sarebbe dovuto, e che invece viene sostituito da critiche che denotano odio e disprezzo, vi sembra vita?
Ci sono paesi nel mondo dove l’emergenza della violenza sulle donne è chiaramente prioritaria, ma nel  mondo occidentale, nella parte cosiddetta civile del pianeta, non è la violenza subita dalle donne ad essere la più devastante, la più spietata, la più diffusa, la più presente, ma anche la meno riconosciuta.
Essa infatti è anche quella di cui ci si vergogna di più nel denunciarla; e questo perché l’uomo debole, devastato nella psiche, nell’amor proprio, si vergogna di cercare aiuto: sa che molti rideranno di lui, perché un uomo di indole gentile, paziente, accondiscendente viene giudicato un debole, non un uomo.
Sì signori miei, sì! L’uomo gentile, o lo vogliamo più propriamente chiamare debole? Non suscita empatia: tutt’al più può generare un sentimento di pena, di disprezzo. Non viene nemmeno considerato un uomo!

Se quello che dico fa minimamente risuonare in qualcuno un minimo di senso di ribellione, se anche ad alcuni di voi tutto ciò sembra ingiusto, il prossimo 25 novembre, nei paesi occidentali, nei paesi “più civili”, non abbiate paura di far presente a chi si batte il petto per un femminicidio, che non manchi di battere il petto, e fare mea culpa, anche per tutti gli uomini invisibili da cui siamo circondati, che non hanno più la dignità di essere considerati uomini.

Quando piangerete l’ennesimo femminicidio,  ed io sarò con voi, perché nessuno più venga ucciso in quanto donna, per un attimo, prima di riporre il fazzoletto nel taschino, o nella borsetta, ricordatevi di questo popolo sconfinato, fatto di persone che soffrono  in silenzio, facendo buon viso a cattivo gioco.
Se ve ne ricordate, pensate per un attimo anche a loro, e se ci riuscite, trovate nel vostro fazzoletto un angolo ancora asciutto, da bagnare di lacrime per loro.