Vi starete chiedendo se anche Conte durante la quarantena si sia improvvisato chef stellato; niente paura, l’unica cosa che cuocerà a puntino saranno i suoi giocatori con dei carichi di lavoro in vista della ripresa, come piace fare a lui.
Il titolo è abbastanza intuitivo, mi riferisco chiaramente alla sua celebre frase sul “ristorante da 100 euro” ai tempi della Juve.
Perché 4 ristoranti?
Perché sono 4 le panchine importanti sulle quali si è seduto, Juventus, Italia, Chelsea e Inter, ognuna delle quali ci ha detto chi è l’Antonio Conte allenatore.
Al termine di questa riflessione un po’ come accade nel celebre show televisivo, esprimerò il verdetto su qual’è stato il miglior Conte visto finora.
Tutti a tavola... e buona lettura!    

Juventus
Antonio Conte arriva, (torna) alla Juve nell’estate del 2011, la prima stagione nel nuovo stadio. Compagno e casa nuova per una signora che voleva mettersi alle spalle gli ultimi anni bui. Era una Juve molto diversa da quella di adesso e da quella in cui Conte giocava, arrivava da un settimo posto in campionato, c’era grande entusiasmo ma allo stesso tempo le aspettative erano ridimensionate.
Conte dal primo giorno dava l’impressione di aver dato nuova linfa a tutto l’ambiente Juve, trasmettendo grinta e attaccamento alla maglia, sul campo e nelle dichiarazioni pre e post partita. Un atteggiamento positivo, sempre dedito alla causa e al lavoro. Senza dimenticare quello che diventerà il suo marchio di fabbrica: la difesa a 3. Questi erano i cardini che lo portavano a vincere lo scudetto al suo primo anno di Juve, indescrivibile ed insperato, l’inizio di una nuova era per il popolo bianconero. Questi suoi diktat lo portano a vincere anche per i due anni successivi.Tre campionati vinti su tre, una marcia trionfale in campo nazionale. 
In Europa però le cose andavano diversamente, se ad una Juve ancora acerba per fronteggiare il quarto di finale con il Bayern, si erano trovate attenuanti, l’anno successivo l’eliminazione ai gironi di Champions e la susseguente uscita in semifinale di Europa League, macchiavano quella che sarebbe stata l’ultima stagione di Conte in bianconero.
Da questa stagione in poi aleggerà il sospetto che Conte sia molto meno “efficace” in campo europeo di quanto lo sia nel campionato di competenza. 
Nei tre anni di Juve Conte rende famoso in tutto il mondo il suo 3-5-2, valorizza la BBC (Bonucci Barzagli Chiellini) a tal punto da farla diventare la difesa titolare della nazionale, fa rinascere Pirlo (ammesso che si fosse mai spento), lancia Pogba e trasforma Vidal in uno dei centrocampisti più forti e prolifici d’Europa. Costruisce una Juve ultra competitiva in Italia e la fa tornare stabilmente in Europa.
Perché se ne è andato allora?
Perché dopo le eliminazioni in ambito Europeo, Conte non era più lo stesso. Iniziava ad essere spocchioso, l’attaccamento alla maglia che tanto sbandierava all’inizio della sua avventura era venuto meno. Era attaccato più di tutto al suo lavoro, al suo operato, tanto da difenderlo a scapito di bordate alla società: “Non si può mangiare con 10 euro in un ristorante da 100”. La goccia che fa traboccare il vaso. Agnelli non può sopportare oltre, il resto è storia. A luglio Conte annuncia di lasciare la Juve.

Nazionale
Poco più di un mese dopo aver lasciato la Juventus, Conte firmava per la Nazionale italiana. Scelta che lasciò sbalorditi tutti, perché dava l’impressione di essere un allenatore bisognoso di campo, non un “selezionatore” da una decina di partite all’anno. Per di più da selezionare non c’era molto, la Nazionale arrivava da un mondiale disastroso, e per Conte, che si era lamentato di una Juve non all’altezza, sembrava paradossale andare ad allenare una delle nazionali più deficitarie di sempre. Aveva firmato un contratto biennale, per portare gli Azzurri all’europeo 2016, un altro progetto di ricostruzione, come con la Juve.
Il biennio passa velocemente, le partite non sono molte, ma l’Italia dimostra di avere un’altra mentalità, sopperendo alle qualità tecniche con corsa e unità d’intenti. Cosa che si porta dietro anche all’europeo dove batte la Spagna campione in carica, e perde solo ai rigori con la Germania, con due errori sciagurati. Meglio non ricordare oltre. 
Per uno ossessionato dalla vittoria come Conte non può essere di certo un successo, ma con i mezzi a disposizione si rende conto, come ce ne siamo resi tutti che è stata una piccola impresa arrivare fino a quel punto.

Chelsea
Il sospetto che Conte non potesse resistere troppo a lungo con un lavoro part time come la Nazionale era venuto a tutti, ed avevamo ragione. 
Subito dopo aver portato l’Italia ai quarti di finale dell’europeo, Conte firma per il Chelsea, solita storia: squadra blasonata in cerca di un redentore, decimo posto l’anno prima, giocatori sfiduciati e da rinvigorire, lavoro di ricostruzione. Ancora.
E ancora una volta fa un lavoro superlativo, vince il titolo da esordiente, restaurando una squadra che l’anno prima sembrava inadeguata.
La stagione successiva però inizia con il piede sbagliato, perde il Community Shield contro l’Arsenal, viene eliminato dal Barcellona agli ottavi di Champions e in campionato arriva quinto.
I giocatori che gli erano devoti solo un anno prima iniziano a scaricarlo, e non dargli più la fiducia incondizionata che voleva, inoltre litiga con Diego Costa, uno dei leader dello spogliatoio, nonché uno dei suoi migliori giocatori.
Abramovich non è uno che perdona tanto facilmente, i risultati ottenuti dal suo Chelsea non lo soddisfano, e nonostante la vittoria della FA cup, esonera Conte a luglio.

Inter
Questo capitolo per la verità è ancora da scrivere, ma di spunti Conte ce ne ha dati parecchi. L’Inter non è paragonabile alla prima Juve e neppure al Chelsea, tantomeno alla nazionale. Conte arriva in una società che ha subito un profondo restyling, dalla dirigenza al campo. L’arrivo di Marotta nella dirigenza ha un grande ascendente sulla decisione di Conte nel scegliere la causa neroazzurra. Inutile sottolineare quanto questo abbia ulteriormente inasprito gli umori tra juventini e interisti.
L’allenatore pugliese in realtà si comporta come ha sempre fatto, su questo bisogna dargliene atto, è sempre stato coerente con la sua etica lavorativa, è un professionista.
Il suo inizio di campionato è come al solito a tutta birra, e via ad urlare a bocca spalancata sotto i suoi nuovi tifosi, come se niente fosse, come se avesse sempre tifato Inter.
I problemi paradossalmente arrivano nel il mercato di gennaio con l’arrivo di Eriksen. Al posto che esserne entusiasta, come sarebbe chiunque per l’acquisto di un fuoriclasse (si Eriksen é un fuoriclasse) del suo livello, Conte sembra un bambino che nella calza della befana ha trovato solo carbone. Non si sposa con il suo modo di giocare, non è un giocatore di intensità, e nel 3-5-2 non ha posto. Iniziano ad arrivare anche risultati altalenanti, e dopo l’ennesima eliminazione in Champions (ai gironi) i tifosi interisti iniziano ad essere un po’ insofferenti.
La situazione è poi degenerata con la pandemia, e chissà cosa ritroveremo alla ripresa, forse l’Inter sarà ancora in corsa per lo scudetto, si sa, gli esordi di Conte sono sempre vincenti.

Che dire, io penso di essermi fatto un’idea piuttosto precisa su chi sia l’Antonio Conte allenatore. Un allenatore a cui piace costruire da zero, ed è bravissimo nel farlo, forse uno dei migliori al mondo nel tirare fuori il meglio da giocatori sfiduciati e non di primissima fascia. Viceversa quando deve continuare il lavoro di qualcun altro o dare continuità al suo fa fatica. Perché è un “martello”, gli stessi giocatori che si butterebbero nel fuoco per lui, dopo un certo periodo di tempo iniziano a soffrirlo, e a mio avviso patisce anche le personalità forti, o i campioni già affermati.
Tatticamente è formidabile e maniacale se gli si costruisce una squadra per il suo modulo... Il suo unico modulo, e questo è un grosso limite nel calcio di oggi. 

C’è poi una cosa che ha mostrato in tutte le esperienze, l’insofferenza.
Insofferenza dovuta al voler alzare sempre più l’asticella, cosa che a onor del vero l’Inter sta facendo. A conferma di questo, gli hanno preso Erkisen, (e sottolineo Eriksen!) ma poi non gli trova posto nel suo undici titolare... È proprio il caso di dirlo: Antonio, l’erba del vicino non è sempre più verde. 

E per quanto riguarda il Conte ristoratore, senza dubbio direi che il premio se lo aggiudica quello di Torino, allo Juventus Stadium. Location moderna e accogliente, menù inaspettatamente gustoso, conto piuttosto economico e servizio vincente.