Amarcord Lucano (I)

 

APPARTAMENTI CON UN SOLO BAGNO? VADE RETRO!
Un tempo
, e parlo di quaranta, cinquant’anni fa, non nell’ottocento, anche le famiglie numerose avevano tutte solo un bagno in casa. Eppure immagino che la mattina tutti andassero comunque di fretta: ognuno doveva arrivare puntuale al lavoro, e i bambini anche loro dovevano andare a scuola. Adesso, invece, che c'è lo smart working, e non c'è quindi tutta questa esigenza di scappare, di correre per arrivare puntuali al lavoro, un appartamento con un solo bagno non viene neanche minimamente preso in considerazione: un solo bagno? Mai sia! Vade retro, Satana!

LA RAGIONEVOLEZZA DEI BARESI
La vespa
, ai tempi, era il ciclomotore senza dubbio più truccato. C’era chi, come il mio amico Angelo, nel vano motore ci aveva addirittura messo un 90cc, che naturalmente sporgeva fuori, senza che fosse possibile chiuderlo. Qualche anno dopo, nonostante la sua vespa fosse ormai ridotta ai minimi termini (il cambio, ad esempio, era completamente andato, costringendo il mio amico Angelo ad avviare la moto a spinta in terza, unica marcia funzionante) qualcuno ebbe la spudoratezza di rubarlo comunque. La coincidenza incredibile fu che qualche anno dopo, Angelo stesso, che nel frattempo si era trasferito a Bari lo ritrovò proprio lì, dove abitava. Nonostante fosse sicuro che si trattasse del suo, non ebbe però il coraggio di chiederlo indietro, visto che il suo nuovo proprietario pareva essere persona poco disposta alla ragionevolezza e al dialogo…

PROBLEMA DELL’INQUINAMENTO DESTINATO A RISOLVERSI DA SOLO
Ma vi ricordate quanto consumavano le auto un tempo? Un sacco! Ricordo che già solo la mia 127, cioè una di quelle che venivano definite utilitarie (mica un'Alfa 75 Twinspark, per capirci) per il solo fatto che fosse di cilindrata 1050 anziché 900, beveva Super come una dannata, e inquinava quasi come le ciminiere delle fabbriche che le producevano. Oggi, pesando circa il triplo, consumano (e inquinano) comunque tantissimo, ma tranquilli, tra non molto ad inquinare le città, temo, non ci saranno più né le une, né le altre…

INVIDIA
Un giorno d’estate
, sul lungomare di Castellaneta Marina, all'altezza del lido Albatross, un ragazzo passò tutta la mattina ad impennare col suo ciclomotore Boxer. Quel ragazzo è rimasto nella mia memoria come una delle persone che io abbia più invidiato in vita mia. E il fatto che lui stesse lì, tutto il tempo a fare le impennate, era la chiara dimostrazione che anche lui sapeva benissimo quanto lo invidiassimo. Fanc***!

EPOCA CHE SEI, SENSIBILITA’ CHE TROVI
Ma vi ricordate quanto fumo passivo ci siamo inalati in macchina grazie ai nostri fantastici genitori che fumavano come turchi coi finestrini chiusi
, perché giustamente fuori faceva così tanto freddo, che per avviare la macchina era stato necessario tirare l’aria (alzi la mano chi si ricorda di cosa sto parlando). Quando poi si appannavano i vetri, si arrivava al punto che non si riusciva a vedere letteralmente una beneamata cippa. Sembrava di essere in Val Padana, ma fermarsi e ripristinare un minimo di visibilità, manco a parlarne. Ne andava della dignità del guidatore, molto, ma molto più importante della vita di ognuno dei presenti in auto.  Il sospetto, poi, che tutto ciò fosse nocivo per i polmoni di tutti, soprattutto di quello dei bambini, non sfiorava neanche l’anticamera del cervello di nessuno! Erano proprio altri tempi, con altre sensibilità.

IL CORAGGIO DI ESSERE PADRI DAVVERO
Mi ricordo che i miei genitori, convinti di far bene, mi avevano iscritto ad una scuola elementare che adottava un metodo d’insegnamento sperimentale che in altre scuole in Italia sembrava stesse dando buoni risultati.
Il quartiere
(che per la cronaca si chiamava Serra Venerdì) dove si trovava questa scuola era popolato da gente inimmaginabilmente selvatica.
Non era raro, ad esempio, guardando tra i rami degli alberi di Serra Venerdì scorgere gatti impiccati. O uccellini per terra, uccisi con la fionda. Mi ricordo soprattutto che non ci fosse giorno che Dio mandava in terra in cui qualcuno dei miei fantastici compagni di classe non mi facesse il classico segno della croce, che in gergo voleva dire: “ti aspetto fuori” per regolare qualche conticino rimasto in sospeso per qualcosa che avevo detto o fatto, e che non era piaciuta a qualcuno di loro.

Ricordo anche di mio padre, che in macchina aspettava che finissero di massacrarmi per poi farmi salire, bello umiliato e tutto in macchina, per tornare con tutta calma a casa. Ho sempre pensato che non intervenisse per difendermi perché voleva che mi facessi le ossa con quelle bestie, ma a ripensarci adesso, ammetto che non sarei più così categorico nell’escludere che non intervenisse principalmente per paura di essere coinvolto, e di fare la figura di uno che non sa difendere suo figlio.

Il dubbio sui motivi che abbiano spinto mio padre a comportarsi così, temo, rimarrà, e non potrà mai essere sciolto. Quello che posso invece dire con certezza, perché riguarda me: è che, riflettendo, oggi, sul mio modo di essere padre, sono sicuro di non essere mai intervenuto per difendere mio figlio da chi gli faceva del male per vigliaccheria, per debolezza, per paura di risultare maldestro e ridicolo.
Oggi finalmente penso di averlo capito. O meglio: oggi finalmente ho il coraggio ammetterlo a me stesso. Dovrò ora trovare la forza di fare ciò che finora non ho fatto, anche per donare a questo mio povero figlio la consapevolezza che c’è chi lo difende, che non è solo. I suoi figli non dovranno crescere con mille insicurezze per colpa del loro padre, come è successo a lui, e forse a me.

PER 100 LIRE IN PIU’
Tornando sul leggero andante, voglio adesso condividere con voi un ricordo indelebile della mia infanzia, che ammetto essere incredibile, ma, per tanto che mi chiamo Piccio, è vero! Ricordo benissimo che vicino casa viveva un bambino di nome Gianni, che pur di guadagnare era capace di tutto. Ad esempio, se lo pagavi, era capace, e l’ho più volte visto farlo, di masticare il polistirolo. Sì, proprio quello lì, quello degli imballaggi. E non lo sputava fin quando non glielo dicevi tu. In sostanza era capace di andare avanti fin quando non lo aveva ridotto praticamente tutto in palline indivisibili. Lo so, la vostra domanda ora è se questo soggetto vive ancora o se tra atroci sofferenze non siam passato a miglior vita. Non ne ho la più pallida idea!

AUSCULTAZIONI SUINE
Sempre questo Gianni
, che a quanto pare, tanto bene non me ne voleva, sapendo, non so da chi, che mio padre era veterinario, e che, in virtù di questo, avendo vinto regolare concorso, svolgeva la professione di direttore del macello, di tanto in tanto, quando litigavamo, per offendermi, sosteneva che mio padre, per via del suo lavoro auscultasse con lo stetoscopio i maiali per poi curarli. Un po’ come presumo facesse il suo medico di famiglia con lui, quando aveva problemi di respirazione. Mi viene da aggiungere che avesse decisamente più senso quello che ipotizzava di mio padre, comicamente intento, a suo dire, a chiedere ai maiali di dire 33, piuttosto di quello che il suo medico facesse con lui, dicendogli: “faccia grunf-grunf!”

GLI SCAMBISTI DEL TAPPO DEL FANTIC STRADA
Avete presente il mio amico, quello a cui rubarono la vespa che andava solo in terza e che poi, sempre il mio amico, ritrovò nel quartiere di Jiapigia, non proprio l’equivalente dei Parioli a Roma? Ebbene, in un'altra occasione gli rubarono anche la gomma anteriore di un'altra Vespa che nel frattempo aveva comprato.

Io invece avevo un Fantic Strada 50, e visto che il tappo della benzina era senza chiave, parcheggiando la moto vicino a via Roma, una sera, me lo rubarono. Devo ammettere, però, che furono gentili, perché me ne lasciarono un altro, che non era del Fantic. Sembrava più il tappo di una tanica, ma comunque si avvitava, ed impediva alla benzina di evaporare.

Qualche sera dopo, avendo notato un altro Fantic strada esattamente uguale al mio, mi accorsi che aveva il tappo che sembrava identico a quello della mia moto. Decisi così di auto-restituirmelo, lasciando loro il tappo che a loro volta avevano lasciato a me. Qualche sera dopo mi ritrovai di nuovo il tappo da tanica che mi era stato di nuovo generosamente lasciato per evitare alla benzina di evaporare. Così decisi di ordinarne uno nuovo alla Fantic, al quale, appena arrivato, stavolta feci subito installare una serratura, per evitare di ritrovarmi nuovamente, mio malgrado, coinvolto in uno di questi club scambisti che imperversavano con sempre più partecipanti.

I SEMI DI ZUCCA DELLO ZIO
A proposito di via Roma
, la sera, le persone che vi ci passeggiavano, (per la cronaca tutti con in mano una pesante autoradio estraibile, per evitare di dover entrare anche nel giro degli scambisti di autoradio) mangiavano tutti semi di girasole e di zucca. La quantità di semi, la cui buccia era stata abbandonata per terra, era talmente grande che alla fine della serata il manto stradale non si riusciva più a vedere! Era completamente coperto dal bianco dei semi di girasole e di zucca. Ma chi distribuiva tutti questi semi? C'erano alcune sale giochi gestite da vecchi pensionati che si facevano aiutare da altri amici pensionati. I ragazzi si rivolgevano a questi signori, chiamandoli in modo assolutamente poco rispettoso: “zio”. Un giorno scoprimmo che il padre di uno dei nostri compagni si era messo anche lui a distribuire i semi, e noi, per non far sentire questo nostro amico in imbarazzo, decidemmo di non andare più in quella sala giochi per servirci dei tanto amati semi di girasole. Che non si dica che tra ragazzi non c'è sensibilità e solidarietà!

UN CASO DI OMONIMIA
Sempre questo Gianni, che era uno che evidentemente non ci stava granché con la testa, prese un pezzo di polistirolo e lo incendiò. Mentre si stava sciogliendo, forse per paura di bruciarsi, lo tirò in aria, probabilmente senza voler fare male a nessuno. Peccato che il pezzo di polistirolo finì in faccia ad un mio amico, che si chiamava Pinuccio, il quale chiaramente si fece malissimo e scappò a casa insieme a sua sorella, che era presente, e che aveva visto come erano andate le cose. Una volta a casa, i genitori di Pinuccio gli chiesero chi fosse stato a tirargli il polistirolo. La sorella di Pinuccio disse: “è stato Gianni!” Peccato che i genitori di Pinuccio conoscessero solo me che mi chiamavo Giovanni. E pensarono che fossi stato io, che è una cosa del genere non l'avrei mai fatta in vita mia.  I genitori di Pinuccio infuriati chiamarono a casa a mia madre per dirle cosa secondo loro avevo fatto a Pinuccio, che era un mio grande amico. Così, pur giurando di non aver fatto nulla, quella fu la prima e unica volta che presi le botte da mia madre. Per un caso di omonimia!

RICCHIONERIA E SPERANZE DI GUARIGIONE
Chi camminava in un certo modo o gesticolava utilizzando le mani in un certo modo, veniva ritenuto senza ombra di dubbio e senza ulteriore necessità di controlli e verifiche, un ‘Ricchione’
. Anche se alcuni di loro ci rimanevano male e magari ne soffrivano anche, in realtà, a parte qualcuno, che da lontano gridava loro, dopo che si erano allontanati: “RICCCHIOO”, c'era una certa tolleranza.

Venivano giustamente discriminati e isolati per evitare contagi, questo sì. Ma non è che non si permettesse anche a loro di frequentare i negozi o i luoghi pubblici. Mi ricordo benissimo che una certa tolleranza c’era eccome! Potevano entrare nei negozi e comprare da mangiare, come chiunque altro, me lo ricordo bene! Unica cosa, semplicemente gli si chiedeva, se possibile: di avvisare prima, o di entrare lentamente, facendosi così anticipare dalle risate e dalle esclamazioni di sorpresa, in modo che le persone normali avessero il tempo di evacuare il locale e di andare altrove.

In fondo bastava un po’ di buona volontà da parte di tutti: bastava che le risate sguaiate non fossero fatte proprio in faccia alla “persona”, ma che si aspettasse che il “soggetto” si allontanasse almeno un po’. E bastava, d’altro canto, per condurre una vita quasi normale, solo imparare a non fare più tanto caso alle risate e agli sfottò, a quelli che li imitavano, facendo loro il verso appena fuori dalla loro vista. Di non fare caso se la gente si spostava al loro passaggio, come se fossero degli appestati, di non fare caso alle “spedizioni punitive” a cui di tanto in tanto, comprensibilmente capitava loro di essere soggetti, per uno sguardo di troppo, per un sorriso di troppo. Per fare una vita comunque quasi normale, bastava solo un po’ di buona volontà, e sempre con la speranza in una guarigione. La speranza, lo dicevano anche gli antichi è l’ultima a morire!