Un terremoto ha scosso il mondo del calcio, un movimento sismico che rischia di ridefinire i confini geografici del calcio mondiale. Un abisso in questo momento divide Fifa e Uefa da dodici dei club più influenti e popolari al mondo. 
La superlega è realtà.
Sembrava una favola per spaventare i bambini fino a poche ore fa, fino all’indiscrezione lanciata nella giornata di domenica e forse ignorata da gran parte della gente complice il turno di campionato. Poi nella tarda serata l’annuncio con tanto di sito internet già in rete e l’uscita dall’ECA (European Club Association) dei seguenti club: Juventus, Inter, Milan, Manchester United, Manchester City, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Atletico Madrid, Real Madrid e Barcellona. 

Cos’è la Superlega?
La Superlega è un torneo composto da 20 squadre, con le 12 partecipanti sopracitate che vi accederanno tramite invito, quindi senza tener conto del loro piazzamento nei rispettivi campionati, a queste se ne aggiungeranno altre tre, sempre su invito, e in ultimo cinque squadre potranno accedervi tramite la vittoria del rispettivo campionato nazionale. Queste venti saranno divise in due gironi da dieci squadre l’uno, e si sfideranno in match composti da andata e ritorno che decreteranno l’accesso alla fase finale nella quale verranno incrociati i due gironi. Si va dunque da un minimo garantito di 18 partite per chi non dovesse accedere alla fase finale ad un totale di 25 partite per chi dovesse disputare la finalissima. A capo di questa organizzazione c’è Florentino Perez presidente del Real Madrid, ed ora anche della Superlega, mentre il vicepresidente sarà Andrea Agnelli, affiancato da Joel Glazer, proprietario del Manchester United.

Sembra chiaro che l’idea di fondo sia la creazione di un torneo elitario che vada a sostituire la Champions League. La ragione è quasi esclusivamente economica, oltre a quella di fornire un prodotto altamente spettacolare. L’intento è quello di creare un sistema con più appeal; secondo queste super potenze serve una specie di rivoluzione industriale del calcio, il sistema economico che ruota attorno a questo sport ha bisogno di nuovi ricavi che la Uefa non sembra poter assicurare. Ecco allora la partnership, la sponsorizzazione, il finanziamento, chiamatelo come volete, della banca più importante del mondo: la J.P. Morgan colosso statunitense con sede a New York. 

I dati parlano chiaro, l’indebitamento netto delle dodici società prese in considerazione parla di un profondo rosso che può essere sanato solo con entrate massicce. Si parla di oltre 600 milioni di debiti per Barcellona Juventus e Manchester United, con l’Inter poco distante a quota 543, Milan Manchester City e Chelsea sono quelle messe “meglio” con debiti tra i 100 e 200 milioni, fino ad arrivare al Tottenahm che guida questa spiacevole classifica con 970 complice anche l’investimento sul nuovo stadio.
Numeri che spiegano i motivi di questa scelta, ma che non riescono a giustificarne i tempi le modalità e le macerie che questa bomba si lascia intorno.

Al posto che chiamare gli artificieri per evitare ulteriori esplosioni, sembra che la guerra sia appena iniziata e continuerà colpo su colpo. La Uefa minaccia l’esclusione dei dodici club dai loro campionati nazionali, dalle coppe Europee (a cui evidentemente non sono interessati) e addirittura vietare che i calciatori facenti parte delle squadre coinvolte possano essere convocati dalle rispettive nazionali. Una sorta di censura dal calcio europeo, d’altronde quello che volevano creare era una lega privata su invito, per certi versi snob e separatista, non c’è dunque da meravigliarsi se non verrano invitati ad altre “feste”. Una presa di posizione forte da parte della Uefa, che forse, vista la differenza di vedute che serpeggiava da tempo, Florentino e company potevano aspettarsi...

Forse meno attesa è stata la reazione di buona parte del mondo del calcio e non, a partire da Mario Draghi arrivando ai tifosi del Liverpool, che decretano il decesso del loro club con uno striscione fuori da Anfield, accompagnato da un altro con la scritta “Shame on you”, che ne evidenzia lo sdegno oltre che il dolore. Stessi sentimenti che contraddistinguono quello che è stato a mio avviso il messaggio più forte lanciato fino ad ora: Gary Naville ex bandiera dello United non ha usato mezzi termini nel definire impostori i presidenti dei sei club inglesi eliatari. Ed è proprio un diretto interessato come Bruno Fernandes, calciatore del Manchester United, che sembra accogliere e condividere l’appello di Neville postando sui social una frase in questo senso, che a qualcuno può sembrare retorica e forse anche ipocrita, visto quello che guadagna; vi ricordo però che non è sempre stato così. Quello che adesso è uno dei calciatori più forti del pianeta giocava nel Novara, e per diventare il Bruno Fernandes di adesso ha dovuto ripartire da casa sua, dal Portogallo, dopo essere stato scartato dai presunti grandi club che ce l’avevano sotto il naso... 
Dov’erano quando Bruno giocava in Italia? Dov’erano gli opinionisti che adesso puntano il dito accusandolo di guadagnare troppo? Bruno Fernandes si è meritato di giocare nel Manchester United, partendo dal basso e ha tutto il diritto di dire “non si possono comprare i sogni”.

Che cos’è il calcio?
Mi sono appena accorto di avervi ed essermi posto una domanda impossibile.
Perché io so cos’è il calcio, ma la mia risposta potrebbe non essere quella di chi sta leggendo questo articolo.
Allora vi dirò cos’è per me: vi dirò che il calcio è passione allo stato puro, per dei colori, per un popolo, è gioia per una vittoria, è fatica e divertimento quando ci gioco, è stato sacrifici, è incredulità e tristezza per una sconfitta, è estasi per una giocata o ammirazione per un calciatore, è rispetto per la storia, il calcio sicuramente non è economia e sopratutto è di chi se lo merita.

L’aspetto che ha provocato più scalpore riguardo la Superlega è l’assenza di meritocrazia in questo torneo.
La meritocrazia che ha portato il Leicester ad essere una realtà stabile nella Premier League, il Sassuolo ad essere un esempio per tutta la Serie A, o la crescita esponenziale dell’Atalanta, che l’anno scorso ha raggiunto il punto più alto del suo progetto partito solo qualche anno fa e battere con merito la Juve domenica.

Non voglio essere etichettato come il romantico che guarda il calendario non accorgendosi di essere nel 2021, so perfettamente quanto il progresso sia importante in ogni campo, anche quello da calcio, so cos’è il calcio per me, ma so anche cosa deve essere il calcio per il resto del mondo se vuole sopravvivere a questa pandemia che ha solo accelerato uno scenario che presto o tardi avremmo dovuto affrontare. Il momento di vulnerabilità del mondo, dell’economia mondiale e quindi del calcio, ha dato una spinta decisiva a questo progetto che era già in cantiere da Ottobre 2020.  

Se da una parte l’idea di assistere a grandi match molto più spesso del solito sia ricca di fascino, l’altro lato della medaglia impone riflessioni doverose: che ne sarà della Serie A e di tutti gli altri campionati? Potranno prendevi parte Juve, Inter e Milan? Prevarrà il buonsenso e si giungerà ad un accordo tra le parti? Il calcio elitario si ricorderà da dove viene? I settori giovanili e i dilettanti potranno ancora formare giovani motivati a diventare campioni? I bambini avranno ancora il diritto di di sognare? Se questi grandi club sono arrivati ad essere i più ricchi al mondo lo devono ai suoi tifosi e il minimo che questi personaggi possano fare è darci delle risposte, al più presto. Non mi sento ancora in grado di esprimere un parere assoluto, mancano ancora troppi elementi per esprimere un parere definitivo, troppi a mio avviso i pareri assolutisti, ci sono pro e contro, non è tutto bianco o nero. 
Mentre noi ci avviamo verso le riaperture, il calcio entra per la prima volta nella sua storia in una zona grigia dalla quale uscirà cambiato.
Proprio per il momento che stiamo vivendo, per la ricerca disperata della “normalità” per come ce la ricordiamo, ecco che questo nuovo stravolgimento di una storia lunga centocinquant’anni ci destabilizza ulteriormente. È l’ennesimo segnale che la normalità che ricordiamo con nostalgia forse non farà più parte del nostro futuro, che stiamo entrando velocemente in una realtà che sentiamo ancora fredda, asettica, nella quale non ci riconosciamo, e dove non riconosciamo più neanche il gioco più bello del mondo, che ha unito generazioni e che adesso sta a noi difendere, supportare e amare in ogni forma, perché il calcio siamo noi.