Chi si preoccupa in questi giorni delle sorti del calcio europeo, e mondiale, dopo la sentenza della Corte sulla Superlega, credo conosca poco il gioco dei giorni in cui era condiviso dal più vasto pubblico: quelli anteriori alla sua divisione televisiva. Il mezzo e gli usi che se possono fare, con i soldi derivabili, hanno mutato irrimediabilmente la ragione di essere del "gioco più bello del mondo", preponendo proiezioni, a mo' di scommesse, alla risposta sul campo.
Allora hanno fatto irruzione, ad esempio, considerazioni tutte a priori sulle perdite non possibili, o difficilmente ammissibili, per le "società di prima fascia": creando così una sperequazione che poco ha a che vedere con la qualità democratica del pallone ma molto con la distrazione di un pubblico che in altri tempi si sarebbe mosso, almeno per rilevare le contraddizioni interne a una simile definizione.
Questo fa sospettare anche che buona parte del pubblico odierno, quello che ha disertato le categorie minori che costituivano la linfa del nostro assetto organizzativo, assapori una patina superficiale che nulla riguarda la sostanza stessa dello sport in questione. Ciò viene indicato, in particolare, dal fatto che sempre meno se ne occupino reduci dal rettangolo d' erba e, sempre più, detengano il societario potere decisionale dirigenti d' occasione, trovatisi lì dagli ambiti dei consigli d' amministrazione, delle industrie, delle organizzazioni finanziarie.

E' il riflesso di una concezione che vede la figura di un imprenditore non partecipante all' esistenza dell'azienda: un personaggio legato, più che all' operatività on location, al mondo della finanza. Il calcio ha seguito le sorti del resto della produzione globale. Ecco che allora tutti ci preoccupiamo dell'avvento nel suo contesto dei petroldollari, dopo aver accettato tutti insieme l'effettuazione di un mondiale in Qatar, salvo lamentarci, dopo la sentenza citata, dei pericoli connessi con l' afflusso di denaro mediorientale e che, nel complesso, si sintetizzano nella perdita di polarità del calcio europeo.
Non credo, però, che le tre società ribelli al diktat di Ceferin potessero vantare accordi in tal senso. Ma la tentazione di sfruttare l'opportunità aperta dalla Corte sportiva potrebbe presentarsi per enti disposti a cogliere una ghiotta occasione. Un'eventualità che, a mio avviso, avrebbe prospettive limitate.

La natura del calcio, come già accennato, è quella di un evento condiviso in presenza. Qualsiasi tentativo di negarne tale qualità, pur presentandosi all'inizio come seducente eventualità, si arenerebbe alla lunga. Ascolto spesso alla radio pubblicità di reti trasmettitrici di partite che, fino all' anno scorso, sarebbero apparse alquanto improbabili. Eppure, anche in questo caso può paventarsi una crisi: e, prendere fisionomia la chiave di lettura del futuro delle superleghe e della frantumazione dello sport della pallapiede, verso una Whatsappizzazione e, al limite, chattizzazione di un'esperienza che in passato si è legata perfino allo sviluppo di civilizzazioni;  in definitiva, come lo spettro di Ebenezer Scrooge, la presentazione di una prospettiva di un proprio e non troppo lento declino.