(Dedicato a chi è convinto che la propria vita non possa più cambiare.)

Non era stata una giornata facile, quella di Franco. Ricevere e declinare la solita gragnuola di opportunità professionali sfidanti, che l’azienda “generosamente aveva deciso di offrigli” non era sempre facile. Nel presentare, infatti, gli innegabili vantaggi dell’accettare l’opportunità concessa dall’azienda, si intravedevano, celati tra le righe, ma comunque ben riconoscibili, gli svantaggi del non accettare: “il responsabile dell’area engineering ha letto il tuo curriculum e ha insistito perchè l’opportunità venga concessa a te, e non ad altri, e rimarrebbe davvero dispiaciuto (leggi contrariato) se tu non dimostrassi di aver ben compreso il valore di questo riconoscimento che ti viene concesso.”

L’insistenza, poi, con cui venivano riproposte, in tutte le salse, rendeva sempre più evidente che dietro di esse, in agguato, si celassero fregature colossali, ma anche sempre più difficile dire di no, senza almeno aver fatto finta di aver preso ben coscienza dell’irripetibilità e della irrifiutabilità dell’opportunità, e di quanto poco sarebbe stato gradito sentirsi dire ancora una volta no.

Franco da questo punto di vista era costantemente sotto assedio, ed era difficile per lui dire sempre di no! Si trattava di assumere ruoli che indiscutibilmente avrebbero consentito a Franco di allargare i propri orizzonti, e questo, badate bene, non solo metaforicamente, ma anche geograficamente. L’azienda per cui Franco lavorava aveva sedi dappertutto: a Kandahar, a Kabul, a Teheran. Franco, accettando le opportunità offerte dalla sua azienda avrebbe dovuto trasferirsi in posti del mondo che, qualora fosse poi riuscito a tornare a casa vivo, gli avrebbero permesso di beneficiare enormemente del proprio bagaglio professionale.

Il tutto, naturalmente, sempre in ottica di doversi ogni volta rimettere in gioco, al centro di nuove opportunità, in un valzer che, al di là delle monumentali corbellerie sfacciatamente propinate dall’ufficio del personale, non poteva che avere un unico epilogo possibile: l’uscita anticipata dall’azienda in cambio di qualche sacco di prelibati legumi assortiti, che sarebbero dovuti bastare ed avanzare per condurre quella trentina d’anni che rimaneva della loro vita, tutto sommato in un dignitoso stato d’indigenza.

Dopo un’intera giornata passata a rintuzzare attacchi di tutti i tipi, a Franco non sembrava vero che di lì a poco avrebbe potuto lasciare l’ufficio. Nel frattempo, però, nonostante la consuetudine del tardo pomeriggio fosse quella di non aggiungere altro carbone nella caldaia, e di procedere “di inerzia”, questa consuetudine sempre più spesso capitava non venisse rispettata. In particolare, continuavano ad arrivare in modo assolutamente incontrollato, come fossero ancora in piena mattinata, scocciature provenienti sempre più da colleghi americani, i quali, appena svegli, belli freschi di colazione, ancora col croissant in mano, fregandosene altamente di disturbare gente che aveva alle spalle già una decina d’ore di lavoro, se ne uscivano con richieste di assistenza palesemente provocatorie.

Sempre confidando, però, sul fatto che un tardo pomeriggio, da che mondo è mondo, a meno che qualcuno non ci si mettesse d'impegno per fare in modo che le cose non andassero lisce, si è sempre comportato da tardo pomeriggio. Al mattino Franco aveva addirittura osato immaginare di poter fare, nel tardo pomeriggio, una scappata per andare a dare un’occhiata al nuovo centro polisportivo, inaugurato ormai da un paio d’anni. Era da molto, infatti, che Franco carezzava il sogno di riprendere a giocare a tennis. Alla fine, ne era consapevole anche lui, si trattava solo di un capriccio, ma di un capriccio di una categoria particolare: di quelli che, vinto l’immancabile accesso di senso di colpa, ad esaudirli sarebbe bastato davvero poco! Talmente poco, che il fatto che non fossero mai stati esauditi, nonostante fossero lì da sempre, li faceva rientrare a buon diritto tra quei fenomeni della psiche umana su cui intere scuole di pensiero si erano confrontate, senza esclusione di colpi, ma anche senza che nessuna riuscisse a prevalere sulle altre.

Fenomeni, dicevamo, misteriosi… inspiegabili; di quelli che a volte si trascinano per anni, prima di riuscire quando ormai credevi di non pensarci più, ad essere esauditi (neanche sempre, e in ogni caso mai in un tardo pomeriggio!).

In altri tempi, ormai lontani, il capriccio avrebbe addirittura previsto, nelle sue versioni più sfrenate, persino la partecipazione di suo figlio Luigi, ma, (appunto), trattavasi di capriccio, di desiderio troppo pretenzioso. Adesso, che gran parte delle sue (di Luigi n.d.r.) giornate le passava davanti ad una tastiera e ad un monitor, anche solo farlo scendere dal letto poteva ritenersi un desiderio troppo ambizioso.

Come avessimo potuto, tutti noi, spingerci così tanto nella direzione sbagliata; rendere così insopportabilmente irrespirabile quell’aria che alla fine, ogni giorno, noi stessi, ci condannavamo l’un l’altro a respirare era difficile dirlo. Ci toccava.
Come una condanna, ogni mattina essere svegliati, non dico dalla musica di una radio-sveglia, né tantomeno dal canto degli uccellini, bensì da versi animaleschi, che, giuro, se non fosse che stessimo parlando di Franco e di sua moglie, tragicamente coinvolti in tutto ciò, troverei persino comici da descrivere: sbuffi violentissimi, veri e propri ringhi, sordi e minacciosi tanto quanto le occhiate fulminanti, e il digrignamento di denti che entrambi si rivolgevano contro, nella tacita speranza, così facendo, di indurre l’altro o gli altri a togliere quanto prima il disturbo.

In aggiunta a tutto ciò, si era messo anche di traverso questo fine pomeriggio, così recalcitrante, a rendere chiaro a Franco, ancora una volta, quanto fosse stato assurdo il suo mattiniero slancio ottimistico. Ancora una volta il tanto atteso tardo pomeriggio si era messo di traverso, e la reazione di Franco non poté che  essere quella di sempre: spegnere quel desiderio, tornare immediatamente, senza battere ciglio, a capricci meno pretenziosi, fare in modo che quest’ultima, ennesima piccola delusione non fosse mai esistita; solo frutto della sua incontentabile immaginazione.

Nel fare questo, Franco notò con un certo compiacimento che il gioco dei desideri da accendere e spegnere a comando gli riuscisse ormai alla perfezione. Dipendesse solo da quello, gli scappò di pensare, vivere ancora a lungo una vita così, non sarebbe poi stato così difficile.

Nonostante la delusione fosse ormai passata, Franco, prima di tornare a casa decise di fare comunque qualcosa per cercare di recuperare quello che quel tardo pomeriggio, bontà sua, forse, ancora di buono aveva da dare. Erano quasi le otto, e, buona la prima, a Franco non venne niente di meglio in mente, se non di fare un salto veloce al vicino centro commerciale, di strada per tornare a casa, con l’idea di comprare qualcosa di appetitoso, sperando che questo potesse contribuire a distendere gli animi. In una corsa contro il tempo (si erano nel frattempo fatte le otto e mezza) Franco, per non perdere nemmeno un secondo utile, decise di parcheggiare alla vigliacca nell’atrio: direttamente all’interno del centro commerciale, proprio a ridosso dell’ingresso dell’ipermercato, lasciando le chiavi della macchina inserite nel quadro, nella speranza che gli addetti della sicurezza, mossi a compassione nei confronti di una persona evidentemente in stato di bisogno, gli facessero la cortesia di trovare loro, un posto più consono dove parcheggiare.

Franco, una volta all’interno dell’ipermercato, senza andare troppo per il sottile, aveva in pochi minuti fatto una veloce scorribanda tra gli scaffali arraffando alla disperata quel che gli si parava innanzi.
Le addette del centro informazioni, che dalla loro postazione rialzata avevano assistito alla scena cogliendone tutta la grottesca tragicità, impietose, si divertivano a diramare ripetute comunicazioni di imminente chiusura, con relativo invito ai gentili clienti di appressarsi alle casse per perfezionare gli acquisti.

Franco aveva riempito il carrello in piena modalità “cataclisma imminente”; la consueta attenzione nella scelta di prodotti in offerta per una volta sarebbe andata a farsi benedire: non era certo quello il momento e il luogo per sottilizzare sulle offerte, ciò che importava era che fosse roba “collaudata”, di sicuro gradimento, o comunque roba nuova, promettente, potenzialmente in grado di rallegrare il nostro umore tetro da serata “storta”. Uscito dall’ipermercato, Franco trovò la macchina parcheggiata fuori, con chiavi ancora lì, dove le aveva lasciate, e se ne rallegrò: di tanto in tanto, da qualche parte, un Dio sembrava davvero esistere! Arrivato a casa, e portate su le decine di sacchetti di spesa emergenziale, Franco stava per aprire la porta di casa quando fu preso, come sempre gli capitava quando arrivava a casa con la spesa, da sensazioni ancestrali, scolpite nella parte più recondita e inaccessibile del cervelletto del primate che si cela in ognuno di noi, esseri umani “evoluti”.

Erano le sensazioni primordiali dell’uomo di casa che torna, dopo una lunga, faticosa e pericolosa battuta di caccia, accolto da bimbi festanti per il ritorno del papà e dalla donna, che si scioglie in un pianto irrefrenabile nel veder tornare ancora una volta a casa il proprio uomo, ancora una volta sano e salvo. A nulla erano servite decine di migliaia di anni di accoglienze fredde, per non dire ostili, dell’uomo di casa che ritorna dopo aver passato una giornata non più a fare appostamenti per uccidere l’orso, ma in attività di sopravvivenza ben più stressanti: attività volte a pararsi il didietro da tentativi vari di intromissioni non autorizzate, seguendo ogni volta strategie diverse, ordite da colleghi privi di scrupoli, e messe in atto da uccelli Paduli, svolazzanti ad altezza sfinterica.

Colleghi la cui spregiudicatezza, nel corso dei millenni, si era modificata nelle modalità di esplicarsi: ora più subdole, ma non per questo meno pericolose.

Dicevamo, a nulla erano serviti decine di milioni di ingressi in casa con la spesa fatta, salutati dalla più totale indifferenza, per scalfire nell’uomo che torna dopo aver fatto la spesa, la speranza di vedersi accolto al suo rientro come il suo (più fortunato) progenitore. Smaltita quindi la delusione di vedersi accolti, entrando in casa, persino (così gli era parso) con una punta di fastidio, Franco aveva sommessamente preso a sistemare in frigo, cercando di passare quanto più possibile inosservato, quelli che, fino a pochi secondi prima, gli erano parsi trofei di caccia degni di essere celebrati con tutti gli onori.
Ma ormai non poteva certo finire così! Sarebbe stato fin troppo bello sperare, ora, che le cibarie acquistate venissero semplicemente, anonimamente, riposte in frigo senza dover, ora, per ognuna, fornire spiegazioni convincenti. L’ingresso in scena di queste cibarie, che nel cervello di homo sapiens di Franco doveva servire per dimostrare alla famiglia che la battuta di caccia non era stata infruttuosa, era invece percepito dalla donna sapiens di casa come un tentativo di sminuire il suo prezioso contributo, (come ad esempio la cura della casa e l’educazione dei figli) svolto anonimamente, senza trionfalismi. Un vile tentativo di affermare troppo a buon mercato una qualche posizione di predominio da parte del maschio all’interno delle mura domestiche. Se Franco sperava di vedersi riconosciuta la propria importanza nella casa, il proprio ruolo di capo famiglia, semplicemente facendo una puntata veloce all’Ipercoop e acquistando qualche surgelato o cibo precotto, si sbagliava di grosso. Il risultato di questo passaggio in rassegna da parte della moglie di Franco di ognuno dei prodotti comprati, ognuno con annessa critica, (come ad esempio l’acquisto di un prodotto in scadenza di lì a qualche settimana, ma che Franco aveva fin da subito dichiarato di voler consumare in serata), ebbene, a nulla era valso dire che mangiando in serata il prodotto, la scadenza ritenuta normalmente troppo ravvicinata, in questo caso poteva essere trascurata.

“E’ una questione di principio! Se un prodotto ha una data di scadenza così ravvicinata, vuol dire che comunque è da ritenersi più a rischio del normale!” Altri prodotti, se ne ricordava benissimo lei, li avevano già provati in altre occasioni. Occasioni che, come sempre, Franco non ricordava affatto, mentre lei, invece, ricordava con una tale, esuberante dovizia di particolari, da rendere ridicolo anche solo ipotizzare di contrappore ad un così sovrabbondante e smisurato spiegamento di memoria, un banale: “non ricordo”. Inutile inoltre dire che ognuno di questi prodotti si fosse a suo tempo rivelato deludente, e il ricordo di ciò era nitido e incontestabile. Alle dieci, dopo un lavoro incessante e… spossante, i prodotti erano stati uno ad uno passati in rassegna, recensiti e… stroncati.

Per ognuno di essi, poi, era stato individuato il vero, subdolo motivo che aveva spinto Franco ad acquistarlo. In un caso era una raccolta punti, per la quale l’acquisto del prodotto in questione sarebbe stato utile. In un altro si trattava di prodotti che Franco stesso definiva cibi consolatori (patatine, Coca Cola, barrette di cioccolato al latte). Egli, per quanto riguardava questi prodotti, non aveva difficoltà ad ammettere, più o meno candidamente, che si trattava di cibarie che non avrebbe mai dovuto comprare. Si trattava di roba infantile, che solo un bambino poteva immaginare andasse bene come cena a tavola.
In un altro ancora, la moglie di Franco aveva notato che tra gli ingredienti elencati, ce n’era uno che conteneva allergeni in quantità ridottissime, ma potenzialmente dannose per l’organismo, arrivando, quindi, in alcuni casi ritenuti estremamente improbabili, a causare la morte, spingendosi con l’immaginazione dove nemmeno lo sceneggiatore più fantasioso sarebbe mai stato capace di arrivare.

Solo una mente diabolica, solo una persona abietta avrebbe potuto concepirli.

Franco non si riconosceva affatto in un ritratto del genere. Forse non era la persona innocua ed inoffensiva che a volte gli aveva fatto comodo apparire, ma nemmeno dopo 10 anni di lavoro su sé stesso in Tibet, nemmeno dopo un programma di psicoterapia e di introspezione tali da rivoltare il suo conscio, ed anche il suo subconscio come due calzini, Franco avrebbe potuto cambiare così radicalmente, al punto da somigliare anche solo vagamente alla persona che sua moglie vedeva in lui.
Ma allora, perché sua moglie lo odiava così tanto?
Tutta la pazienza, tutta la sopportazione di continue insinuazioni, di sospetti, di accessi d’ira mai accompagnati poi, una volta rientrata la pazzia, e tornata la ragione, da un “mi dispiace”, un “perdonami”, uno “scusami”, a cosa erano valsi?

Forse ciò che sua moglie, poco alla volta aveva trovato insopportabile in Franco era proprio questo suo essere sempre migliore di lei. In tutto! Il più paziente, il più saldo nei principi, il più spiritoso, persino (se questo avesse un senso) il più capace di sopportare sé stesso.

Franco era confuso; e in modo confuso giunse finalmente a comprendere ciò che la razionalità gli aveva da sempre impedito di capire. Ma capì anche che non doveva assolutamente sforzarsi di capire di più, di capire meglio.
Un nuovo equilibrio stava nascendo; e come un fiore delicatissimo abbisognava di cura, molta cura
; nuove consapevolezze si diffondevano e spazzavano via vecchie consuetudini. Di certo, per come era nata, e poi proseguita, e infine conclusa, la serata che ora volgeva al termine sarebbe rimasta a lungo nelle loro menti.

Ad un certo punto, la moglie di Franco, stanca da morire, andò a dormire. Non c’era più rabbia in loro: ognuno, dentro di sé sentiva di non aver fatto abbastanza, ognuno sentiva, in cuor suo, che avrebbe potuto dare di più, fare di più e meglio, e che forse non tutto era da considerare perduto.
Franco, nel letto, si girò piano, cercando di non fare rumore, ma vide che anche sua moglie, come lui, non stava dormendo. In silenzio, Franco le prese delicatamente la mano.
Si addormentarono così
.