NOTA: l’obiettivo di questo pezzo non è quello di parlare di sentenze in ambito sportivo, né di mettere in discussione l’operato degli organi competenti, chiamati ad emettere sentenze, bensì quello di esprimere un’opinione sul principio che prevede e consente ad una pena di essere convertita in partecipazione ad eventi ed incontri con l’obiettivo di informare i giovani sui rischi derivanti dalla frequentazione di ambienti legati al mondo delle scommesse.
Per farlo, parleremo dell'esperienza di un giovane giocatore di basket di nome Luigi, il quale già dall'età di 20 anni era, poco alla volta, scivolato nel mondo delle scommesse, arrivando ad indebitarsi e a chiedere prestiti sempre più onerosi, persino ai suoi compagni di squadra, per finire poi anche nelle mani di spietati strozzini.

Luigi, una volta resosi conto della gravità della situazione, trova il coraggio di chiedere aiuto alla propria famiglia e agli amici più cari, denunciando il sistema, e contribuendo, con la propria testimonianza, ad individuare e sgominare la rete illegale di scommesse, di cui era caduto vittima.
Luigi, grazie al suo atteggiamento di piena ed incondizionata collaborazione con gli inquirenti ha potuto patteggiare una pena che invece di essere di cinque anni di allontanamento dai campi di basket si è ridotta a due soli anni. Inoltre, accettando un programma particolare di recupero, si è visto commutare i due anni di allontanamento dai campi di basket in un solo anno più 12 appuntamenti in cui parlare della propria esperienza.

Intro: Luigi alle prese col primo appuntamento
Un paio di settimane fa, come da accordi, Luigi si è presentato a Senzano, dove ha avuto luogo il primo di 12 incontri con studenti e ragazzi per parlare di dipendenza da gioco d’azzardo. Il tutto come disposto dalla sentenza che ha tenuto conto della buona volontà del cestista, riducendo, come detto, a solo 1 anno (dai 2 inizialmente comminati) la durata dell’allontanamento dai campi di basket, e commutando i rimanenti 12 mesi di squalifica in impegno sociale. Impegno consistente in appuntamenti come quello appena tenutosi a Senzano, in cui il giocatore ha avuto, e avrà la possibilità di raccontarsi, e di spiegare come sia stato possibile, per un giocatore amato e pagato come lui, cadere nella trappola della ludopatia.

Il mio rapporto col basket
Io personalmente non mi intendo di tribunali, e in un certo senso neanche tantissimo di basket. Sono un tifoso che bada pochissimo a ciò che gira attorno al basket, ai soldi, ai regolamenti e a tutto quello che non è sport. Vedo tutto con gli occhi di un bambino che si entusiasma e si intristisce, e che vorrebbe che il basket fosse soltanto gesto tecnico e atletico. Non nascondo quindi la mia grandissima sorpresa nell'apprendere di queste scommesse e la tristezza che questo mi ha comportato. Luigi, e lo possono confermare tutti quelli che lo conoscono, è sempre stato persona degna di fiducia, di quelle, come si dice, a cui affideresti senza tentennamenti persino le chiavi di casa. Per cui l'aver appreso che proprio lui figurasse tra quelli che erano caduti nella trappola delle scommesse mi aveva sorpreso e amareggiato. Era per me il segno evidente che anche i migliori, a volte, possono sbagliare e sottovalutare certi rischi.

Ludo-patia o azzardo-patia?
Volendo esprimersi in modo più appropriato, sarebbe forse più corretto usare un termine che meglio di altri richiama, non solo l'aspetto divertente e giocoso, ma anche quello patologico-illegale. Questo termine, meno usato, ma che descrive al meglio le sensazioni di chi ne frequenta il mondo è 'azzardopatia'. Senza dubbio il termine azzardopatia riesce a descrivere meglio la condizione patologica della persona che ne è affetta, o dovremmo dire sopraffatta. Essa riesce senza dubbio ad evocarne meglio la drammaticità, la quasi impossibilità di uscirne: famiglie ridotte sul lastrico, sofferenza, solitudine, vergogna nel voler chiedere aiuto alle persone care senza riuscirci, gesti estremi, furti, perdita totale del controllo di sé... l'inferno in terra!

Similitudini e comunanze con altri fenomeni compulsivi
Esistono altre patologie con un carattere di compulsività simile. Le riconosci perché si lasciano alle spalle una scia di disperazione, come ad esempio quella dello shopping compulsivo, con relativi conti correnti prosciugati: qualcosa scatta nella mente, e il desiderio incontrollabile di spendere diventa uno tsunami verso cui non è possibile far fronte, se non si è mentalmente preparati; della cleptomania con conseguente umiliazione di essere colti in flagranza di reato, della Bulimia, che ti porta a svuotare il frigorifero di casa, per poi vomitare tutto ciò che si è in modo incontrollato voluto a tutti i costi mangiare. Alcolismo, tabagismo, uso di droghe “che non fanno male, che posso uscirne quando voglio” ma non ne esci mai. Debiti che si accumulano, strozzini che ti portano via anche l’anima: tutto un campionario che solo pochi conoscono, perché occultato, dei peggiori drammi familiari e delle peggiori situazioni.

12 date per 12 rappresentazioni: i ragazzi ascoltano con interesse la sua storia
Veniamo a Luigi e al suo programma di incontri organizzato in modo da poter dare testimonianza di sé in 12 appuntamenti che si svolgeranno presso scuole, sale parrocchiali, palestre e comunque luoghi adatti a contenere un certo numero di ragazzi che possano ascoltare dalla viva voce di Luigi quale sia stato il suo percorso che lo ha portato dalle schedine giocate in parrocchia con gli amici a qualcosa che poi con l'avvento dei soldi facili del cestista professionista, si è tramutato in una attrazione irresistibile di cui non subito si è reso conto. Lui, preso nel suo racconto, i ragazzi lì per ascoltare il loro beniamino, che pendono dalle sue labbra...
C'è sicuramente del positivo quando la pena si tramuta in occupazione. Ti fa uscire dalla solitudine, ti permette di rimanere a contatto con la comunità verso la quale è volta l’espiazione della tua colpa.

In alcuni casi, il tutto sembra assumere però i toni dell’out out. Inutile girarci intorno: i termini in cui si è svolta la trattativa sono stati, almeno all’apparenza, quelli di una forzatura. Della serie: “o fai così oppure ti becchi i due anni interi fuori dai campi, senza sconti”. Stiamo quindi parlando in un certo senso di un’imposizione piuttosto che di una vera scelta.
Ma quando invece di infliggerti una pena, come ad esempio quella detentiva, che comporta di NON POTER più FARE qualcosa, te ne viene comminata una in cui sei OBBLIGATO A FARE, come accade per i lavori forzati negli stati in cui sia prevista, la cosa non mi piace. Se ti viene quasi imposto di fare qualcosa, piuttosto che non farne un'altra, questo, in qualche modo mi lascia un senso di inquietudine. 
Parliamoci chiaro, nessuno di noi accetterebbe di fare anche solo una nottata in guardina presso un commissariato, se ci fosse un modo, uno qualsiasi per evitarlo... dunque, ciò che è accaduto a Luigi fa riflettere. Lo stato, a fin di bene, per carità, “consiglia”/"invita" un ragazzo che ha sbagliato, a fare qualcosa, che di sua spontanea volontà non farebbe mai: parlare in pubblico di sé.

A Luigi viene chiesto non solo di non fare più qualcosa: (il reato n.d.r.), che mi sembra più che legittimo, ma anche di accettare di farne un'altra che non è affatto detto che faccia con piacere.
Magari Luigi, invitato a dire determinate cose, la pensa in modo diverso. Non penso, però, che lui, circondato da ragazzi che si aspettano che dica certe cose, e da psicologi e giudici che anche loro hanno le loro aspettative rispetto a quanto lui dirà, potrà mai dire veramente quello che pensa.  
La stonatura in questa vicenda sta tutta qui!
 
C'è un ragazzo che ha sbagliato, che sicuramente dovrà pagare e sta pagando che viene messo davanti a un bivio: espiare pienamente la propria colpa, rimanendo lontano dai campi di basket per ancora un anno, oppure, in alternativa, andare in giro per le piazze d'Italia a dire determinate cose, che non sono esattamente quelle che lui direbbe, e che non rappresentano il suo vero pensiero.

L’ipocrisia di una scelta non scelta:
i giudici a mio modestissimo avviso, avrebbero potuto e dovuto limitarsi a chiedere a Luigi di non compiere più quel reato, di impegnarsi a non ricadere più nel proprio errore, e di fermarsi lì, senza chiedergli di andare in giro, a professare determinate cose, quando tu giudice non hai assolutamente modo di verificare che Luigi davvero pensi quello che dice (cosa, d'altronde, che se fosse possibile sarebbe ancora più inquietante, da vero e proprio 1984 di Orwell).

Ebbene sì, questa soluzione è inquietante: nessuno può costringerti ad essere qualcuno che non sei, a pensare qualcosa che tu non pensi, a dire qualcosa che tu in realtà non diresti. Come dovrebbe funzionare? Che io, giudice, ti risparmio parte della condanna se tu non sei più tu, ma diventi come voglio io che tu sia.

Confesso di essere perplesso:
Nemmeno al più efferato criminale, che abbia compiuto il più efferato dei delitti si dovrebbe poter dire: “se cambi, se fai abiura della tua essenza e diventi un altro, io ti do qualcosa in cambio”.
Nessun reato, e tantomeno nessuna trasgressione all’”etica” dovrebbe mai indurre qualcuno ad accettare di vedersi privato anche solo in parte, anche solo temporaneamente della propria essenza, che ci rende vivaddio diversi da tutti, con tutto quello che ne può derivare di negativo, certo!
Ma anche per quel po’ di buono e di positivo che c’è in lui, come in ognuno di noi.



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