Rocky è una pellicola del 1976 scritta da un attore fino ad allora poco conosciuto di chiare origini italiane (Sylvester Stallone) e diretto da John G. Avildsen. Ciò che ha reso il film un successo commerciale in ogni parte del globo è il carattere indomito del protagonista. Rocky Balboa è un pugile che potremmo considerare una mezza tacca, già in là con l’età. Negli anni ‘70, la Società statunitense credeva ancora nel mito del sogno americano e perciò la trama non è sembrata illogica a nessuno.

L'imbattuto campione dei pesi massimi, Apollo Creed, decide col suo staff di festeggiare in grande stile il bicentenario della dichiarazione d'indipendenza del 1776 rimettendo il titolo in palio a Filadelfia. Tuttavia, il suo avversario numero uno si infortuna ed è costretto a declinare l’invito. Il campione persiste nel suo intento e decide comunque di dare l’occasione di salire sul ring a un pugile della città, seppur sconosciuto. Nella ridda di nomi che passa in rassegna rimane colpito dal soprannome di Rocky, "Lo stallone italiano", e per questo decide di sfidarlo. Picchiare un italiano, all'estero, è un cult...

Ebbene, questo lungo preambolo, mi è servito per introdurre il tema della sofferenza, della forza di volontà, del non arrendersi mai anche quando l’avversario sembra esser più forte di te. Ecco, mentre davanti ai miei occhi scorreva lo spettacolo dato da Lazio e Milan in un inedito venerdì sera (la squadra romana doveva, bontà sua, giocare martedì contro il Bayern Monaco per la Champions League) non ho potuto non ricordare tutte le scene dell’incontro tra Apollo Creed e Rocky Balboa.
Se si eccettuano i primi cinque minuti dei due tempi, i rossoneri sono parsi a lungo in balia della miglior freschezza atletica dell’avversario che correva di più, contrastava meglio, aveva un miglior giro palla. Insomma, la Lazio di Sarri che è scesa all’Olimpico per affrontare la terza forza del campionato di Serie A, si è fatta bella, anzi Di Bello. L’indecoroso spettacolo offerto dall’arbitro è materia che però tratterò in seguito.

Torniamo al pugile alle corde, al Rocky Balboa/Milan. La Lazio è stata padrona del campo e ha rischiato col suo centravanti di portarsi in vantaggio quando ancora c’era una parità numerica tra gli atleti schierati in campo. Il Milan, non ci è dato sapere se per scelta o per necessità, è parso lento, compassato e impreciso.
Adli ha sbagliato parecchio in fase di disimpegno ma su di lui vanno spiegate alcune cose per analizzare correttamente la sua prestazione. Per farlo, occorre fare un passo indietro e tornare a una polemica scoppiata in settimana e che ha messo al centro dell’attenzione il Coach Parmense. In una conferenza stampa di avvicinamento alla partita gli era stata chiesta spiegazione sul cosiddetto modulo 5-0-5 che sta spopolando sul web e che la sua squadra adotterebbe in lunghi frangenti delle fasi di gioco. Tale modulo, starebbe a significare che il Milan è l’anti Inter. I nerazzurri schierano 5 centrocampisti e infoltiscono a più non posso quella zona considerandola nevralgica per il gioco sia in fase propositiva che in quella di riconquista della palla.
Se il Milan adottasse veramente un 5-0 e fantasia (come insegnerebbe un certo Leonardo ex allenatore di entrambe le squadre) significherebbe che i rossoneri non hanno collegamenti tra i due reparti, la difesa e l’attacco. La prestazione di Adli va vista proprio in tal senso. In questo venerdì sera laziale, spesso e volentieri il francese si è trovato da solo a reggere le redini del centrocampo sia in fase d’interdizione che in quella d’impostazione.
Da tempo affermo che Yacine farebbe un figurone se nel suo settore fosse il centrale in uno schieramento a 5. Del resto, tale errore sembra che sia endemico al Milan, che negli anni si è privato di un certo Andrea Pirlo rilevato poi dalla Juventus di Antonio Conte per esser poi schierato proprio in quella posizione e contribuire alla vittoria di “qualche” scudetto. Non paghi, tale sbaglio è stato ripetuto pochi anni fa e stiamo vedendo come tale ruolo abbia risuscitato un ex rossonero oggi schierato con i nerazzurri.
Pulisic è stato protagonista di una prestazione luci e ombre mentre Leao e Giroud sono sembrati non esser mai usciti dallo spogliatoio. Il centrocampo si è giovato dell’olandese Reijnders quando è entrato dalla panchina, mentre l’inglese Loftus-Cheek e l’algerino Bennacer, schierati come mezze ali, hanno sostanzialmente deluso. In difesa, hanno preso botte come Rocky Balboa sia Matteo Gabbia e Simon Kjaer che poi Malick Thiaw e Fikayo Tomori.

A tal proposito, in molti non hanno compreso la doppia sostituzione dei due centrali dal momento in cui si era in superiorità numerica. Per capire questa mossa occorre ricordare che il famoso schema 5-0-5 è stato variato in 4-1-2-3.
Con tale aggiustamento, il Coach Parmense ha potuto sostenere meglio la difesa visto che con l’uscita dal terreno di gioco di Yacine Adli (l’unico centrocampista che faceva filtro a sostegno della difesa) per inserire Noah Okafor la squadra necessitava di forze più fresche per avere una sorta di equilibrio.
Theo Hernandez si è contraddistinto per aver lottato ed esser stato ammonito. Dall’altra parte, Alessandro Florenzi si è mostrato decisamente alle corde tanto che l’ingresso di Davide Calabria ha contribuito a dar più sicurezza e tranquillità al reparto. I rossoneri hanno preso botte da orbi ma sono usciti dal campo vittoriosi proprio come Rocky perché hanno mostrato, al di là dello schieramento in campo, orgoglio e attaccamento alla maglia.
Una volta che il Milan si è trovato in superiorità numerica per una sciocchezza commessa da Luca Pellegrini al 57°, ingenuità che non si vede nemmeno in Prima Categoria, la Lazio ha continuato ancora a mostrarsi più reattiva dei rossoneri e ha ceduto solo alla distanza, non prima di aver ancora offerto a Immobile la possibilità di portare in parità la sua squadra, dopo il gol annullato a Leao (vabbeh, lasciamo perdere qualsiasi considerazione sull’argomento) e quello regolare di Okafor (88°).

La partita è finita con il cartellino rosso mostrato a Marusic (al 94°) e quello più netto mostrato a Guendouzi un paio di minuti più tardi. L’arbitro Di Bello ha distribuito ammonizioni ed espulsioni come se non ci fosse un domani, annullando la rete di Leao per un fuorigioco di spalla. Non ho idea se il rendimento del Direttore di Gara sia da imputare a qualche screzio tra il Presidente laziale Lotito e il Presidente della FIGC (nonché VicePresidente UEFA) Gravina.

A pensar male si commette peccato, ma quasi sempre ci si azzecca, diceva quel politico là (che ora non c’è più) ma mi fermo qua. Non vorrei essere ammonito anch’io o, peggio, espulso. Visti i tempi che stiamo vivendo, occorre fare una enorme tara di ciò che sono i fatti e cosa i pensieri, lasciando questi ultimi alle cosiddette Fonti, che sono autorizzate a veicolarli.
Buona Vita e Buon Campionato a tutti i fratelli rossoneri.

Pier Giorgio Tomatis
#youandmilan
#MilanAC
#LazioMilan
#edizionihogwords