Capita di ritrovarsi allo Stadio San Siro di Milano e di scoprire che è la musica a dettare i tempi del gioco e le sorti della tenzone sportiva fra le squadre.

Ecco, quando tra quelle mura è scoccata l’ora di Milan Bologna e le due formazioni hanno deciso di dare spettacolo per il pubblico rossonero pagante confesso di aver sperato che la vecchia Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri potesse essere il leit motiv della serata. Quelle parole potevano diventare un motivo per sublimare quanto si sarebbe visto in campo: «Che confusione, sarà perché ti amo, è un’emozione, che sale piano piano, stringimi forte, e stammi più vicino, e chi non salta è un gobbo juventino».

L’occasione ghiotta è stata proprio quella di rosicchiare due punti alla Vecchia Signora che soltanto poco più di un paio di ore prima era stata fermata sul pari casalingo da un mai domo Empoli di Davide Nicola. Non sarebbe contato un granché, forse, né in chiave scudetto e nemmeno per lo scomodo posto di Vice Campione d’Italia.

Tuttavia, «potrebbe andare peggio», come suggerirebbe un Igor qualunque in Frankestein Junior, «potrebbe piovere». Capita così che il giocatore felsineo più attenzionato dai rossoneri, dopo un’azione di gioco che ricordava più quella di una partita di flipper che non di calcio, gonfi la rete alle spalle di Maignan prima della mezzora (era il 29°).

Il Milan non ci sta e se fino a quel momento era sembrato il soggetto adatto per ispirare Riccardo Cocciante a comporre e cantare la sua Bella senz’anima si dà una scrollata fin nelle fondamenta e raggiunge un pareggio sofferto con l’inglese Loftus Cheek che corregge in rete un bel cross teso di Capitan Calabria.

Che cosa aveva indurito le arterie dei tifosi rossoneri più di mezzo chilogrammo di sale iodato ingurgitato a canna e tutto d’un fiato pochi minuti prima del gol? Un rigore, generosamente concesso dall’arbitro Massa, sbagliato da Giroud, anche se il francese ha dato un nuovo significato al vocabolo “sbagliare”. Il penalty calciato dall’Oliviero rossonero è sembrato molto una riedizione della canzone Piange il telefono di Domenico Modugno. Il francese si è presentato sul dischetto del rigore come se stesse giocando contro suo figlio schierato per l’occasione tra i pali e facendo molta attenzione a non fargli troppo male.

Nella ripresa, il Juke-box della partita non cambia di molto se si eccettua il protagonismo dell’arbitro Massa (già iniziato nella prima frazione di gioco) che in una serata così speciale sarebbe stato capace di ammonire persino il bambinello del presepe per gamba tesa. Il Milan raddoppia di nuovo con un imperioso colpo di testa dell’inglese Loftus-Cheek all’83° e dieci minuti prima aveva fallito un secondo rigore dopo che Beukema aveva toccato Leao durante uno straordinario contropiede.

A mancare la realizzazione, questa volta, è stato Theo Hernandez capace di colpire il palo con un’angolatura tale che il pallone gli è ritornato sui piedi e toccandolo per primo sospendeva di fatto qualunque altra giocata. Prima dello scadere del tempo regolamentare, sugli spalti è aleggiata una sensazione strana, di disagio, come se gli altoparlanti trasmettessero le note della canzone Perdere l’amore di Massimo Ranieri.

Nei finali di partita, di solito, ultimamente, il Milan ha aggiustato le partite che aveva guastato prima, acciuffato risultati. Questa volta no. Subisce un pareggio tutto sommato giusto per quanto espresso in campo e che vanifica ogni rincorsa a posizioni più alte in campionato. È vero, mancano ancora tante partite al termine del campionato ma è innegabile che dopo Milan Bologna c’è una partita in meno da sfruttare e che se quando quelle davanti rallentano tu ti prendi una partita sabbatica non è che stai lanciando un serio monito agli avversari per far capir loro che “stai arrivando” e mettendo un po’ di pressione.

Termina l’incontro e la considerazione principale da fare è che i rossoneri che non segnano almeno tre reti in partita non portano a casa i tre punti, questo perché subiscono almeno due gol (e mi pare anche troppo). C’è un altro fattore determinante da sottolineare per quanto riguarda il numero delle segnature subite: accadeva anche in passato e in questo periodo ma con una sostanziale differenza… Maignan non era tra i pali. Ricordo a tutti i tifosi rossoneri che questo è il primo anno (forse l’ultimo) in cui Iron Mike gioca praticamente tutte le partite e non è costretto a lasciare la difesa dei pali della porta ai più improponibili dei rincalzi (negli ultimi anni ne abbiamo avuti d’inguardabili) per un serio infortunio. Ciò significa che il Milan potrebbe anche avere anche un autobus parcheggiato tra i pali ma almeno due reti a partita le subisce, a prescindere. Non è una questione di interpreti, di formazione… ma di gioco. Chi vuol capire… capisca.

I tifosi abbandonano gli spalti dello stadio con l’amaro in bocca portando via bandiere e altri vessilli coi quali sono giunti a tifare per la loro squadra del cuore e un’altra canzone accompagna questo lento e mesto sfollare. È una canzone riconoscibile e che fa così: «Anima mia, Torna a casa tua, Ti aspetterò dovessi odiare queste mura, Anima mia, Nella stanza tua, C'è ancora il letto come l'hai lasciato tu». Era il 1973 quando un gruppo di musica italiana, senza grosse pretese, ha piazzato una di quelle hit destinate a diventare evergreen, cantata un po’ da tutti, in fondo basta una chitarra e due ugole come quelle di un usignolo (o, in alternativa, stringersi i gioielli di famiglia dentro una morsa). La canzone in questione s’intitolava appunto Anima mia e a cantarla sono stati quattro ragazzi romani: I cugini di Campagna. Ecco, con queste note si ha un degno finale di Milan Bologna e il Juke-box si spegne come tante illusioni e speranze.
Oggi non ci è andata bene ma domani è un altro giorno... forse.