IO SONO MERITATO

Ecco cosa direbbe lo scudetto se potesse parlare; è finito nelle mani di chi l'ha voluto di più, o forse più semplicemente non è finito a chi non l'ha voluto, di chi si è nascosto, di chi ha sbagliato tutto, di chi non ci ha creduto abbastanza. Tant'è, lo scudetto torna a Milano, sponda nerazzurra, dopo nove anni di egemonia bianconera. Gli stessi interpreti che diedero inizio al ciclo juventino scuciono dal petto della vecchia signora il tricolore, marchiandolo a fuoco sulla pelle del Biscione, forse dando inizio ad un nuovo ciclo: non si può fare altro che i complimenti a Marotta e Conte.  

Uno scudetto non si vince per caso, tutta l’Inter merita stima e rispetto, e quando dico tutta intendo anche chi all'Inter adesso non c'è. Ad esempio Luciano Spalletti, che ha riportato l'Inter in Champions League, quei giocatori che come Icardi sono stati messi nel dimenticatoio da un giorno all'altro ma che hanno contribuito al ritorno della grande Inter. Mi complimento con Marotta e Conte, ma a differenza del loro arrivo alla Juventus nel club nearoazzuro hanno trovato una situazione ben diversa, non dei settimi posti, ma una squadra in Champions League, non un terreno inagibile ma una casa da ristrutturare. Conte e Marotta sono i principali artefici del tricolore ma non è giusto dimenticare da chi hanno preso il testimone, da chi prima di loro ha reso credibile il progetto di Zhang e ha costruito le fondamenta di questo successo. Ma dove finiscono i meriti e inizia il fanatismo?

Il trequartista - L’Inizio della stagione interista 2020/2021 è contrassegnato dalla conferma di Antonio Conte alla guida del club neroazzurro, una cosa che non sembrava affatto scontata dopo l'incontro tra allenatore e dirigenza nell'ormai celebre confronto di Villa Bellini. La prima stagione del tecnico era stata a mio modo di vedere sufficiente, con il secondo posto in campionato e la finale di Europa League persa. Non erano solo gli obiettivi sportivi però ad agitare gli animi in casa nerazzurra, l'atteggiamento di Conte infatti era più volte parso sopra le righe; dalle frecciatine alla società riguardo il mercato, alle uscite poco eleganti e al non aver trovato una collocazione per l'acquisto più roboante della proprietà cinese da quando si era insediata: Christian Eriksen. Fin da subito il danese sembrava doversi guadagnare il posto in una squadra che non prevedeva un giocatore con le sue caratteristiche; se all'inizio della sua avventura interista era comprensibile un periodo di adattamento a squadra e campionato, con il passare dei mesi questo inserimento sembrava sempre più complicato. I motivi del mancato utilizzo dell'ex Tottenham secondo Conte e non solo, non dipendevano da lui ma dal giocatore, troppo compassato per il calcio italiano o forse, proprio per il calcio di Conte. Con questo equivoco la stagione 20/21 prende il via; confermati sia Conte che Eriksen e la sensazione che la società li abbia quasi obbligati a trovare una soluzione che li vedesse entrambi protagonisti. Il tentativo di Conte va infatti in questa direzione, quando a inizio campionato propone un'Inter a trazione anteriore, con Eriksen nella sua posizione da trequartista dietro ai soliti Lukaku e Lautaro. L'esperimento però dura poco più di un’ora, e quando nel primo match stagionale la Fiorentina trova il gol del 3-2 con Chiesa, l'allenatore interista quasi pentendosi del tentativo fatto, toglie Eriksen. L'Inter vincerà poi 4-3. Passa quasi un mese prima di rivedere il danese tra i titolari: Genoa-Inter, in cui viene sostituito di nuovo dopo un'ora e al suo posto entra un Barella che diventa decisivo ai fini del risultato. L'Inter 2.0 è più offensiva, aggredisce più alto, non gioca in "contropiede" come qualcuno aveva osato dire l'anno precedente mandando su tutte le furie Conte; è un'Inter con il trequartista, ma il trequartista non è Eriksen. In quella posizione si alternano Barella, Sanchez, Vidal e viene provato pure Perisic, tutti tranne Christian, che da padrone di quel ruolo e tra i migliori d'Europa sembra non essere in grado di giocare più di qualche spezzone.

La Champions League - Se da un lato l'Inter dei primi mesi della stagione è più propositiva, salta immediatamente all'occhio che i numeri in difesa non sono da grande squadra. L'Inter offende ma senza aver trovato un equilibrio, i tre difensori soffrono troppo se hanno tanto campo alle spalle da coprire, mentre davanti senza il giocatore per cui era stato ideato questo cambio strategico (Eriksen), non riescono a segnare quanto dovrebbero. Lo si vede in maniera ancora più evidente in Champions League, dove l'Inter ha un girone impegnativo ma non impossibile, anzi secondo qualcuno è addirittura la candidata a passare come prima del girone. Il doppio scontro con il Real però mette a nudo le fragilità di una squadra che quando attacca non fa male e quando difende è troppo vulnerabile, zero punti nel doppio match contro i blancos e qualificazione a serio rischio. Conte si accorge di non riconoscersi in questa nuova Inter, ideata per un giocatore che comunque non trova spazio e fiducia e dunque torna all'antico. La vittoria 3-2 contro il Borussia M'Gladbach sembra aver restituito il vero Conte, la vera Inter di Conte, e sopratutto sembra dare la possibilità di passare il girone di Champions: l'ultimo ostacolo è la Shakhtar Donetsk. È inizio dicembre e l'Inter sa di essere ad un bivio, davanti si aprono diverse strade, quella degli ottavi, quella dell'Europa League e infine anche la possibilità di finire l'avventura europea. Deve solo vincere. L'Inter però si trova davanti uno Shakhtar inedito, molto simile alla squadra di Conte per certi versi, uno Shakhtar schiacciato nella sua metà campo, gli attaccanti i primi difensori, e un muro davanti all'area di porta difficile da aggirare. I nerazzurri si trovano costretti a dover fare la partita, ad attaccare negli ultimi trenta metri con la difesa avversaria schierata, senza la qualità balistica di Eriksen lasciato in panchina, senza gli spazi a campo aperto per Hakimi e Lukaku e senza giocatori in grado di saltare l'uomo. Poco senso ha appellarsi alla sfortuna per la chance avuto da Sanchez all'ultimo istante e ancora meno senso hanno le dichiarazioni di Conte a fine partita (argomento sul quale mi sono già espresso in un articolo precedente). L'Inter a dicembre è fuori dalla Champions, finisce ultima nel suo girone ed è dunque fuori da qualsiasi competizione europea.

Il lavoro - La panchina dell'allenatore leccese scricchiola di nuovo, come in estate, come l'anno precedente e l'ombra di Allegri aleggia pesantemente sulla Pinetina. La società però si dimostra coerente e conferma la scelta presa qualche mese prima confermando Conte, che a questo punto ha un solo obiettivo da centrare per salvare la stagione: vincere un trofeo, possibilmente lo scudetto. La partita di Cagliari che segue l'eliminazione dalla Champions inizia con l'ennesimo ripensamento di Conte: Eriksen dall’inizio. Ripensamento non troppo convinto, che dimostra ancora una volta l'andare per tentativi piuttosto casuali del tecnico interista e che ancora una volta vede l'Inter in svantaggio 1-0 con Eriksen in campo. Danese che viene sostituito dopo la solita oretta di gioco, condita da qualche giocata di livello ma anche dalla ricerca di una posizione in campo senza mai trovarla. Come negli episodi precedenti con la sua uscita dal rettangolo verde l'Inter ribalta il risultando, vincendo 3-1. Inter che da quel momento inanella una serie di risultati positivi che si interrompe a Marassi con la Samp, ma che raggiunge il culmine nella vittoria 2-0 contro la Juventus. In tutto questo (siamo nel mese di gennaio) impazza il calciomercato, e i nerazzurri sembrano alla disperata ricerca di un acquirente per Eriksen. Dall'Hertha Berlino al ritorno in Inghilterra fino ad uno scambio con Paredes del Psg, i rumors sono all'ordine del giorno, anche complici le dichiarazioni di Conte e Marotta che senza mezzi termini definiscono Eriksen inadatto al calcio di Conte. Comprensibilmente le possibili acquirenti dopo queste parole e dopo l'annus horribilis del danese, praticamente mai incisivo, si ritraggono per paura che Eriksen abbia chissà quale incompatibilità caratteriale o tecnica. Per fortuna dell'Inter si arriva al derby di Coppa Italia contro il Milan con il danese ancora in rosa, che ancora una volta, come in Champions contro lo Shakhtar viene preso in considerazione solo nei minuti finali. A differenza di quella circostanza però, il recupero è cospicuo ed Eriksen ha a disposizione una manciata di minuti in più del solito e sa che deve farseli bastare per determinare il passaggio del turno. Punizione per l'Inter al minuto 97: è la sua mattonella... gol. È l'istantanea che cambia la stagione di Eriksen e quella dell'Inter. I tifosi nerazzurri e non solo improvvisamente sembrano ricordarsi cosa sia in grado di fare il giocatore che loro stessi avevano accolto con meraviglia ed eccitazione solo un anno prima, e che senza quel gol sembrava davvero un pesce fuor d’acqua come dicevano Conte e Marotta, ma il campo, alla fine, è l'avvocato difensore del talento. Da quel momento in poi l'Inter mette a segno undici vittorie consecutive in campionato che determinano l'allungo decisivo per arrivare al titolo mentre le inseguitrici stentano. Da quella punizione all'incrocio dei pali in poi Eriksen diventa un giocatore fondamentale per Conte. Tutti sappiamo, e ancora di più dopo questa stagione, quanto sia meticoloso nella cura dei dettagli l'allenatore salentino e l'uscita dalle coppe gli ha permesso di esprimere al massimo la sua caratteristica dominante: la cultura del lavoro. L'Inter da inizio febbraio segna tanto e subisce poco, i gol sembrano preparati in allenamento tramite giocate codificate. Se l'Inter di inizio anno era alla ricerca di un calcio più dominante ed europeo, l'Inter della seconda parte di stagione torna all'antico; difesa bassa e ripartenze indirizzate su Lukaku, autentico centro di gravità per il gioco di Conte. L'efficacia del "Contismo" assume ulteriore peso se ad innescare le punte è Christian Eriksen diventato finalmente un giocatore full time insieme a Perisic, altro elemento entrato interamente tra i titolari solo negli ultimi mesi. Due pedine che Conte (ammettendo i suoi sbagli) con un bagno di umiltà e anche e sopratutto per necessità ha dovuto riprendere in considerazione, e senza la frenesia dei tanti impegni che comporta il giocare in coppa ha potuto convincerli e convincersi di quanto fossero utili alla causa interista. Anche in un'Inter con la spia della riserva accesa delle ultime settimana la solidità difensiva è diventata fondamentale per stringere i tempi e mettere le mani sul diciannovesimo scudetto, fino ad arrivare al tardo pomeriggio di Crotone, dove ancora una volta dalla panchina, Eriksen segna un altro gol pesante, il gol dello scudetto. 

IMMERITATO

La mia ha l'ambiziosa pretesa di essere solo una provocazione; non a caso ho aspettato qualche giorno prima di scrivere questo articolo, lasciando che la sbornia di felicità dei tifosi interisti non fosse troppo condizionante nei loro giudizi su quello che stanno per leggere, senza quindi che la prendono quasi come un'offesa personale. Almeno lo spero. Negli ultimi tempi si è parlato spesso di merito sportivo, per le questioni riguardanti la Superlega, e la domanda viene spontanea... da cosa è determinato? Dalla vittoria. Decretare un vincitore è un modo veloce per determinare chi merita e chi no, è il modo che non ammette repliche quando si è costretti a scegliere, il modo per distinguere le opinioni e i gusti personali dal dato di fatto. Il problema è che rischia di passare un concetto pericoloso, perché non tutti riescono a scindere le due cose, non è automatico che il vincitore sia per forza meritevole. Questa premessa doverosa non è direttamente rivolta all'Inter ma più un concetto che faremmo bene tutti a tenere a mente per essere più corretti nei giudizi. Andando poi nello specifico come fatto nei punti precedenti dell'articolo mi sono accorto di come l'Inter sia stata meritevole solo nella fase conclusiva di questa stagione, dopo due-tre mesi che definire discutibili sarebbe un eufemismo. Questo trionfo non può dare un colpo di spugna al fallimento Champions, non può far dimenticare che per un anno sia stato messo in dubbio il giocatore più forte della rosa, non può essere tralasciato il fatto che questa squadra sia stata costruita apposta per il proprio allenatore compreso qualche suo capriccio (Vidal e Kolarov) rivelatosi più dannoso che altro. Dipendesse da me ci metterei anche il gioco tra le cose da sottolineare in negativo, ma a molti piace come gioca l'Inter e sul gusto personale non mi permetto di giudicare. Ma sicuri sia solo questioni di gusti?

L'Inter durante l’anno ha tentato più volte di migliorarsi, con il risultato di trovare la famosa quadra solo a 2021 inoltrato. Nel miglioramento le abbiamo visto iniziare l'azione da dietro, segnare con combinazioni nello stretto, anche tenere il possesso del gioco nella metà campo offensiva: l'Inter ha i giocatori per tentare questa strada ma sceglie di fare sempre la stessa cosa. Si sente forte quando gioca nella sua metà campo, inibendo la fantasia sia degli avversari che dei suoi stessi giocatori, azzerando gli uno contro uno, ed è per questi motivi che farà sempre fatica ad affrontare squadre chiuse, ed è per questo che è uscita dall'Europa. Nonostante Eriksen l'Inter è ancora troppo passiva, un giocatore che ne ha potenziato l'uscita palla, la verticalizzazione, i tempi di gioco corretti ma che non è utilizzato per dominare gli avversari. Per vincere (in Italia) l'Inter si è sempre affidata a quello che il suo allenatore conosce meglio, una confort zone dalla quale non vuole uscire, e che a proposito di uscite gli è costata l'eliminazione ai gironi di Champions per due anni di fila. Un successo nato da un fallimento non può avere lo stesso peso di un successo ottenuto lottando su più fronti. La società ha investito pesantemente per dare in mano a Conte una squadra a sua immagine e somiglianza, ma sarà in grado Conte di dare credibilità europea a quest'Inter o servirà ancora una volta la mano di un altro Allegri come successe alla Juve? L'Inter meritava di vincere lo scudetto, Conte meriterebbe una squadra senza coppe.