Siamo alla vigilia di Milan-Juventus, partita di cartello della sedicesima giornata del campionato di Serie A. Mentre tutti si chiedono se la banda Pioli riuscirà a portare a casa l’ennesimo scalpo da esibire in questa stagione, una domanda mai banale inaspettatamente compare al mio orizzonte, visto che è già passato un anno dal suo ritorno: quanto ha portato Ibra in questo Milan?
Non è certamente un quesito nuovo, ma pur sempre di attualità. Negli anni, ovunque Zlatan abbia giocato, è sempre stato un valore aggiunto, lo svedese portava in dote la sua voglia di vincere e di lasciare il segno. Ma quest’anno cosa ha realmente portato? Calcolando che in questa stagione prima il Covid e poi gli infortuni lo hanno fermato, lasciando i suoi compagni senza il suo giocatore simbolo.

Apriamo il cassetto dei ricordi e ricordiamo il primo Ibra, quello presentato a San Siro nella stagione 2010-2011. Entrò in campo da non giocatore. Era la prima di campionato, alla fine del primo tempo passeggiando su un tappeto rosso e tutto ad un tratto parlò come d’incanto dicendo: “Ciao a tutti, sono venuto qui per vincere, quest'anno vinciamo tutto".
Con fare spaccone diede impulso ad un Milan che non era certamente nelle grazie di coloro che ambivano a vincere lo scudetto. Il cambio di allenatore, una campagna acquisti all’inizio non travolgente, facevano pensare ad una stagione anemica. Invece, l’acquisto dello svedese fu un toccasana ed insieme a lui arrivarono anche Boateng e Robinho, e nel mercato invernale anche Cassano.
Alla fine vinse il titolo davanti all’Inter e fu anche l’unico scudetto conquistato da Ibra con la maglia del Milan. Sì perché, come la storia ci ricorda, l’anno successivo il titolo sfuggì, nonostante i rossoneri avessero il ruolo di favoriti, cosa che non era nell’anno dello scudetto, e delle parole iniziali di Ibra (vinciamo tutto) rimase solo uno scudetto ed una Supercoppa Italiana.
Poi Ibra fu ceduto, il Milan smantellato dalle sue radici e le stagioni con lui in campo rimangono il più alto livello del Milan negli anni a venire.

Ma come dice la canzone di Venditti, ripresa a volte da Galliani durante il suo periodo al Milan per commentare alcuni cavalli di ritorno: “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Amori indivisibili, indissolubili, inseparabili…”, Ibra come Ulisse ritorna ad Itaca e ritrova non più il Milan e la Milano che aveva lasciato, ma una squadra che aveva bisogno di un leader per ripartire.
Se il primo Ibra, guascone nei toni, con voglia di rivalsa dopo il periodo barcellonese ma consapevole della grandezza di quel Milan, esaltava la folle parlando di vincere tutto, quello arrivato un anno fa entra quasi in punta di piedi, sempre osannato come un Dio, ma consapevole che di quel Milan erano rimasti solo Milanello e Maldini.
Niente era più come prima, solo pagine sbiadite di un passato che veniva raccontato come medicina per rinvigorire i stanchi tifosi, che nel frattempo si erano dovuti sorbire anche una parentesi cinese, grottesca e con un finale pirotecnico.
Ma occorreva provarci perché se Dio ha creato il mondo in sette giorni, lui che dio si crede, si è dato comunque un tempo per iniziare a vedere i primi risultati.
All’inizio solo sei mesi, perché la sfida doveva vincerla prima con se stesso e poi con l’ambiente. Con il suo carattere ha iniziato ad insegnare agli altri cosa significa giocare nel Milan, per il Milan. E la sua presenza ed il suo esempio sono stati sprone per i compagni.
Intanto ha ridato entusiasmo. Lo hanno dato lui e lo hanno dato i risultati che sono arrivati con il suo arrivo.
L’entusiasmo così come il carattere sono cose che non puoi comprare. L’entusiasmo è un qualcosa che deve nascere da basi solide, altrimenti non dura neanche il tempo di capire che era solo un’illusione. Per non parlare del carattere, quello o ce l’hai oppure sei una persona normale. Ed Ibra non è certamente una persona normale.

Nei sei mesi di Milanello ha dovuto combattere anche con i fantasmi di una stagione iniziale fotocopia delle annate precedenti. Una stagione che cambia all’improvviso e regala emozioni assopite per troppo tempo.
Ibra le gioca tutte e alla fine, visto che il Milan non può rimanere un’incompiuta, firma per un altro anno, firma un contratto importante, vista l’età, per continuare a guidare i suoi “figli” dal campo.
Non lo ferma neanche il Covid, nemico dell’umanità che tanto dolore sta arrecando, e non si ferma neanche il Milan in sua assenza. Iniziano a fermarlo gli infortuni e le ricadute che vanno messe in preventivo. Ma lui… Lui è lì sempre presente anche se non in campo, perché la sua funzione di padre rifondatore passa dal campo (quando gioca), alla panchina (quando è ai box), come un dogma per i suoi fedeli. Tutti lo seguono come ispiratore di obiettivi possibili da raggiungere solo con il lavoro.
Ed ecco perché in campo non scende un solo Ibra, ma tanti piccoli Ibra che sono ad immagine e somiglianza dello svedese. E se uno come lui meglio averlo in campo, sempre e comunque, la sua assenza per infortunio ha messo in evidenza come il suo esempio e la sua leadership sino stati pungolo per altri suoi compagni.
Ecco perché vediamo Ibra in porta, quando Donnarumma incita i compagni, esaltando il ruolo del portiere grazie alla sua classe. Lo vediamo in difesa, con il senso della posizione di un danese che al Milan era passato per uno scarto dell’Atalanta, ed invece divenuto pietra angolare della difesa. A centrocampo quando il “Presidente Frank” in mediana diventa uno scoglio impenetrabile o quando il Turco decide di prendere la croce sulle spalle e diviene fonte di ispirazione per i compagni. O in attacco dove a turno provano a sostituire quello svedese che in teoria tanto sostituibile non è.
Ibra c’è! E con le dovute proporzioni è in ognuno dei giocatori che scende in campo.
Ecco cosa ha realmente portato Ibra in un anno di Milan!
Perché il metro di giudizio non sono le vittorie.
Lo svedese per il Milan è come il Rinascimento. Quel periodo storico-artistico era frutto di una nuova consapevolezza dei mezzi dell’uomo e della sua potenza, in contrapposizione al Medioevo. Al Milan tutto questo è visibile e tangibile dal momento del ritorno dello svedese a Milanello. Dalla fase di declino, che ha allontanato la società dall’élite del calcio mondiale, ad una fase di ricostruzione che necessitava di qualcuno che facesse riassaporare la storia rossonera. Una storia tramandata dai senatori ai nuovi, in un processo di ricambio generazionale, dove valori, sacrificio ed unità erano le doti per giocare nel Milan.
Tutti si sono sentiti responsabilizzati e tutti hanno dato quel valore aggiunto che mancava da molto tempo.

Quando dico che in questo Milan ci sono tanti piccoli Ibra non mi sbaglio, non voglio essere eretico, e non voglio sminuire neache chi lo sta sostituendo degnamente. Negli allenamenti facoltativi la maggior parte dei giocatori risponde presente perché antichi valori sono riemersi dopo tanto tempo e ci voleva qualcuno che li facesse riemergere.

Quest’anno gli infortuni stanno frenando la sua presenza in campo, ma non hanno frenato la crescita della squadra. È Milanello “l’orto” dove il seme è stato piantato e viene coltivato con cura ed è il campo il luogo si può ammirare tutto questo. 
Il Milan che punta sui giovani, su quelli di valore, ha bisogno che crescano in fretta. Non solo a livello tecnico ma anche a livello personale e diventino in futuro, a loro volta, esempio e guida per chi giocherà con la maglia rossonera.
Ecco perché nonostante l’età, nonostante gli infortuni, un altro anno di Ibra sarebbe utile per continuare quel processo di crescita che è ripartito insieme a lui. Una crescita che non deve per forza ripartire con un successo immediato, anche se nulla deve essere lasciato al caso per non avere rimpianti futuri, ma deve procedere passo dopo passo.
Nel frattempo rimaniamo fiduciosi perché nonostante Ibra sia unico e inimitabile tanti piccoli Ibra sono presenti e, con il loro entusiasmo e la loro sfacciataggine sono pronti a far tornare il Milan dove merita.

Mercoledì, giorno dell’epifania, è un altro passaggio di questo percorso e, comunque vada, la gara con la Juventus non sarà affatto decisiva. Permetterà di misurarsi e prendere le misure con chi ha saputo ripartire da zero, e da questa rinascita ha trovato la forza per recitare negli anni un ruolo da protagonista.
Ma anche il Milan ritornerà ai livelli che gli competono, grazie ad Ibra e ai tanti piccoli Ibra che sono parte integrante di questo processo di crescita.