La Sartoria Sportiva Milano è un luogo magico. Un luogo in cui il tempo sembra essersi fermato: il pavimento alla veneziana dal delizioso gusto retrò e una macchina da cucire Singer, l’anima di questa piccola sartoria nel cuore di Dergano, quartiere nord di Milano. Conobbi questo posto anni fa, navigando su internet alla ricerca di un negozio di maglie storiche.
Ma lo visitai solo a maggio scorso, dopo essermi trasferita in zona. Entrai per una maglia, quella di Luca Vialli, quella della vittoria della Coppa dei Campioni del ‘96. Ne uscii con una storia. Quella di Paolo Grechi e della sua Sartoria.
Paolo, oltre ad essere un eccellente sarto, è uno straordinario narratore. E la nostra piacevolissima chiacchierata parte proprio da un aneddoto su Vialli. Paolo è interista, unico esemplare neroazzurro insieme al padre e alla madre di una famiglia di milanisti. Ma Vialli lo considera un giocatore “universale”, al pari di Scirea, Facchetti, Del Piero, Maldini.
Non lo ha mai incontrato, ma per lui, senza saperlo, si è trovato a confezionare una maglia. L’aveva commissionata un suo cliente doriano: “Una maglia meravigliosa – ricorda Paolo - quella bianca della Samp con la fascia blucerchiata in diagonale, quella degli anni ‘70”.  Lo scoprì dopo che quella maglia era per Luca Vialli e che lui la custodiva nel suo ufficio di Coverciano.

Ma torniamo alla Sartoria.
Un’idea che prende forma quando Paolo si accorge di non essere felice nei panni dell’agente di commercio. Decide così di buttarsi e aprire un negozio tutto suo. “L’unico negozio che avrei potuto aprire era un negozio di maglie storiche da calcio. È sempre stata la mia passione. Da sempre mi affascina la storia delle maglie delle squadre: come sono nate, perché sono stati scelti proprio quei colori. Credo sia la cosa più romantica del calcio.”

Comincia come rivenditore: acquista e rivende maglie. Ma il suo catalogo non sempre riesce a soddisfare le richieste dei clienti. Si cimenta così nella produzione di una linea sua “calcio retrò style”, partendo da una polo bianca a maniche lunghe. Allora però non sapeva neanche attaccare un bottone, quindi le faceva realizzare ad una sarta. Quando le maglie su misura cominciano ad avere più richieste di quelle del catalogo capisce che è arrivato il momento di imparare a cucire. Frequenta un corso di sartoria in un laboratorio di cucito: lo fa in pausa pranzo, unico trentaseienne in mezzo a un gruppo di sciure. Ma impara in fretta, esercitandosi nei momenti morti in negozio e attingendo al proprio DNA. E sì, perché la nonna di Paolo faceva la sarta e la Singer esposta in negozio è proprio la sua. Nonna Teresa non vede la nascita della Sartoria, ma la sua presenza in questo angolo retrò è viva e tangibile.

Una delle primissime maglie realizzate da Paolo è quella di Gigi Riva.Un cliente mi aveva ordinato la maglia di Riva prodotta dalla Toffs. Ma quando mi arrivò in negozio fu chiaro ad entrambi che quella somigliava più alla casacca del Catania che a quella del Cagliari: avevano totalmente sbagliato i colori. Allora il cliente mi chiese se fossi in grado di farla. Alla fine, acquistò la mia.”
E da una maglia di Gigi Riva cucita più fedelmente di quella della Toffs inizia l’avventura di Paolo. Anche se il suo non è un lavoro di riproduzione di maglie storiche, ci tiene a sottolinearlo. Le sue sono opere sartoriali create a quattro mani con il cliente. Ed è stata questa probabilmente la chiave del successo.

Oggi la sua Sartoria, aperta nel 2014 nella sua sede attuale di Via Ignazio Ciaia, va a gonfie vele e Paolo pensa già ad una sua evoluzione: dare un taglio più sartoriale alla sua attività, consentendo ai clienti di scegliere i tessuti.
Ma all’inizio è stata dura. Progetti di questo tipo per decollare hanno bisogno del passa parola, dell’occasione per entrare nel giro giusto. E l’occasione arriva con il Pisa. “Un giorno mi chiamò il Museo del Pisa: mi commissionarono le maglie della squadra per celebrare il compleanno del Pisa e il primo anno della presidenza Corrado, in panchina c’era Gattuso. Quando vidi la squadra entrare in campo con le mie maglie mi venne da piangere. Da lì è partito tutto”.

Sono tanti gli eventi per i quali Paolo cura la realizzazione delle maglie. Uno degli ultimi a maggio di quest’anno a Prato, organizzato dalla Fondazione Per Pablito, guidata dalla moglie di Paolo, Federica Cappelletti e dal fratello Rossano, che porta avanti progetti nell’ambito della ricerca scientifica e del sostegno ai malati oncologici. Gli viene commissionata la realizzazione di tutte le maglie indossate da Paolo Rossi nella sua carriera: dal Perugia, al Vicenza, dal Como alla Nazionale. Le maglie sono i premi della lotteria di beneficienza, insieme ad orologi di valore, bottiglie di vino. “Per i presenti le mie maglie erano il premio più ambito: è stata una soddisfazione immensa. Ma la cosa più incredibile accadde durante l’estrazione. Sai chi si aggiudicò la maglia azzurra del ’78? La moglie di Paolo, con il numero 78, pescato dalla figlia”. Quando il cielo ci mette lo zampino…

Sono tante le personalità del mondo del calcio con cui Paolo è entrato in contatto grazie al suo lavoro. Da Gattuso a Bordon, da Beccalossi a Bergomi. E di ognuno conserva un bellissimo ricordo. “Gattuso era entrato in negozio scusandosi per essere di fretta, ma alla fine restò due ora e mezza a farmi domande, era così curioso…e lo zio Bergomi vedendo entrare un bambino accompagnato dal papà li accolse spiegando loro quale fosse il mio lavoro”. Con un pizzico di amarezza, invece, ricorda l’incontro con Zanetti. “Avrei dovuto produrre le maglie per la sua ultima partita a San Siro, quella dell’addio. Alla fine, la cosa non andò in porto. Ma probabilmente fu un bene: se avessi fatto quelle maglie, avrei raggiunto l’apice e forse avrei chiuso”.

La maggior parte delle maglie che gli vengono commissionate sono da calcio (riesce a cucirne a mano fino a 10 al giorno), ma si cimenta anche in altri sport. Per l’atletica, ad esempio, ha creato una linea “Olimpica Iconic”, dedicata alle icone delle Olimpiadi, da Jesse Owens a Carl Lewis. Sono maglie in cotone, non le classiche canotte indossate dagli atleti, su cui riproduce sul davanti la pettorina con il numero da gara, di solito quella più significativa, e sul dietro una citazione dell’atleta. E a proposito di quella di Dick Fosbury, Paolo tira fuori un aneddoto dei suoi. “Un giorno pubblicai la foto della maglia di Fosbury su internet e ricevetti un messaggio da Fosbury in persona. All’inizio temetti si trattasse di una denuncia. Invece mi fece i complimenti, dicendo che una maglia così bella non l’aveva mai vista.”

L’insegna del negozio recita così “Sartoria Sportiva Milano – Sogni cuciti a mano”.
E il suo sogno Paolo lo ha realizzato. Ma non vuole fermarsi qui. Ha già delle idee per il futuro.

Il mio sogno è quello di diventare un sarto a tutti gli effetti, prendere le misure, scegliere i tessuti. Restando in questo negozio. Oppure in un’altra città, ma non Italia, all’estero. Forse in Francia o Spagna. Oppure in Sud America. Ricordo un documentario di Buffa dedicato alle città del calcio. La prima città era Rosario. Ecco, è lì che devo andare”.

Paolo, se anche questo sogno dovesse realizzarsi (e te lo auguro), ricordati di me. Sarebbe un sogno, il mio, raccontare lo sbarco della Sartoria Sportiva in Argentina.

Chiara Saccone