Analizzare a mente fredda una sconfitta, ancorché non definitiva, non è esercizio per tutti. La cosa più semplice è puntare il dito contro il capro espiatorio di turno, sia esso l'allenatore (nel calcio) o le minoranze etniche (in politica). Riguardo a quella che - probabilmente - verrà ricordata come una stagione buttata via dalla Juventus, ritengo che invece le responsabilità siano piuttosto chiare.

Per il grande filosofo di diritto e giurista del XX secolo Carl Schmitt, "sovrano è chi decide sullo stato di eccezione". In parole povere, a detenere il potere in ultima istanza è colui il quale (persona o organo istituzionale) assume su di sé la capacità di imporre la legge marziale in tempo di guerra o di grave crisi interna. Attenzione, però: se la persona o organo istituzionale deputato a prendere le decisioni in ultima istanza decide di non decidere, automaticamente decade la sua sovranità. Cioè perde, in un solo colpo, legittimità e potere. 

Il pensiero politico di Carl Schmitt si adatta in modo sublime alla posizione del presidente Andrea Agnelli. Un presidente che a un certo punto della sua governance, ha deciso inspiegabilmente di silurare il miglior Direttore Generale (scritto volutamente in maiuscolo) in circolazione, Giuseppe Marotta, di fatto abolendone la carica. A prenderne il posto, ma non le mansioni, sono stati il vicepresidente Pavel Nedved e il chief football officer Fabio Paratici. 

Non ho né la voglia né il tempo per elencare la sequela di errori fatta dall'improvvisato duo, sia a livello tecnico sia in conto economico, poiché questo articolo è diretto al vero responsabile della situazione tutt'altro che rosea che sta attraversando la Juventus: il presidente.

A.A. ha dimostrato nell'ultima decade di possedere una vision moderna sul futuro non solo dell'azienda nella quale ricopre il vertice, ma del prodotto calcio in generale. Ed è una strategia che va ben oltre il rettangolo verde, cercando di esportare l'industria dell'entertainment sportivo sui mercati asiatici e nordamericani. Ciò, sicuramente, gli va riconosciuto. Tuttavia, in questa sede non si sta analizzando la visione strategica di lungo periodo, ma la "pura e semplice" gestione aziendale della F.C. Juventus. Urge dare una risposta a un paio di domande:

1) Negli ultimi 18 mesi, vale a dire da quando è cambiato l'organigramma societario dopo l'allontanamento di Marotta, i risultati sportivi sono migliorati o quantomeno rimasti stabili? 

2) Nello stesso periodo, i risultati in conto economico sono migliorati o quantomeno rimasti stabili?

In entrambi i casi la risposta è negativa. Ergo, abbiamo un problema. E questo ci porta ad altre due domande:

3) Chi è deputato a risolvere tale/i problema/i?

4) Colui il quale è deputato a risolvere tale/i problema/i è in grado di farlo?

La prima ha una risposta, la seconda no. A.A. è l'organo sovrano della società F.C. Juventus, il punto è se è in grado di decidere sullo stato di eccezione. A mio parere, in linea teorica è perfettamente capace di risolavere il punto 4, ma non lo farà per una serie di "commi" che elencherò in modo didascalico:

i) A.A. non si pensa come "capo del governo", ma come "presidente della Repubblica" o "monarca". Un capo di stato, al contrario di un premier, è "deresponsabilizzato" delle sue funzioni (principio di irresponsabilità, artt. 89 e 90 della Costituzione italiana), infatti ogni suo atto deve essere controfirmato dal ministro competente che se ne assume la responsabilità. In parole povere, A.A. delega, non decide. Può, in caso di conclamata incompetenza, rimuovere i "ministri" dal proprio dicastero, ma mai sostituirsi a loro nell'esercizio delle funzioni;

ii) dal "comma" i) ne discende che: l'allenatore è scelto dal vicepresidente e dal chief football officer, i quali si assumono la responsabilità in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi sportivi. L'allenatore, anche in presenza di conclamata incompetenza, non può essere rimosso dal presidente, ma unicamente dal vicepresidente e dal chief football officer che si assumono la responsabilità di una tale decisione;

iii) l'operato dei "ministri" viene valutato a fine anno, mai durante. Anche in presenza di conclamata incompetenza, il vicepresidente e il chief football officer rimangono in carica almeno fino al termine della stagione agonistica, quando il loro operato viene posto sotto la lente del presidente. Egli, autonomamente, può decidere se riconfermare i propri ministri o sotituirli.

Dai tre commi suindicati si evince che il presidente vuole mantenere un ruolo "super partes" rispetto all'ordinamento societario. Il problema è che tale ordinamento funziona in condizioni di normalità. Lo stato di eccezione, come dice il termine stesso, è un caso straordinario. Ebbene: se la situazione con l'attuale allenatore o con chiunque altro dovesse precipitare, CHI deve decidere se intervenire e come intervenire? In altre parole: A.A. scenderebbe dal soglio monarchico per "lordarsi le mani" tagliando qualche testa in corso d'opera? O lascerebbe fare il lavoro sporco ai suoi ministri? O non farebbe nulla rinviando le decisioni importanti a fine stagione?

La risposta non è così semplice. Nedved e Paratici sono una SUA scelta, esattamente come è stata una SUA scelta allontanare Marotta. Cacciarli via, anche a seguito di un anno senza titoli, vorrebbe dire sconfessare se stesso. Esonerare l'allenatore (o fare pressioni per esonerarlo) vorrebbe dire sconfessare Nedved e Paratici che l'hanno scelto, e quindi sconfessare sé stesso. Affiancare loro un terzo ministro vorrebbe dire accordare una bella dose di sfiducia ai due, ovvero ancora una volta sconfessare sé stesso.


A.A. nella sua immensa boria deve aver pensato di poter regnare senza governare, di poter fare a meno di un primo ministro solo perché il suo regno si chiama Juventus. In questa stagione invece conoscerà che la storia la fanno i governi, anche se sui libri si ricordano i re. Sperando che impari la lezione e non ripeta gli stessi errori in futuro.