Si sa, il doppiopesismo è un male incurabile e inestirpabile della razza umana. E se discettiamo di calcio il doppiopesismo diventa triplopesismo, quadruplopesismo, ecc... a seconda di chi si vuole colpire. 

Non scopriamo certo oggi di quanto la Juventus sia indigesta a un sistema pallonaro incapace di colmare il gap con l'Europa che conta, ergo vale il vecchio motto italico "se non li puoi battere sul campo cerca di eliminarli nei tribunali". E questo in linea di massima è quanto avviene quotidianamente in Serie A, laddove le motivazioni di tanto odio - non solo sportivo - sono da riscontrarsi nel ritardo tecnico ed economico dei competitors.

Il problema sorge quando si sconfina in una motivazione che tecnica ed economica non è.
Ieri sera è andata in scena l'ennesima dimostrazione di come nelle curve degli stadi italiani siano presenti trogloditi scimmieschi che nulla hanno a che fare con la società civile e che hanno subissato di cori razzisti Blaise Matuidi e Moise Kean.
Categorica ma educata la risposta dell'attaccante diciannovenne bianconero che dopo il gol del raddoppio si ferma davanti ai 'tifosi' che lo avevano beccato per 82 minuti fissandoli con le braccia allargate, come dire: e adesso? Fin qui la 'normalità' dell'evento sportivo. Il peggio è andato in onda poco dopo, con le parole assurde proferite dal presidente cagliaritano Tommaso Giulini:

"Kean ha sbagliato e me lo hanno detto anche i giocatori della Juve. Il Cagliari rifiuta le accuse di razzismo. Io ho sentito soprattutto dei fischi, sarebbero arrivati ugualmente a tutti gli altri giocatori. Se ci sono stati degli ululati sono da condannare".

E di grazia, cosa avrebbe dovuto fare il povero Kean? Andare sotto la curva e urlare "avete fatto bene ad insultarmi tutta la partita per il colore della mia pelle?" E ciò che è, se possibile, ancora più grave è che Giulini nella sua invettiva è ben spalleggiato da sedicenti giornalisti-opinionisti-sparlatori di professione che non perdono occasione di infangare la Juve. Fuori luogo, a mio avviso, anche le dichiarazioni di Leonardo Bonucci: "la colpa è per metà di Moise". 

Tralasciamo per un attimo il fatto che Moise Kean è italiano dalla nascita e che sta regalando gioie alla nostra nazionale che non ricordavamo più da un pezzo e facciamo un rapido raffronto con quanto accaduto il 26 dicembre dello scorso anno a San Siro tra Inter e Napoli in una situazione analoga.
Koulibaly viene accompagnato da ululati per tutta la partita e sul finire del match si fa cacciare per aver applaudito polemicamente l'arbitro, reo di averlo - correttamente - ammonito. Il centrale senegalese si giustifica affermando che l'applauso era indirizzato al pubblico nerazzurro. Conseguenze: il procuratore della Figc Giuseppe Pecoraro si affretta a ribadire che secondo lui la partita andava sospesa, ma che la decisione spettava all’arbitro e alla questura, mentre il Giudice Sportivo ordina che l’Inter giochi due gare “prive di spettatori e un’ulteriore gara con il settore secondo anello verde privo di spettatori a causa dei cori razzisti gridati dal pubblico verso Koulibaly". Per quanto concerne gli strascichi mediatici scaturiti dall'onda emotiva non mi ricordo una sola voce fuori dal coro che non abbia aspramente - e in modo sacrosanto - condannato gli strali dei supporters dell'Inter. A Napoli hanno pensato bene di coniare l'hashtag 'siamo tutti Koulibaly' e hanno rivendicato e ottenuto la solidarietà di tutto il mondo pallonaro e non, compresi i rivali della squadra partenopea.

Tornando sulle reazioni post Cagliari-Juve, non solo non si è vista unanimità nel condannare - e isolare - i facinorosi. Anzi, il presidente cagliaritano si è ben guardato dal puntare il dito contro i suoi curvaioli e a ruota hanno seguito il suo esempio frotte di haters (non saprei come altro definirli) che hanno colpevolizzato l'esultanza - non polemica - di Kean.

In conclusione una morale la si può trarre: anche se due persone nascono nello stesso luogo c'è sempre uno che ha la pelle più chiara dell'altro. O, se preferite, lo 'sporco negro' è sempre quello che gioca nella squadra avversaria. Se poi c'è di mezzo la Juve, lo 'sporco negro' da vittima rischia persino di diventare carnefice.