Astolfo si sentì stanco! E quella era per lui una sensazione assolutamente nuova, mai provata prima. Gli facevano male i muscoli, tutti i muscoli e addirittura percepiva che gli dolessero anche le ossa. Capì e si convinse che aveva l’urgenza, ormai impellente e non più rimandabile, di riposarsi, di fermarsi, di non poter andare “oltre”. Scrutò in giro con attenzione alla ricerca di qualcosa che lo accogliesse nel modo più comodo possibile e lì vicino, alla fine della radura, notò una grossa pietra a forma di trono che lo invitava maternamente a concedersi una meritata sosta. Si sedette, si rilassò ed iniziò ad osservarsi pensosamente la punta delle dita; ma in verità non è che fosse proprio intento a guardare, stava solo riflettendo. Su se stesso! E si rese conto che, alla fine… se l’era proprio andata a cercare. Ma come, pensò, io Astolfo, sicuramente il meno allineato fra tutti i cavalieri, un vero hooligan ante litteram, farmi fregare in maniera così ingenua? Ma come ho fatto a non accorgermi che quel capo tifoso della Spal, quel Ludovico di cui mi sfugge il cognome, dopo avermi prima descritto come un essere inaffidabile, strambo, seminatore di zizzanie e neanche troppo coraggioso, insomma un “cattivo soggetto”, nello stesso tempo mi stava manipolando trasformandomi da perfetto “passaguai” in un altrettanto perfetto, anche se a prima vista improbabile, esecutore di “disegni divini”; ha pensato bene di blandirmi ed incuriosirmi con armi fantasiose ed estremamente efficaci: un libretto magico, una lancia incantata, un corno che fa fuggir la gente. Però, mano a mano, con dolcezza, con luciferina astuzia oserei dire, e soprattutto senza che io me ne accorgessi, mi ha fatto compiere, una dopo l’altra, le imprese che altri, molto più celebrati di me, si erano rifiutati categoricamente di svolgere: uccidere Orrilo capendo che sarebbe bastato recidere “quel” capello, distruggere il palazzo di Atlante, cacciare all’inferno le Arpie. Ma con l’ultimo incarico abbiamo raggiunto il punto di sfida più alto possibile ed immaginabile: recuperare sulla Luna il senno di quel deficiente di Orlando che avendo scoperto che quella p****** di Angelica se la spassava con Medoro, invece di ringraziare eternamente il Supremo di avergli risparmiato un costante mal di testa in località osso frontale...che fa? Impazzisce per amore, come il più stupido degli adolescenti, e tocca "ovviamente" al sottoscritto andare a recuperare quel suo inutile cervello che aveva fino a quel momento usato così male. Però lì, sulla Luna, devo anche confidarvi che ho avuto il grande onore di trovare “le lacrime e i sospiri degli amanti, l’inutil tempo che si perde a giuoco, e l’ozio lungo d’uomini ignoranti, vani disegni che non han mai loco, i vani desideri sono tanti, che la più parte ingombran di quel loco: ciò che in somma qua giù perdesti mai, la su salendo ritrovar potrai”.  Insomma, avete capito? Io, quello che agiva “incoscientemente e d’impeto” affidandosi solo alla fortuna ed al soprannaturale, mi sono ritrovato, mio malgrado, ad impersonare il personaggio più razionale, più “logico”, più “scientifico”, più allenato con metodo, costanza e con l’aiuto del logaritmo che si potesse immaginare!
Accidenti a me, senza che me ne accorgessi mi era stato dunque affibbiato il cosiddetto “lavoro sporco a centrocampo". Sono stato trattato proprio come “un utile idiota”. Per carità, non oso nemmeno pensare di sfiorare la grandezza del principe Myskin perché mi manca assolutamente la grandezza e la nobiltà d’animo di un personaggio di “tal fatta”; io, Astolfo, seppure possa vantare nobili origini… sono stato pensato e destinato a faticare per gli altri! Nel corso degli anni mi hanno fatto diventare Trapattoni, Lodetti, Gattuso, De Jong. Insomma, mai uno Schiaffino, mai un Rivera, mai un Kakà: mai una gioia! Arrivato a questo punto e dopo aver contribuito tanto al successo dell’allenatore e delle star per cui mi sono smazzato, non posso fare a meno di chiedermi se, alla fine della giostra, ne è valsa la pena.

Chi di furbizia ferisce… “Mi prenderei a schiaffi…mi prenderei a schiaffi” ripeteva Astolfo con voce rotta e sommessa, ma s’interruppe nel sentire qualcuno che usando un linguaggio sconosciuto ma che sicuramente si rivolgeva a lui esclamò: "no te desesperes amigo, he pasado per cosas peores!". E per quelle cose strane ed inspiegabili ragioni che succedono solo nella Bibbia e nei racconti della letteratura di quando si è ragazzi e si crede perfino a Babbo Natale ed alla Befana, Astolfo si rese conto che riusciva a capire la lingua in cui gli parlava quel  "singolare" personaggio comparso improvvisamente dal nulla. In effetti non c’era niente, ma proprio niente, che rendesse attraente quello strano essere dall’ancor più strano idioma: era basso, appena più alto di un nano, grasso ovunque, ma soprattutto sulla pancia che lo avvicinava, se paragonato ad una inesistente figura geometrica, ad un doppio cono unito per le basi e che finiva, nella parte superiore, con un cranio rotondeggiante incupito da una lunga barba sciatta e mai curata; si capiva anche, già al primo sguardo e dagli “abiti” che indossava, che avesse origini contadine e nessuna cultura ma gli occhi però comunicavano acutezza di mente, razionalità e furbizia. Come ti chiami? Chiese Astolfo che non voleva apparire né  scostante né poco socievole col nuovo arrivato; Sancho, mi chiamo Sancho, rispose con un sorriso quel probabile nuovo “amico geniale”, e qualche tempo fa stavo per realizzare un sogno! Io vengo da una terra arida e, come direbbero in sociologia ed antropologia, son venuto su così come mi vedi "per forza di cose" essendo stato contaminato dall’ambiente”. Sono cresciuto come un cactus, bullizzato per le mie sembianze e per la mia profonda ignoranza; però un giorno, tanto tempo fa, uno strano individuo mi avvicinò e mi propose di diventare lo scudiero di un personaggio incredibile che, sia fisicamente che per sentimenti, era proprio il mio opposto: alto, magrissimo, con un pizzetto sul lungo mento appuntito ma soprattutto sempre pronto a partire lancia in resta contro le imprese impossibili. E non aveva nessuna importanza se fossero figlie di ingiustizia o rese concrete dalla fantasia più profonda e pazza; Lui, il mio Hidalgo, il mio Alfredodistefano, era genio puro! Io capii subito che se fossi stato capace di bilanciare e sposare la sua creatività e la sua irrefrenabile follia con la mia razionalità e la mia cinica concretezza, avrei potuto essere… non il suo Andoni Goikoetxea (troppo “macellaio” e non era nella mia indole) ma, sicuramente, almeno il suo Carles Puyol e alla fine del lungo viaggio che avrei fatto insieme a lui, certamente… sarei diventato ricco, immensamente ricco! Potevo, se la fortuna finalmente m’avesse arriso, dimenticare per sempre le umiliazioni che mi avevano reso arido e duro come le pietre del deserto di Tabernas. E così fu! Non avrei mai pensato però che avrei anche pagato un prezzo così alto perché, non solo mi fu chiesto di tradire il mio Cavaliere, a cui comunque volevo bene e per cui provavo un’ammirazione sconfinata, ma quando come ricompensa mi fu concessa la terra da governare “da solo”, dopo l’euforia iniziale, mi accorsi d’essere stato turlupinato. Che ingenuo maldestro sono stato, amigo… que tonto! Per tutta la vita ho pensato che l’unica cosa che contasse fossero solo “potere e quattrini” ma adesso, con l’esperienza che ho fatto, vi posso tranquillamente dire di tenerveli pure soldi e potere e tenetevi pure Barattaria: non so che farmene! Ridatemi le mie umili origini, la mia terra, la mia dedizione, il mio sudore, la mia semplicità ed anche il mio…Hidalgo!   Astolfo ascoltò con attenzione e alla fine vide Sancho prendersi la testa fra le mani e gli sentì dire… ”mi prenderei a schiaffi…mi prenderei a schiaffi”.

Allons enfans. Astolfo e Sancho si girarono contemporaneamente richiamati o, meglio, “svegliati di soprassalto”, da quella voce che aveva sempre "un decibel in più". Pensate d’essere gli unici che sono stati fregati? Che hanno dolorosamente sbattuto il muso sulla dura realtà? A me è capitato anche di peggio e adesso vi racconto…
Mi chiamo Planchet e giusto vent’anni dopo un lungo periodo di peripezie vissute al seguito del mio signore, un guascone eternamente a caccia di guai, quando finalmente avevo creduto e m’ero convinto che fosse finita quella vita così spericolata (lo confesso ne ero stanco ed il fisico non reggeva più!) il mio padrone mi chiamò al suo cospetto e svelandomi il segreto dell’ennesima pericolosissima missione che gli era stata affidata, mi ordinò di scovare i suoi vecchi e fidati amici dato che, solo con loro, avrebbe avuto speranze di portarla a termine, considerando pure che quell’ordine gli era impartito nientedimeno che da Luigi XIV in persona. Quindi con l’incarico di riunire i Faboulos Four e di riportare in vita il celebre motto “Uno per tutti, tutti per uno” (quello, per capirci, che nel calcio praticato da Lobanovskyj e Michels e Kovacs sarebbe stato definito “calcio totale”) il sottoscritto partì alla ricerca degli altri tre inseparabili moschettieri. Ebbene, miei cari Astolfo e Sancho…che delusione ho provato alla fine della ricerca; Aramis era passato alla Fronda e voleva detronizzare il sovrano; il secondo, Porthos, viveva una profonda crisi d’identità. Infatti era “sì” divenuto ricco proprietario di immensi terreni, ma comunque si sentiva perennemente ghettizzato a causa delle sue origini non nobilissime, e decise di unirsi al mio padrone, non certo per la generosità e l’altruismo che gli conoscevo, ma solo per arricchirsi ancor di più.
E che dirvi dell’intrepido Athos? Nessuno l’avrebbe smosso, mai e poi mai, dal compito di svezzare un giovane dal titolo strano ed esotico: Visconte di Bragelonne. Per inciso e per completezza vi dirò pure che ormai degli altri grandi personaggi che avevano fatto la fortuna e la storia dei romantici romanzi di quell’epoca si era persa ogni traccia: Il re e la regina dei sordidi intrecci di palazzo (né Adriano Galliani né Marina Granovskaia, creduloni) e cioè Richelieu e Milady erano, per così dire, passati a miglior vita. Insomma di quel gruppo di inarrivabili fantasisti dei Blues non era rimasto nulla più, se non un pallido ricordo, e io vidi il mio romantico sogno infrangersi come onda sugli scogli della cinica realtà: dovevo accettare che non sarei mai diventato uno Zidane, un Thuram, un Desailly, ma sarei rimasto il Karembeau di sempre!

Dall’alto della Rupe Tarpea Gli "Illuminati"...illuminati come sempre dal più luminoso e splendente fra i raggi di sole, che nel frattempo avevano assistito a tutto in un religioso, complice, silenzio compiaciuto, si guardarono sorridendo e sogghignarono sodisfatti commentando ad alta voce: ma questi chi credevano d’essere? Ma soprattutto chi credevano di poter diventare? Gli Illuminati si dettero di gomito con la cattiveria dei “Grandi” e pure con l’arroganza tipica e congenita nei Top-player; loro erano stati creati dalle penne dei loro autori come eroi e solo loro, da sempre e per sempre, sarebbero stati ricordati nei libri di storia; e che si chiamassero Orlando, Don Chisciotte, D’Artagnan (ma avrebbero potuto chiamarsi anche Best o Keegan, Rivera e Kakà, Iniesta o Platini) non aveva importanza alcuna: loro sarebbero rimasti lì, impressi nell’immaginario collettivo a cui sono ammessi solo i super-eroi. Tronfi e arroganti contemplavano la loro superiorità, impermeabile alle bassezze ed all’inferiorità degli “umani” a cui avrebbero potuto concedere solo, magnanimamente, di fare il lavoro sporco al posto loro.
Ma allora, si chiesero gongolanti, le lezioni di vita che avevano ricevuto in mille anni non erano state ancora sufficienti? Gliene serviva qualcun’altra di simile? Ma basta, cribbio, anche la nostra infinita pazienza ha un limite, esclamarono infastiditi: che gli “inferiori” si rendessero conto, una volta e per sempre, che il sentiero che porta alla gloria ed al palcoscenico del successo, era cosa solo per i grandi, ed a loro, ai “servi di nascita” era precluso “per volontà divina!”

Dopo questa affermazione che più blasfema non si può, il cielo, che era divenuto plumbeo, fu squarciato da un immenso accecante lampo seguito da un tuono fragoroso…una voce terribile e minacciosa fece zittire tutti i presenti. Ed il Dio di tutti, l’unico che affanna e consola, esclamò furibondo: "Adesso per punire la vostra insolenza, il vostro malcontento, la vostra arroganza ed il vostro ripugnante superego, farete prima un'ora di corsa veloce in montagna, cinquanta scatti senza intervallo e cento flessioni! E se vedo qualcuno fare il furbo, lo appendo nello spogliatoio! Come ve lo devo far capire che solo con lo sforzo di tutti, sacrificandovi l'uno per l'altro e giocando da squadra riusciremo a vincere? Smettetela, dunque, di pensare al vostro micragnoso orticello e proiettatevi verso un nuovo umanesimo in cui il potere non è dominio della creatività, non controllo degli altri, ma 'servizio' per gli altri. Non monologo, ma dialogo. Non palazzo, ma comunità. Avete finalmente inteso il percorso che vi invito a fare piccoli e maleodoranti individui, per non sprecare il dono supremo che vi ho dato?".
E si tacque. Lui non sopportava di sentirsi chiamare stronzo. Tutti gli stronzi non sopportano di sentirsi dare dello stronzo… e si guardarono l’un l’altro…
(l’ultima frase, sino ai primi puntini sospensivi, è tratta da “Il giovane Holden” di JD Salinger cap VI pag 52)