Vi ricordate gli anni '90? A fianco delle classiche macchine fotografiche, ne esistevano altre che potevano contenere soltanto un determinato numero di immagini e, una volta sviluppato il rullino, divenivano inutilizzabili. E’ in quel modo che ho conosciuto il concetto di “usa e getta”. Ero un bambino e probabilmente non ponevo grande attenzione alla miriade di altri articoli che avevano la medesima prerogativa. Ho imparato il significato di quell’espressione in gita o probabilmente in vacanza quando, appassionato dall’immortalare gli attimi, i monumenti e i paesaggi, utilizzavo proprio quell’oggetto. Era difficile vivere con la spada di Damocle del numero limitato di scatti. Non sapevo mai scegliere. Uffa! Oggi, tramite la tecnologia e gli smartphone, potrei cogliere ogni millesimo di secondo, ma preferisco godermi la realtà e salvarla all’interno della mente. Chi mi conosce sa che non è egoismo. Tanto, se vuole, gliela racconto. Battute a parte, questi pensieri riassumono in maniera piuttosto chiara molti aspetti dei nostri giorni. L’attualità è spesso sprecona. Penso che non ci si debba nascondere e occorra ammettere tale verità. Mi spiego. Grazie allo sviluppo della tecnica, il mondo ha posto a disposizione degli uomini una serie di beni e servizi pressoché infinita e lo stesso vale per il singolo materiale o prestazione. Si pensi, per esempio, alle promozioni delle diverse compagnie telefoniche: traffico illimitato, possibilità di navigare sul web senza soglia. Dalle mie parti si direbbe: “bocca mia, cosa vuoi?”. Non intendo assolutamente affermare che sia un fatto negativo. Anzi, tutto il contrario. Se si riesce ad avere simili opportunità, non capisco il vantaggio di rinunciarvi. Se non porta a eccessi di disparità o sofferenze, il benessere è un valore esclusivamente positivo. E’ chiaro, però, che in una struttura così formata si perde ogni capacità di parsimonia. E’ favorita la richiesta costante del massimo della prestazione e, nell’attimo in cui l’utensile non garantisce il meglio, si è subito pronti a gettarlo nella spazzatura. Le possibilità di sostituzione, infatti, sono inesauribili. Pure questo non sarebbe un problema. Tutt’altro. Si parla di arnesi quindi di materia senza anima e cuore. Non prova alcunché e, se non produce alcun legame emotivo, chissenefrega se viene buttata. Anzi, il consumismo sfrenato potrebbe pure condurre a vantaggi morali. Qualcuno riterrà assurda la mia affermazione ma, riflettendo per un breve lasso temporale, si comprenderà il senso. Aumentando la domanda, infatti, si creano posti di lavoro che significano salvezza per molti individui e tante famiglie. Il dilemma nasce nell’istante in cui tali astrazioni vengono concretizzate sulle persone. Purtroppo, accade che questo sistema senza scrupoli sia poi traslato anche sugli esseri umani e, quando l’individuo non è più utile, è accantonato come si farebbe con una macchina rotta. Credo di non poter essere smentito se affermo che “così non va”. A differenza dell’automobile, l’uomo è vivo. Percepisce qualsiasi sensazione e dev’essere assolutamente rispettato. Detto di tale principale aspetto, non si dimentichi anche un altro fattore. Attenzione, l’essere umano è dotato di infinite risorse e, proprio nel momento in cui sembra tutto perduto, potrebbe tornare sulla cresta dell’onda.

Non sarò di certo io a criticare il mondo del calcio. Credo che questo settore abbia già dimostrato più volte di avere un’anima importante. Penso a quanto accaduto di recente durante la fase più dura dell’emergenza covid-19. Ricordo che la FIGC ha messo a disposizione il proprio centro di Coverciano per ospitare le persone contagiate e non ospedalizzate, ma impossibilitate a rimanere presso il loro domicilio. Mi riferisco pure alle laute donazioni di parecchi atleti che non nomino singolarmente al solo fine di non scordarmi qualcuno. Spesso l’ambiente del pallone ha fornito ingenti contributi sociali. Non si tratta sicuramente di una bolla asettica che vive su un altro pianeta. Chi è parte di quella disciplina si rende conto di ciò che lo circonda.
Detto questo, occorre ammettere che si tratta di un ambito in cui è complicato mantenersi su elevati standard e ricevere il tempo necessario per riprendersi da situazioni difficili. Penso che l’esempio più palese di tale realtà sia rappresentato dagli allenatori. Si guardi al rapporto tormentato tra Ancelotti e la Juventus. Nel 1999, Carlo raccolse una compagine alla fine di un ciclo. L’infortunio di Del Piero a Udine aveva definitivamente palesato ciò che ormai stava giungendo in superficie. Nonostante la presenza di campioni del calibro di Pippo Inzaghi e Zidane, senza la sua stella, la Vecchia Signora si spense lentamente. Lippi comprese che il suo tempo a Torino era ormai concluso e il testimone passò al tecnico di Reggiolo. Fu sufficiente una stagione per condurre i sabaudi dal settimo posto a uno Scudetto mancato a causa di una “partita di pallanuoto”. Non voglio rivangare antiche polemiche e ammetto che i piemontesi dilapidarono un vantaggio sulla Lazio troppo importante per piangersi addosso, ma la nota sfida di Perugia, che costò il titolo ai bianconeri, si disputò su un campo ai limiti della praticabilità. In ogni caso, Ancelotti concesse il bis e, nell’annata successiva, la sua squadra concluse il campionato nuovamente al secondo posto. Nonostante il tecnico fosse in palese crescita personale, la dirigenza decise di rivoluzionare la compagine e ne subì le conseguenze pure l’emiliano che poi si accasò al Milan. Sono un tifoso juventino e ammetto che Carlo rappresenti una delle principali “sconfitte” bianconere. Senza di lui, gli attuali Campioni d’Italia hanno centrato successi fantastici, ma il curriculum del reggiano non può che lasciare rammarico nei cuori dei sabaudi. Qualcuno potrà ritenere che, a volte, emergono palesi incompatibilità ambientali. Non si può negare l’evidenza, ma davanti a certe occasioni occorrerebbe che ambo le parti trovassero gli strumenti per superare gli acciacchi.

Le persone raramente fanno quello in cui credono. Fanno ciò che conviene, e poi se ne pentono”. Così parlava Bob Dylan. Occorre non cadere in tale errore e l’attualità potrebbe essere il campo di battaglia. Esistono, infatti, molti allenatori alla gogna dell’opinione pubblica e altri posti in dubbio nonostante nel passato anche recente si sia riferito di loro grandi cose. Sarri, Simone Inzaghi, Conte e Pioli: chi merita veramente il trattamento che sta patendo?
Si analizzi dettagliatamente la situazione. Il tecnico juventino è sbarcato un’estate fa sulla panchina bianconera. Ha perso la finale di Supercoppa Italiana e pure quella di Coppa Italia, ma è primo in serie A e sta lottando per uno Scudetto che non pare troppo distante. E’ dentro gli ottavi di Champions. E’ vero che dovrà ribaltare l’1-0 patito a Lione, ma la partita si deve ancora disputare. Se vincerà il campionato avrà raggiunto quello che è l’obiettivo immancabile. Non ci si può scordare, infatti, che la Vecchia Signora conquista quel traguardo da 8 anni, ma non è così scontato. Questo è il ragionamento che deve entrare perfettamente nella testa dei tifosi bianconeri. L’attuale serie A, inoltre, non è di certo semplice. Il livello è migliorato rispetto ai recenti trascorsi e, a dimostrazione di ciò, vi sono i risultati europei delle Nostre compagini. Tre su quattro sono ancora all’interno della massima competizione continentale per club. L’Atalanta, tra l’altro, ha già strappato il pass per i quarti di finale. Roma e Inter, invece, disputeranno l’ultima fase dell’Europa League. Il momento attuale dei piemontesi è sicuramente complesso. Due punti in 3 gare sono un bottino misero e la Juve non pativa una situazione simile da anni. Detto questo, occorre ammettere che i sabaudi hanno sfidato Milan, Dea e Sassuolo. Al momento, si tratta del meglio d’Italia. Il prossimo match contro la Lazio sarà fondamentale. Nel caso in cui Maurizio riuscisse a centrare il primo tricolore della sua carriera, dimostrerebbe che, “modificando l’ordine degli addendi, la somma non varia”. Da Conte, ad Allegri, all’ex mister del Chelsea, i bianconeri continuano a trionfare. Il figlinese sconfiggerebbe lo spauracchio rappresentato dal ritorno del salentino nel Belpaese e avrebbe la meglio sulla squadra di Simone Inzaghi che, poco prima del lockdown, era considerata da tanti come la più forte d’Italia. Batterebbe anche la micidiale armata di Gasperini che fa tremare i muri pure oltreconfine. Tanta roba. Quale sarebbe, quindi, il motivo per criticare l’operato dell’attuale tecnico dei sabaudi? La latitanza del sarrismo? Beh, non si faccia finta di niente. Chi conosce il calcio comprende piuttosto semplicemente che la Vecchia Signora non avrebbe mai potuto esprimere in toto i concetti di gioco del suo nuovo tecnico. Si può cercare di modificare l’approccio, ma non il DNA. Dal seme del pero non nasce un melo. A tutto questo si aggiunge la triste particolarità di una stagione salvata in extremis, ma falcidiata dalla terribile pandemia che stiamo vivendo. Ha complicato l’esistenza a chiunque. Ha costretto a uno spettacolare, ma diverso pallone d’estate in cui si gioca senza pubblico ogni 3 giorni. Credo che, con uno Scudetto in saccoccia, Sarri debba vantare il tempo per proseguire il suo progetto magari con uomini maggiormente avvezzi alle sue richieste e questa pare l’intenzione della Juve. Nonostante ciò, una discreta fetta dei tifosi bianconeri e dell’opinione pubblica continua a lanciare messaggi negativi sul suo operato.

Mi dedico ora all’Inter di Conte e vi chiedo: “Cosa vi aspettavate? La Beneamata è in piena linea con le premesse di inizio stagione. I nerazzurri stanno lottando per il secondo posto con rivali parecchio agguerrite come Lazio e Atalanta. Non hanno poi abbondonato ogni speranza di superiore velleità. Non patiscono un distacco clamoroso dalla Juve. Tra le 2 compagini ci sono 9 punti, ma i lombardi giocheranno questa sera a Ferrara contro la Spal avendo una gara in meno dei rivali. Se le lunghezze che separano le due realtà diverranno 6, gli ambrosiani recrimineranno soltanto gli scontri diretti. E’ innegabile che i piemontesi siano nettamente più forti ed è difficile immaginare che il tecnico salentino possa costantemente compiere il “miracolo di trasformare l’acqua in vino”. Ha raccolto il massimo dai suoi giocatori. Lentamente il fuoco è andato spegnendosi. Può starci. La squadra, però, non ha sbracato. La conquista della possibilità di giocare la prossima Champions è ormai quasi una certezza e comunque vada difficilmente il pugliese farà peggio di Spalletti. Ultimamente pare essere di moda confrontare l’andamento della Beneamata guidata dal toscano con quella del salentino. Consentendo un upgrade rispetto al passato, l’allenatore di Certaldo ha chiuso 2 stagioni al quarto posto raggiungendo l’aritmetica certezza della qualificazione alla Coppa soltanto all’ultimo turno e chiudendo le annate rispettivamente con 72 e 69 lunghezze. Con alcuni slot ancora a disposizione, Antonio è già a un soffio da questi traguardi. Qualcuno potrà sostenere che la dirigenza ha migliorato la squadra con innesti del calibro di Godin, Ericksen, Sanchez e Lukaku ma, se si analizza nel dettaglio la vicenda, si noterà che il vero valore aggiunto è soltanto il belga. L’uruguaiano dovrà palesare se ha soltanto faticato ad adattarsi al nostro calcio o se è ormai giunto agli sgoccioli di una magnifica carriera. Il danese è sbarcato in Italia solo nello scorso mese di gennaio e deve ancora ambientarsi. Il cileno ha trascorso gran parte della stagione ai box. Non si può dimenticare che, se anche con l’indicazione “contiana”, la squadra è stata privata di Nainggolan, Perisic e Icardi. Non si tratta propriamente di quisquiglia. Il pugliese potrebbe stupire tutti con un exploit in Europa League ma, in ogni caso, gli dev’essere concesso ulteriore tempo.

Al fine di non risultare inutilmente prolisso e ripetitivo, riassumerò il paragrafo relativo a Simone Inzaghi e Pioli. In caso contrario rischierei di replicare concetti già abbondantemente esposti. La Lazio vive un periodo nero, ma occorre ricordare lo stato in cui il piacentino ha raccolto i biancocelesti. Proprio l’attuale tecnico del Milan fu esonerato per lasciare spazio all’emiliano che ha conquistato 2 Supercoppe Italiane e una Coppa Italia. Nel recente passato, i capitolini sono la seconda squadra più titolata del Belpaese. Oggi, Immobile e compagini hanno praticamente centrato il pass per accedere ai gironi di Champions. Non capitava dal 2007-2008. E’ una vita fa. Come si può, quindi, anche solo immaginare di criticare l’allenatore? Probabilmente quest’obiettivo segna l’apice del suo ciclo iniziato 5 anni or sono ma, se sarà addio, dovrà avvenire tra le fanfare e non a capo chino. L’ex attaccante merita la chance di allenare un’altra big. Il suo calcio concreto e “tremendista” è ammirevole. Il sogno cullato dello Scudetto ha offuscato lo sguardo di molti, ma la realtà è che la Lazio sta vivendo un’annata fantascientifica. Questa rappresenta soltanto una parte del capolavoro di Inzaghi. Dopo i risultati negativi dell’era Giampaolo, Pioli ha raccolto un Milan in grande crisi e l’ha ricondotto sulla retta via. La squadra aveva tutte le carte in regola per centrare un piazzamento Europeo e il parmigiano sta cercando di raggiungere l’obiettivo con una rincorsa davvero difficile. L’arrivo di Ibra è stato utile sia dal punto di vista tecnico che relativamente allo spogliatoio, ma nulla leva all’opera del suo allenatore che, invece, molto probabilmente dovrà salutare a fine stagione. L’etichetta del traghettatore pesa ormai sulle sue spalle.

Diogene Laerzio sosteneva che: “Che cosa invecchia presto? La gratitudine”. Basta con gli allenatori “usa e getta”. Credo che la serie A debba modificare questa triste deriva. Sarri, Conte, Inzaghi e Pioli sono solo gli ultimi bersagli di una particolare usanza societaria, mediatica o dei tifosi. Questi tecnici non sono colpevoli di particolari demeriti che giustifichino un loro esonero. Ad alcuni serve tempo, altri possono avere terminato un ciclo o un’esperienza, ma la bontà dell’opera è lampante agli occhi di tutti. Comprendo perfettamente che un mister non possa restare troppo a lungo su una determinata panchina altrimenti rischia di oberare il sistema, ma è necessario quantomeno concedergli la possibilità di esprimersi.