Lo ha fatto ancora: segnare un gol decisivo e farlo in Europa. E che questa volta non abbia regalato  la vittoria (come nel match d’andata dei quarti contro lo Sporting Lisbona), ma il pareggio, è un dettaglio più che trascurabile. Anche perché il gol messo a segno ieri sera contro il Siviglia da Federico Gatti per importanza poco si discosta da un gol vittoria. È la rete a cui si aggrappa l’intero mondo Juve per sperare ancora nella finale di Budapest. Perché se nel calcio tutto è possibile e se una sconfitta casalinga per 1-0 è un risultato assolutamente ribaltabile (soprattutto da quando i gol esterni non valgono più il “doppio”), la Juve vista ieri sera contro il Siviglia e, in realtà vista durante tutta la stagione (tranne sporadiche occasioni), non è apparsa squadra in grado di remuntade indimenticabili. Di sicuro però una squadra che lotta fino alla fine. Come da DNA. Lo stesso di Gatti. Ma partiamo dall’inizio.

Cronaca di una brutta Juve. Eppure i primi 10 minuti avevano fatto ben sperare tifosi accorsi all’Allianz Stadium: al 12’ filtrante illuminato di Vlahovic per Kostic, con il laterale serbo che calcia fuori di poco. Il Siviglia non sta a guardare e con due incornate di Ocampos impegna Szczęsny che, reattivo in entrambe le occasioni, para. Un match divertente, giocato a  viso aperto da entrambe le squadre, con qualche sbavatura dietro ma apprezzabile sotto il profilo del ritmo e del fraseggio. Al 20’ l’episodio chiave. Magia di Di Maria per Vlahovic: assist basso dalla mancina con l’attaccante serbo che, di piatto sinistro, spara altissimo a porta spalancata! Cambia la partita: il 9 bianconero sembra accusare psicologicamente l’errore e da quel momento in poi incappa in una serie di errori banali;  il resto della squadra sbanda. E non è la prima volta che la compagine di Allegri, dopo aver fallito qualche occasione di troppo, comincia ad indietreggiare, prendendo forse troppo alla lettera la celebre legge del calcio “gol sbagliato, gol subito”. E si abbassa, ma in modo disordinato, frenetico, quasi ansioso. E alla fine la legge diventa sentenza. Contropiede fulminante degli andalusi: assist basso dalla destra di Ocampos e conclusione di prima intenzione di En-Nesyr, che insacca per lo 0-1! Da qui al duplice fischio dell’arbitro è un monologo del Siviglia che fraseggia bene a metà campo, si rende pericoloso sulle fasce (Alex Sandro in costante difficoltà), impensierendo Szczęsny anche con tiri da fuori. La Juve coraggiosa e volitiva di inizio gara si è sgretolata alla prima difficoltà. La squadra appare annichilita, senza idee, con Di Maria e Kostic in serata no e un Vlahovic scomparso dal gioco dopo il gol mancato. Nel secondo tempo Allegri cambia: escono nell’ordine Kostic, Miretti, Vlahovic e Di Maria, entrano Chiesa, Iling Jr, Milik e Pogba. E incidono. Soprattutto Iling Jr che, pur peccando di qualche imprecisione dovuta alla foga, ha il merito di dare una scossa ai suoi compagni. Al 60’ poi si infortuna Bonucci (lesione all’adduttore della coscia), al suo posto entra Federico Gatti. La Juve si butta in avanti nel tentativo di agguantare quantomeno il pareggio ma lo fa con qualche fiammata, senza grandi idee e senza la brillantezza dell’avvio di gara. Il Siviglia si limita a difendere senza mai realmente cercare il gol della “sicurezza”. Ma all’88 quell’unico gol rischia di non bastare: in area Badé entra a gamba tesa su Rabiot nettamente in ritardo. Arbitro e VAR non intervengono. La svista arbitrale e il forcing vano dei bianconeri rendono la sconfitta ormai l’unico risultato possibile. Ma Gatti non è dello stesso avviso. E al 90’+7’fa esplodere lo Stadium.

L’eroe venuto da lontano. Sugli sviluppi di un corner di Chiesa, una serie di colpi di testa infiamma l’area andalusa: quello di Pogba funge da assist per l'ex Frosinone il quale, di testa, sulla linea di porta, proprio come contro lo Sporting Lisbona, realizza un gol pesantissimo: 1-1! Ancora lui. Contro lo Sporting era arrivato al 60’ e a mettere in cassaforte la vittoria ci aveva pensato Perin con due miracoli sullo scadere. Questo sigla il pareggio a recupero scaduto, di vitale importanza in vista del ritorno a Siviglia. Con il suo primo gol in bianconero Gatti aveva messo in discesa il doppio confronto contro lo Sporting. Con il suo secondo gol, tiene in vita le speranze bianconere di arrivare a Budapest. Gol decisivi, quindi. Mai banali. Gol che sanno di cattiveria agonistica, voglia di non arrendersi, attaccamento alla maglia. Gol che arrivano da lontano. Dalla gavetta. Che arrivano a 24 anni. Tardi? No, non è mai troppo tardi per chi crede nel suo sogno, per chi con garbo e con rispetto arriva in uno spogliatoio pluridecorato e lavora in silenzio, senza sgomitare. Ma quando viene chiamato in causa, non si tira indietro. Anzi, allunga la gamba e si alza in volo. Non solo per difendere l’area, ma soprattutto per difendere la sua Signora. Perché quando la tempesta infuria,  i marinai designati non bastano, serve il lavoro di tutti. E Gatti di lavoro, quello vero, ne sa qualcosa. Lui che portava serramenti su e giù per le scale. Lui che ha lavorato come muratore e al mercato per aiutare la famiglia dopo che il padre aveva perso il lavoro. Lui che al calcio è arrivato facendo un passo indietro, da centrocampista a difensore centrale. Lui che da dietro è arrivato alla Juve, prendendo la rincorsa e non fermandosi più: dall'Eccellenza col Pavarolo alla D a Verbania, un anno dopo la C, il calcio professionistico, con la Pro Patria. Meno di 12 mesi e il salto in B a Frosinone, dopo sei la Juventus. Con la maglia numero 3. Quella che fu di Chiellini. Un altro difensore vecchio stampo, ruvido, di quelli che si incolla all’avversario dal minuto 1’ e non lo molla fino al fischio finale. Prematuro forse azzardare paragoni. E anche abbastanza insensato. Perché Federico si è presentato alla Juve essendo se stesso, con il proprio personalissimo bagaglio di vita e con la fame. Quella propria di chi viene da lontano. Di chi ogni traguardo se l’è sudato. Di chi alla resa ha sempre preferito la lotta. Di chi, prima di deporre le armi, ci prova fino alla fine. Sì proprio così, come il motto della Juventus. Sì Federico, sei arrivato nel posto giusto. E racconta a chi quella fame l’ha smarrita nel viaggio che, senza quella fame, Budapest resta un miraggio.

Chiara Saccone