Smettila di fissarmi!
E’ inutile che provi a fare la gnorri… sai benissimo che stai facendo una cosa che odio. Lei, la ceneriera, mi guarda disperata, esausta. E’ stracolma dei miei mozziconi e se potesse m’implorerebbe: Frankie, ti prego basta, stanotte mi stai maltrattando oltre il lecito; sto quasi in una botte di ferro, non può parlare “la stupida cosa” (infatti, se lo potesse fare, non sarebbe stupida) ma ugualmente riesce a farmi capire che non ne può più di ricevere dal sottoscritto queste angherie e, ergo, non mi sarà più concesso di spegnere le mie sigarette e depositarle al suo interno. Adesso però “sento” che è il turno vostro di guardare, lettori (se ne ho) del blog, e percepisco distintamente la pietosa commiserazione per il sottoscritto che interloquisce con una ceneriera. Ma smettetela! Sbarazzatevi di quell’aria di superiorità che è proprio fuori luogo; non vi crederei nemmeno se me la firmaste col sangue questa vostra  autocertificazione farlocca con la quale affermate che nessuno tra voi, almeno una volta nella vita, si è trovato nelle mie stesse condizioni… a parlare con la “ceneriera di turno”!
Forse, convengo, non sarà stata una ceneriera…magari era un pettine in osso…oppure la riproduzione bronzea della Dea Bendata che teneva nonna sulla credenza, o l’ultimo libro del massimo poeta andaluso o ancora, magari per caso, “LEI” l’introvabile figurina Panini di Pier Luigi Pizzaballa che vi  permise di completare l’album del 1964 (ma anche quella di Pietro Battara scherzava poco).
Di sicuro c’è comunque che TUTTI NOI, quando siamo alle prese coi nostri irrisolti problemi esistenziali, con “qualcosa” abbiamo parlato o parliamo tuttora, per forza di cose (e specialmente se si sono addormentati tutti e siamo soli), sperando, alla fin fine, di trovare almeno una parziale risposta.
E quindi vi partecipo la domanda che nel frangente mi teneva sveglio e che mi faceva parlare con l’oggetto di forma svariata atto a contenere cenere e mozziconi assortiti: ma nel calcio è meglio un individualista o uno che gioca per il collettivo?

Devo aver letto da qualche parte che secondo una dottrina studiata (e “praticata”) tutt’oggi in maniera approfondita nel nostro vivere quotidiano non si deve cercare di rimuovere né la violenza né il dolore ma, all’opposto, questi andrebbero vissuti e sopportati dagli uomini come ineluttabili leggi naturali e che in definitiva questi dogmi segnano la linea rossa fra sacro e profano e che quindi solo chi detiene il fuoco sacro può decidere… agli altri tocca ubbidire. Certo il suesposto concetto è stato spesse volte dibattuto e contestato ed i fautori dell’una e dell’altra fazione si sono avvinghiati ed hanno lottato da sempre come guelfi e ghibellini.
Ci ragiono e concludo: mi hanno quasi convinto; è fondamentale avere in formazione un Top-player e quindi, come alfiere della mia squadra, avrò “il” genio. Dite di no? Mi ricordate, oh me smemorato, che di chi suda non se ne può fare a meno e che forse, al posto della geniale e volubile primadonna, è sempre meglio contare su di un “umile” gregario votato alla causa? Mumble mumble (alla zio Paperone)…a chi dare ragione?

“Umiltà: qualità (?) di ciò che non è nobile, modesto…consapevolezza dei propri limiti e al distacco da ogni forma di orgoglio (sic) e sicurezza eccessivi…sentimento e atteggiamento umilmente riverente e sottomesso (!!!). Se vuoi che Dio ti ascolti devi pregarlo con umiltà (e quindi vi rimando al precedente paragrafo)”. Lo so, l’avete capito, fra i tanti difetti, ho pure quello di non essere umile. Lo trovo un atteggiamento quasi sempre falso, perfino insopportabilmente ipocrita. Da paraculo fatto e finito!
Certo, tornando al calcio, poi leggi gli articoli su calciomercato.com e ti accorgi che tutti acclamano le star, quelli che con un dribbling ti rubano gli occhi, tutti insomma celebrano il pelìde Achille mentre a Patroclo, che sputa sangue da mattina a sera, non se lo fila nessuno; e via…Diego (ce n’è uno!), Antognoni, Van Basten, Del Piero, Batistuta, Ronaldo il Fenomeno… ma all’umile Giovanni Lodetti (ed a quelli, tanti, come lui) non è il caso di dedicare qualche rigo?
Io al Lodetti, ed a quelli come lui, altro che rigo, gli dedicherei sempre la più passionale delle soundtrack.
“Mi hanno dimenticato molto presto. Mi sarebbe piaciuto restare nel calcio allenando i ragazzini; lo proposi a Rivera (ahi, chi abbiamo nominato – nds) quand’era presidente del Milan; aspettai tre mesi fino a quando presero un altro. Fu la mazzata finale. Da allora basta col calcio e con Rivera. Non ci siamo più visti né sentiti”. Che dire? Una vera e propria liquidazione senz’anima e neppure stile. Ma questa è solo la fine della vicenda, perché l’inizio e tutta la storia di questo immenso e poco celebrato centrocampista, è tutt’altra cosa e ci racconta di un uomo vero e nato dal nulla, di un “self-made-man” d’antan, perché Giovanni nasce, nel 1942, in una famiglia “umile” che negli anni a seguire ringrazierà questo “sport per tutti” che le ha permesso di vivere in modo agiato. Giovanni va nel Milan a 17 anni e viene pagato solo 100.000 lire più una muta di maglie per la squadra del paese, ma quando torna da mamma ha nel portafoglio il primo stipendio e sono ben 160.000 lire; e lui se lo tiene stretto con la mano sul cuore temendo “che sparisse all’improvviso e non potessi darli a mia mamma Maria…Se avessi allenato i ragazzi li avrei portati a guardare la gente che suda, che lavora, che si danna. Gli avrei fatto capire la fortuna di fare il calciatore e il privilegio di ritrovarsi ricchi da giovani”.
Altri tempi Giovanni, altri tempi.
E volete che uno fatto così, come il Lodetti, meritasse rispetto? Troppo “umile”! Ed infatti, ai mondiali del ’66, quando si fa male Anastasi, chiamano Pierino Prati e Roberto Boninsegna per sostituire la punta ma, quando Valcareggi e, soprattutto, Mandelli li contano, sono uno in più, sono 23 e devono sacrificare per forza qualcuno; ed indovinate chi scelgono? Risposta facile: Giovanni Lodetti ma, ipocritamente, lo invitano a restare come ospite e gli offrono “pure” come ricompensa una vacanza ad Acapulco con la moglie. Il “Basleta”, era il suo soprannome da sempre, risponde a quelle voci melliflue e concilianti che sono solo facce di m….e che lì, in Inghilterra, non sarebbe restato un attimo in più. Ed infatti, coerentemente come era abituato sin dalla nascita, fa la valigia e se ne va! Vi ricordate come finì per gli azzurri il mondiale del ’66?  Forse sarebbe stato meglio tenerlo nei 22 il Giovanni e probabilmente ancor di più schierarlo fra i titolari uno che metteva i suoi polmoni al servizio delle primedonne calcistiche dell’epoca. Beh, col senno di poi…ma il senno di poi sapeva ampiamente che Lodetti era uno che aveva già vinto scudetti e Coppe dei Campioni, uno da 350 partite in serie A e che, di queste, ne aveva fatte 117 consecutive, anche ferito alla testa e col turbante di garze! Non capite? Il “Basleta” era uno che non mollava mai ed era pure uno corretto, uno che ringhiava sul collo e non ti faceva fallo; uno che non si faceva espellere o ammonire. Uno corretto!
Certo era uno che “era nato” nel Milan ed era quindi abituato a frequentare quotidianamente i campioni ed a imparare da loro perché in quel Milan lì ci mettevi niente a vincere; quelle bellissime maglie rossonere incutevano terrore agli avversari già solo a scendere in campo: Rivera, Altafini, Mora, Sani, Maldini, una sfilza interminabile di supercampioni.
Ma le redini di quelle primedonne erano tenute da due signori che sapevano benissimo quel che si dovesse fare per fare girare il Tagadà milanista: Gipo Viani e Nereo Rocco.
Lodetti se lo ricorda perfettamente il naturale carisma di quel bonario capo: Il Paron, il Paron…si fa male Dino Sani l’eminenza grigia del centrocampo milanista: ”Senti Lodetti oggi abbiamo deciso di diventar matti, ti facciamo giocare. Poi arrangiati” Ma Rocco era pure quello che aveva spiegato al “Basleta”  in sede per il contratto, che “Sei tu, Lodetti, che devi pagare noi che ti facciamo giocare”. Era una battuta, sì, ma all’epoca era anche la verità!
Altri tempi, altri tempi.
Ma tutto considerato a Giovanni Lodetti, 10 agosto 1942, da Caselle Lurani forse non era necessario rinfrescare la memoria di dove stesse giocando e cosa stesse facendo. Lo sapeva di suo:
“Io non ho mai pensato di diventare Rivera, ma ho dato tutto per essere bravo come gli altri”.
Umile? No grazie!