Quello di cui tutti gli appassionati di calcio sono convinti, è che l’origine di questo giuoco sia da collocare geograficamente in Inghilterra, e temporalmente un po’ oltre la metà dell’'800. Questo può senz'altro essere considerato vero se per calcio intendiamo quello che oggi noi stessi conosciamo e pratichiamo, con regole rimaste sostanzialmente invariate nel corso di questo ultimo secolo.

Quello che invece pochissimi sanno, perché frutto di scoperte archeologiche recentissime, è che già ai tempi degli antichi romani, sotto l’impero di Augusto, all’incirca venti secoli fa, in medio oriente, e più nello specifico in Galilea, esisteva un gioco in cui due squadre di 10 uomini si contendevano una palla nel tentativo di calciarla e mandarla dentro uno spazio chiamato porta, avendo a disposizione, per farlo, tutto il corpo, tranne le braccia e le mani.
Solo un undicesimo giocatore, il portiere, aveva la possibilità di toccare, ed eventualmente trattenere la palla, utilizzando tutto il corpo, quindi anche braccia e mani. Questi giocatori, per poter essere sempre riconoscibili da parte dei propri compagni, dagli avversari, e dal pubblico di tifosi, dovevano indossare vesti dello stesso colore.
Ma chi furono i primi? Quelli cioè a cui venne in mente di costruire una palla fatta di stracci ben legati insieme, e resi compatti con l’uso di colle da falegname? È proprio qui che le ipotesi si infittiscono e le leggende si moltiplicano a dismisura.

A far prevalere
, tra le tante, l’ipotesi attorno a cui la comunità scientifica sta convergendo, vi sono, però, ben 4 libri, scritti in epoche anche lontane tra loro, ma che risultano estremamente coerenti nella narrazione, che gli autori di questi libri fanno, della vita di un uomo di capacità che molti non esitavano, e non esiterebbero nemmeno adesso, a definire miracolose.
Questi 4 libri, parlano delle gesta di un ragazzo, nato a Betlemme, pressappoco nell’anno 0, di nome Giosuè Andrea Agnelli.
Su questo ragazzo, che la leggenda vorrebbe di grandissime qualità intellettive ed atletiche, con un carisma ed una capacità di persuasione fuori dal comune, convergono racconti incredibili, sui quali oggi non ci soffermeremo, che parlano della nascita e dell’evoluzione del calcio.
Fu lui, insieme a pochi altri amici, ad aver avuto per primo l’idea, ad esempio, di usare la colla di pesce per evitare che la palla, colpita con violenza e ripetutamente, si sfaldasse in pochissimo tempo. In quest’idea, a dire il vero, senza voler sminuire le capacità di intuizione di Giosuè Andrea, per carità, contribuì non poco il fatto che suo padre, Giuseppe, Giovanni Agnelli avesse messo su un’avviatissima attività di falegnameria.
Nel corso degli anni questa
falegnameria si era andata specializzando nella costruzione di carri e carrozze di legno, che in poco tempo, con costi di produzione sempre meno alti aveva permesso, ad ogni famiglia della Palestina di poter finalmente muoversi in autonomia, avendo un proprio carro per spostarsi in territori con strade non sempre agevoli da percorrere.
Giosuè, sempre più appassionato del gioco del calcio, insieme al suo amatissimo cugino Giovanni Battista Nedved e ad altri discepoli, appassionati come lui di questo gioco, percorreva in lungo e in largo la Palestina, portando la buona novella, promuovendo il più possibile questo sport.
Tra i tanti che si erano
letteralmente innamorati del calcio, con le sue regole che prevedevano di comportarsi con lealtà ed amore nei confronti del prossimo si celavano però anche alcuni che invece intravidero in questo grande movimento di appassionati l’opportunità di arricchirsi e di sfruttare il più possibile questo gioco, facendolo diventare un modo per accrescere la propria ricchezza personale e il proprio potere.

Poco alla volta, quello che era nato come mezzo per conoscersi e divertirsi insieme, fu trasformato in una vera e propria azienda, capace di produrre utili per Erode/Ceferin e per i suoi sodali come Al khelaifi, capo dei sacerdoti del Sinedrio di Gerusalemme, che riuscì, grazie allo strumento della corruzione, a far sì che una grossa fetta degli introiti dell’organizzazione dei tornei andasse a personaggi privi di scrupoli, che in poco tempo si arrogarono il diritto di estromettere dal mondo del calcio tutti quelli che vi erano approdati con scopi diversi: con spirito di condivisione e di generosità, come i 4 libri ci raccontano.

Il Re Erode/Ceferin, personaggio che inizialmente si dimostrò grande amico di Giosuè, come detto, intuì subito che il calcio poteva diventare per lui una vera e propria macchina, capace di produrre utili e ricchezza. Almeno per chi avesse saputo sfruttarla senza scrupoli.
Quando Giosuè capì quali fossero le intenzioni di Erode/Ceferin, e cioè di appropriarsi del giocattolo del calcio per farlo diventare la propria personale miniera di ricchezza e di potere, ad esempio, con i siti ad esso dedicati, la vendita di abbigliamento e di attrezzatura tecnica, gli scarpini, i guantoni, i palloni e tanti altri ancora.
I modi per far soldi dal calcio erano infiniti, e per tanti che se ne trovasse altrettanti ne saltavano fuori in un crescendo che non lasciava presagire nulla di buono. E ce ne sarebbero stati ancora tanti, a patto di eliminare un pericoloso rivale, Giosuè, che credeva in un calcio senza scommesse, senza interessi che non fossero quelli dello sport come momento aggregativo e di passione sportiva.

Egli tentò di fermarlo, ma era ormai troppo tardi: Erode/Ceferin aveva ormai posto in ogni centro di potere un proprio alleato a lui fedele. Fece quindi in modo, per debellare definitivamente la potenziale minaccia, che Giosuè fosse bandito da tutte le province della Palestina.
Tutta la struttura dal punto di vista organizzativo, prevedeva una serie di tornei, i cui introiti, andavano in grossa parte a Erode/Ceferin e al suo sodale: Al khelaifi. Egli fece in modo che Giosuè fosse completamente estromesso dal board che avrebbe dovuto decidere l'organizzazione dei tornei. Chiunque mettesse in dubbio il potere di decidere e di fare e disfare faceva la stessa fine di Giosuè. Nessuno ebbe così il coraggio di opporsi a quest’uomo, che era stato capace di creare con la corruzione il consenso necessario per diventare un intoccabile.
L'aspetto dei ricavi economici, aveva sempre avuto un‘importanza relativamente bassa, per Giosuè. Egli era sinceramente animato da amore per il calcio, per lo sport in generale, e perdono per il prossimo. Ma il solo fatto di voler proporre qualcosa di diverso dalle consuetudini ormai consolidate, veniva etichettato come pericoloso.

La macchina del fango fu attivata e non si salvò nessuno, se non chi si chinava e si accontentava di ricevere come un cane, sotto la tavola, le briciole che da essa cadevano. Il suo amatissimo amico Giosuè divenne all'improvviso un pericolo pubblico che doveva essere messo in condizioni di non nuocere, e questo per ogni città della Palestina.

Erode/Ceferin, grazie ai suoi buoni uffici, e naturalmente alla presenza di Al Khalaifi capo dei sacerdoti del sinedrio, fece imprigionare Giosuè, e chiese a Ponzio Pilato Allegri, che rappresentava in Palestina il potere temporale di Roma di esiliarlo per sempre dalla Palestina. Il povero Giosuè, di indole bonaria e sempre pronto al perdono, aveva intravisto nel calcio uno strumento non solo di promozione sportiva, ma anche d'amore vicendevole.
Egli non riusciva a comprendere il perché di così tanto accanimento nei suoi confronti da parte di Erode/Ceferin. Un tempo suo grande amico, Erode/Ceferin fece allontanare Giosuè Andrea da Gerusalemme e da qualsiasi altra provincia. Tutti quelli che anche solo a parole manifestarono contrarietà a questo ingiusto trattamento vennero banditi da ogni territorio della Palestina.
E questo nonostante l'opposizione, a dire il vero, troppo blanda, di Ponzio Pilato il quale tentò, fino all'ultimo di chiedere spiegazioni e di evitare la messa al bando di Giosuè: “ma chell’affatto di male hodest’omo per merità tutto il vostro accanimento nei suoi honfronti?”
E il popolo, riunito quel giorno per esprimere la propria opinione in merito, non ebbe dubbi nel chiedere a Ponzio Pilato che Giosuè venisse bandito da tutte le città della Palestina. Pilato, fino all'ultimo, cercò di salvare Giosuè da questa triste condanna: “Ma diamogli un paio di hazzotti e via! No?” disse Pilato.
Anch’egli, infatti, pur non risultando essere esattamente uno stinco di santo, rispetto a Erode/Ceferin e ad AL Khelaifi, sembrava un bimbo a cui rubare le caramelle; era davvero il minimo che ci si potesse aspettare. Ma la folla, sobillata dal capo del Sinedrio e da Erode/Ceferin, fu così veemente nell’esprimere la propria volontà di allontanare Il povero Giosuè che nessuno poté farci nulla.

Estromesso e costretto a vivere ai margini delle province della Palestina il povero, mansueto Giosuè, si rivolse alla corte di giustizia internazionale, che decideva e legiferava per conto di Roma e del suo imperatore. Giosuè voleva che venisse affermato il suo diritto di organizzare i tornei del calcio anche in modo diverso da quello che era sempre stato considerato l'unico possibile.
Questa richiesta venne però inizialmente rigettata: “solo per una mera consuetudine” stando a voler attribuire a Erode/Ceferin la buona fede (che in realtà mancava completamente) non certo perché ci fosse davvero una legge che obbligava gli appassionati del calcio a scontrarsi in partite per forza organizzate in quel modo e non magari in altri modi più divertenti”. Ma niente! Erode/Ceferin sembrava più forte e persuasivo di chiunque altro, ma non aveva fatto i conti col carisma di Giosuè

Non furono giornate e settimane facili, quelle di Andrea Giosuè. Quelli di dover vagare ai margini della Palestina, alla ricerca di pace e soprattutto di giustizia, ma, come sempre capita, il bene riesce sempre a prevalere sul male (questa l’ho inserita per riderci insieme): la corte internazionale nelle vesti del Prefetto, giunto da Roma apposta per dirimere questa controversia, non ebbe altro da poter dire, se non che Giosuè aveva pienamente ragione nel ritenere di avere tutta la libertà e la facoltà di organizzare un campionato e dei tornei provinciali, organizzati anche in qualsiasi modo diverso dall'attuale, se anche solo lui l'avesse voluto e avesse avuto la possibilità di essere seguito da altri che la pensavano come lui.
Insomma, veniva riaffermato il diritto di impresa che Erode/Ceferin aveva impedito a tutti i suoi concorrenti di esercitare. Fu così che le capacità visionarie di Giosuè ancora una volta si dimostrarono più efficaci di ogni prepotenza e volontà di prevaricazione.

I campionati, in seguito a questa importantissima sentenza della corte Internazionale, poterono finalmente essere organizzati nella massima libertà, lasciando ai tifosi il diritto di scegliere le formule più  divertenti, portata di innovazione contro cui nessuno riuscì più a farci nulla. La corruzione, che in altre occasioni si era dimostrata efficace stavolta non riuscì ad esserlo.
E questo grazie solo alla grande capacità di persuasione di un uomo leggendario, che forse per la prima volta nella storia dell’umanità, dimostrò al monto intero, che il garbo, il sorriso, la dolcezza d’animo, l’amore per i propri nemici, il porgere l’altra guancia, potevano essere sentimenti capaci di scardinare le logiche della ricchezza e della sopraffazione.

Quelli che assistettero a questo miracolo ne tramandarono la leggenda; la storia avvincente di Giosuè Andrea Agnelli e del suo inseparabile cugino Giovanni Battista Nedved. E di tanti altri che, anche nei periodi peggiori, non smisero di fargli giungere il loro incondizionato consenso e il proprio incoraggiamento nella battaglia contro l'odioso Erode/Ceferin e il male che esso metaforicamente rappresentava.