Dopo la (discutibile) sosta per le nazionali ecco che la serie A torna in campo. Ed è con quest’ultimo turno che iniziano a delinearsi i tratti di un campionato irriconoscibile rispetto a quello che eravamo abituati ad osservare negli ultimi anni.
Irriconoscibile ma non imprevedibile; perché per ovvi motivi potevamo aspettarci dei cambiamenti. La situazione covid sta condizionando le nostre vite, è fisiologico abbia lo stesso effetto sul calcio, ed è probabile continui a farlo per tutto il campionato 20-21.
Ora, a nessuno di noi piace vedere gli stadi vuoti, come a nessun allenatore piace vedere metà dei suoi giocatori in infermeria per virus e/o infortuni più che mai esasperati dalla compressione del calendario. Tutte queste componenti però ci stanno “regalando” un campionato più che mai incerto, con variabili impazzite pronte a scompaginare la classifica ad ogni turno. In fin dei conti è quello che molti invocavano da tempo: l’egemonia juventina a detta di alcuni rendeva il campionato italiano un prodotto noioso e prevedibile, addirittura poco appetibile per quanto riguardava i diritti tv, gli sponsor e il merchandising. Certo le circostanze di questa inversione di trend non sono delle migliori, ma tant’è. Questo è il calcio che abbiamo oggi e non ci resta che assaporarne gli aspetti più positivi. In tutta questa precarietà però, stiamo trovando piccole certezze, come il Milan di Ibra (non me ne voglia Pioli), la straordinaria continuità del Sassuolo e le big ad inseguire, tra le quali va inserita, un po’ a sorpresa, anche la Roma. 

Se il Milan guarda tutti dall’alto lo deve in gran parte a quel giovanotto di nome Zlatan, che di anni ne ha 39 e più che ringiovanire come Benjamin Button sembra, come un buon vino, migliorare invecchiando. Io per primo criticai la scelta di puntare sullo svedese, perché sembrava l’ennesima scialuppa buttata in mare per salvare il salvabile. Ibra però è un transatlantico, e sta traghettando il Milan sempre più al largo, sotto la sapiente guida di capitan Pioli. Si, perché il Milan era ad un passo dall’ennesima rivoluzione solo pochi mesi fa: Ragnick, tanti giovani, e probabilmente niente Ibra. 
Per la prima volta nel passato recente, il Milan invece ha saputo fermarsi, pensare, e fare un passo indietro per poter andare avanti sulla strada della coerenza. La conferma di Pioli non ha pregiudicato l’innesto di giovani interessanti, in costante miglioramento sotto l’ala protettrice dello svedese. Un mix di freschezza  abbinata all’esperienza di Ibra Kadabra. La formula magica che sta facendo sorridere il Diavolo. 

Di vino e di vigneti oltre che di calcio se ne intende Andrea Pirlo, che non allena Ibra, ma un altro fenomeno nella categoria degli “over”. L’assenza per la positività al covid di Cristiano Ronaldo ha pesato sulla Juve, inutile negarlo. Ma oltre al portoghese la Juve sta finalmente ritrovando un’identità di gioco. Modulo fluido, doppio mediano e due punte. Una Juve che spesso parte da destra per concludere a sinistra, con uno sviluppo orizzontale, quasi come un’azione alla mano nel rugby. Una Juve più corta, meno verticale e che vuole recuperare palla non appena la perde, per avere in mano il pallino del gioco. Certo il Cagliari di sabato era un po’ in emergenza, ma inizia a intravedersi qualcosa delle idee Pirlo, la silhouette della Juve che in testa.
Chissà che l’allenatore bresciano non abbia rubato qualche idea del suo concittadino De Zerbi, che con il Sassuolo sta consolidando un processo di crescita arrivato ormai al terzo anno. Oltre alle idee, c’è una cosa che Pirlo invidia a De zerbi, più della posizione in classifica: Manuel Locatelli; centrocampista che per caratteristiche sarebbe perfetto per i bianconeri, sta maturando in maniera esponenziale in quel di Reggio Emilia, e non è l’unico. Berardi, Caputo e Djuricic stanno vivendo la loro miglior stagione, e la mano di De Zerbi si vede eccome. Obiettivo Europa per un Sassuolo che incarna tutte le caratteristiche di una società moderna e fiorente. 
Sarà difficile per i neroverdi mantenere quell’ambitissima posizione in classifica. Tra le pretendenti, a solo un punto, c’è la Roma di Fonseca. Più che portoghese, l’allenatore giallorosso sembra un Lord, sempre composto, educato e quel che più importa a noi calciofili è che di calcio ne capisce parecchio. Lui e la sua Roma sono stati snobbati alla grande nel turbinio di pronostici tipico delle chiacchiere sotto l’ombrellone. Eppure dopo il naturale periodo di adattamento alla difesa a 3 la Roma è cambiata. In meglio. Infatti se nella passata stagione ha dovuto assimilare questo cambiamento, in quella in corso ne sta raccogliendo i frutti. Cambiare le proprie convinzioni è una virtù, specialmente se fai l’allenatore di calcio nel 2020. 
Fonseca l’ha capito e con grande umiltà l’ha fatto capire a tutti.
Tutti meno Antonio Conte. Parola d’ordine, difesa a 3. 
Non mi metterò ad analizzare situazioni tattiche ne a sentenziare come dovrebbe giocare l’Inter, lo fanno già in troppi, e comunque finché Conte allenerà l’inter non c’è cambio di modulo che tenga. Ne Eriksen. 
Conte è un martello, le sue idee sono incontestabili, le sue decisioni incontrovertibili, e questo a mio modo di vedere è un grosso limite.

Anche nella comunicazione, dopo qualche mese fatto di toni bassi e stucchevole diplomazia sta tornando il Conte che conoscevamo. Alza la voce, punta il dito contro i giocatori, e si lamenta di centrocampisti troppo simili tra loro (li ha voluti lui), quando l’unico diverso (Eriksen) viene usato con il contagocce, ieri neanche subentrato.
Non starà tornando il vecchio Conte “del ristorante”?

Un altro allenatore che si è lamentato dell’attegiamrnto dei suoi giocatori in questo turno è stato Gattuso. Il San Paolo deserto deve influire più di quanto si potesse pensare, perché il Napoli ha perso le utilme tre in casa. Le ultime due contro Milan e Sassuolo, rispettivamente prima e seconda in classifica, non a caso.
Proprio a Napoli prese una scoppola non indifferente l’Atalanta, che in quest’ultimo turno ha pareggiato a Cesena contro lo Spezia. 
Sicuramente il turnover è antipatico a tutti gli allenatori, ancora di più di questi tempi, perché pressoché obbligato. Ma il Gasp non sembra volersi piegare a questa tendenza. Manda in campo Zapata e Gomez reduci da viaggi intercontinentali e la voglia di ritrovare il prima possibile il vero Ilicic lo sta esponendo a figuracce. 
Sappiamo con quanta parsimonia Gasperini tratti i nuovi arrivi, lo abbiamo visto con Zapata due stagioni fa e con Malinovskyi la scorsa, sarà ancora così?

Siamo nel 2020 cari allenatori, c’è ben poco da fare paragoni con il passato, siamo in un momento storico fatto di cambiamenti, nella vita di tutti i giorni così come nel calcio. Bisogna adattarsi in fretta a questo strano presente, mettere da parte le vecchie convinzioni e cercare nuove strade nell’attesa che torni tutto più familiare. Tutto, anche il rumore di un calcio al pallone.