Bill Gillespie arrivò con la sua auto, senza sirene e senza azionare le luci blu, davanti allo spiazzo polveroso dell’area di servizio del motel. Aspettò qualche istante che si dissolvesse la nube di polvere che lui stesso aveva sollevato frenando bruscamente, aprì controvoglia lo sportello sapendo che andando all’aperto si sarebbe separato dal fresco dell’aria condizionata e che sarebbe stato investito, ineluttabilmente, dall’insopportabile fiotto di umidità di quella notte appiccicosa; si passò la mano sulla testa sudata, si tolse i Rayban  dal viso, l’infilò nella tasca della camicia e chiamò con un ruggito Sam Wood, il suo assistente, che l’aveva costretto a raggiungerlo a Pinekreek per mostrargli quello che aveva definito… “un massacro inimmaginabile Capo”.

“Allora, questa carneficina dov’è?” domandò sogghignando sarcasticamente Chief Bill. “Guardi lei stesso Capo e mi dica se in tanti anni di polizia le era mai capitato di trovarsi a tu per tu con tutti ‘sti morti  e  tutti orribilmente sfregiati; prima li hanno uccisi e poi si sono pure divertiti un bel po’… ”, rispose tutto d’un fiato Wood come sempre infastidito dalla solita ironia saccente del suo superiore; Bill Gillespie fece pochi passi, spalancò la porta del bar e…rimase quasi tramortito dalla scena che era davanti ai suoi occhi: lì per terra, disposti quasi alla rinfusa, c’erano cinque cadaveri che erano stati trascinati probabilmente per i piedi, essendo chiarissime le lunghe scie di sangue che i loro corpi avevano lasciato sul pavimento unto; a quattro dei cinque, forse da una esperta mano apache abituata a quella feroce maestria, era stato fatto lo scalpo e al quinto, completamente calvo di suo, erano stati invece cavati gli occhi. L’espressione ghignante sparì dal viso di Gillespie, che riflettendo a voce comunque bassa, domandò a sé stesso ed a Wood…”ma chi sono? Certamente stranieri, per come sono vestiti; forse di Boston oppure  di Philadelphia o di New York; io non li ho mai visti da queste parti…e tu?”  “Neanch’io capo, rispose Wood, ma le telecamere interne ed esterne oltre alla “cimici” ed alle micro-videocamere che abbiamo trovato nelle auto hanno sicuramente ripreso tutto…ci daranno una mano decisiva per risolvere in fretta il caso.”
Detto fatto, Gillespie e Wood, in un quarto d’ora, riuscirono a farsi scaricare le riprese dal tecnico della scientifica e poterono assistere per intero a quel macabro film: una BMW X6 grigio metallizzato, arriva nello spiazzo dell’area di servizio dove sono già parcheggiate altre cinque (!) macchine e ne scende un uomo (beh, più o meno)…

Il summit
Stefano entrò nella sala buffet del motel-snackbar-area di servizio; sapeva che l’avrebbe trovata quasi deserta ed infatti i tavoli erano tutti vuoti tranne uno. Quei volti appartenevano a persone che lui conosceva benissimo e anche da molto tempo. Per lui avere a che fare con quei personaggi era diventata un’abitudine e non gli provocava più alcuna emozione. Come del resto era anche abituato anche al loro formale dress-code…quindi, dato che sapeva già la risposta, evitò di domandarsi pleonasticamente se fosse stato convocato per una riunione “operativa” di una società di calcio o se invece fosse capitato, per puro caso e come un pesce fuor d’acqua, nel summit ristretto del CdA di una società dedita al più cinico brokeraggio. E probabilmente l’Head Coach non è che si fosse tanto concesso a pindarici voli di fantasia anzi, a ben vedere, ponendosi quel dubbio sul campo di applicazione degli altri convenuti, era andato molto vicino alla realtà. A parte lui, tutti i partecipanti a quella particolare assemblea potevano vantare precedenti incarichi prestigiosi in JP Morgan o in Lehman Brothers. E proprio come si conviene in una riunione di manager d’affari, ognuno dei presenti, dopo uno sbrigativo cenno di saluto  solo formale, aprì il proprio pc e diede il canonico ultimo sguardo ai dati di cui avrebbero subito iniziato a discutere.

Iniziò a parlare Giorgio che illustrò con alcuni grafici l’andamento degli ultimi dati di bilancio; Hendrik annuì approvando il lavoro sin lì svolto dall’amministratore delegato ma ricordò a tutti che era necessario spingersi oltre e annunciò ulteriori tagli di personale, “sportivo e non”, per ottimizzare le risorse umane: “Sono convinto, disse con voce ferma e che non ammetteva repliche, che possiamo fare a meno sia del nutrizionista che degli addetti alla manutenzione dei campi; svegliandosi 3-4 ore prima e  magari finendo di lavorare solo 2 ore dopo, questa mansione possono tranquillamente svolgerla il match-analyst, che tanto non ci piglia mai, e l’allenatore dei portieri; e poi si sa, disse concludendo con un sorriso beffardo, gli impegni manuali ripuliscono la mente dallo stress e il Fuh…il Capo sarà veramente felice …ricordate sempre la sua massima… “ il lavoro rende liberi”.
Paolo, che non aveva e quindi neanche poteva, dare buone notizie sul sogno dell’area edificabile del nuovo stadio, preferì tacere e si limitò a far scorrere il rosario che aveva tra le mani dedicando qualche commossa preghiera agli amici da poco scomparsi, quelli con cui, qualche anno prima, aveva vissuto la grandeur di quella storica società di cui era ancora l’ineffabile presidente.
Geoffrey dovette dilungarsi un po’ di più essendo costretto a “tentare di far capire” a Stefano i nomi dei futuri Crack che avrebbero fatto parte della rosa di prima squadra dell’anno seguente.

Dopo aver ascoltato in subalterno silenzio ed in assoluta adorazione le parole di Goeffrey, Stefano alzò la mano per avere il permesso di intervenire; gli altri presenti, pregustando il divertimento ormai prossimo, cominciarono a ridacchiare in maniera composta (noblesse oblige…i manager non ridono mai! Quello che a tutto il resto dell’umanità potrebbe sembrare una sgradevolissima risata, sbattuta in faccia senza alcun ritegno al tapino di turno, è invece un doveroso rilassamento/allenamento dei loro, sempre contratti, muscoli facciali!

La montagna partorì il topolino e l’uomo venuto da Parma, inspirò copiosamente aria nei polmoni… e parlò. Gli altri quattro, dopo le rituali occhiatine ed i colpetti di gomito che volevano dire “eccolo qua, famose du risate” non prestarono, come al solito, la benché minima attenzione a quel che diceva; erano, piuttosto, proprio estasiati da “quel” modo di parlare. Stefano mischiava parole scandite con forte accento emiliano a suoni incomprensibil, il tutto  impastato da un eccesso di salivazione e di gorgoglii rimasti appesi fra gola e trachea…quella particolare “parlata” somigliava ad uno dei tipici modi di comunicare che hanno i cavalli e perciò quei manigoldi avevano battezzato il povero Stefano…Varenne. E, come sempre si capì molto poco di quel che dicesse; grosso modo si intuì un biascicato…misc avevaaa promessscc giuocatuoriiiii fortch peeer rinforzzascere la rooscia…non ne è arrivats nesciuno ed io a questue condiszioni… Endrick lo interruppe bruscamente mettendosi imperiosamente l’indice davanti alle labbra ed obbligandolo al silenzio: Stefano, ci sta videochiamando il Capo proprio adesso; zitti tutti, ascoltiamo ed ubbidiamo.”

Anche la qualità della call però non era delle migliori, si sentiva solo a tratti, a volte lontanissimo e, incredibilmente, altrettante volte molto, molto, vicino. Jerry, motivò tutti poi, come sempre sono tenuti a fare i capi, scudisciò i presenti perché “si” i risultati erano accettabili, ma da loro, considerato quanto profumatamente li pagasse, era doveroso aspettarsi di più, sensibilmente di più.
Appena Jerry chiuse la call l’assemblea fu sciolta e dopo un breve saluto ed un augurio di buon lavoro si separarono.

Stefano salì in macchina, mise in moto e fece per partire, e solo in quel momento si accorse del mastodontico Peterbilt 281 che aveva di fianco; dell’autista dell’autocisterna vide solo le scarpe perfettamente lucide ed il braccio che sporgeva dal finestrino che lo invitava a partire. Anche Stefano, educatamente, sporse il braccio all’esterno in segno di ringraziamento per la cortesia ricevuta…e fu l’inferno!

Il duello
Il coach aveva percorso poco più di un chilometro della statale deserta quando lo sentì per la prima volta arrivare sbuffando; il 281 affiancò sfiorando pericolosamente la sua BMW, la superò e cominciò ad ondeggiargli davanti come se lo volesse provocare; poi il braccio del camionista uscì un’altra volta dal finestrino invitandolo a farsi superare a sua volta…e Stefano lo fece, ma cominciò anche a pensare, a realizzare, che quella notte da incubo era appena iniziata. Ed infatti, dopo qualche minuto e qualche centinaio di metri percorsi, “il mostro” era un’altra volta alle sue spalle; e adesso quella demoniaca autocisterna non si limitava più a superarlo, lo tamponava, lo affiancava e lo strusciava con le sue interminabili lamiere; e il gioco al massacro divenne sempre più angosciante… ormai a Stefano divenne chiara l’intenzione di quel pazzo: voleva buttarlo fuori strada, voleva ucciderlo!
Era sempre più terrorizzato e ormai convinto di non aver più scampo; era sempre lui a fare da preda ed il Peterbilt da cacciatore, anche se da qualche minuto non vedeva pericolosamente vicini i fari dell’autocisterna; concentrato com’era, Stefano si accorse solo all’ultimo momento dell’uomo che sul ciglio della strada gli indicava la direzione da seguire. E forse probabilmente fu solo il suo forte istinto di sopravvivenza unito alla disperazione a fargli prendere la direzione che quell’uomo gli indicava. Fece però in tempo a vedere dallo specchietto retrovisore che quello stesso uomo si era messo a spostare con velocità frenetica cartelli e segnalazioni di pericolo. Per alcuni interminabili secondi non vide più nulla, poi scorse l’improvvisa luce arancione di un’esplosione seguita, di lì a qualche istante, da un  enorme boato. Si sentì costretto e speranzoso ad andare a vedere cosa fosse successo e ancora fradicio di paura e sudore si rimise a guidare seguendo la direzione di quella luce. Il Peterbilt 281,  o meglio quello che rimaneva di quel satanico camion, bruciava e scoppiava ancora; Stefano non fu in grado di avvicinarsi e quindi, dell’autista di quella terribile autocisterna assassina, riuscì a scorgere solo i piedi, che peraltro gli risultarono stranamente familiari, che penzolavano ormai senza vita ma avevano indosso le eleganti e formali “stringate” ancora perfettamente allacciate.
Anche se confortato dall’incendio che avvolgeva la diabolica autocisterna ed il suo conduttore,  Stefano non riusciva ancora a controllare il tremore che lo faceva vibrare dalla testa ai piedi; sentì la macchina fermarglisi vicino e sobbalzò con violenza; si girò choccato ed impaurito e riconobbe la voce di Goeffrey che lo chiamava ripetutamente per nome.

La fuga
Sali in macchina, muoviti, scappiamo via da qui prima che sia troppo tardi” , il tono non era imperativo, anzi, addirittura amichevole quasi affettuoso e Stefano, finalmente sollevato dal non dover più affrontare da solo altri pericoli, salì in macchina accogliendo l’invito del suo Capo-Scouting. Mentre prendevano la direzione opposta a quella dell’incendio Goeffrey iniziò a parlargli: “Ormai la situazione è diventata insostenibile anche per me; basta, mollo tutto. Voglio ricominciare daccapo lontano da qui e da questa gente. Fino a poche ore fa ero ancora  convinto di essere in grado di gestire la pressione continua che mi mettevano addosso, ma i dubbi sulla bontà del “loro” progetto diventavano giorno dopo giorno sempre di più e adesso, dopo aver visto coi miei occhi (è un po’ che ti seguivo) quello che ti è successo mi sono definitivamente convinto…non sarà un atto coraggioso scappare, non lo è mai, ma non posso certo rimetterci la pelle. Ho famiglia io!”

Stefano annuì col capo, non aveva necessità di parlare per far capire a Goeffrey che condivideva, al 100 %, le sue ansie e le sue paure e adesso aveva pure la consapevolezza che il progetto a cui avevano insieme lavorato per quattro anni era miseramente naufragato; poi, per spazzare via anche la minima perplessità sulle sue intenzioni che collimavano con quelle dell’inaspettato compagno di viaggio, esclamò: “La penso uguale a te, andiamo via, ci faremo raggiungere dalle nostre famiglie in un posto più tranquillo di questo. Basta guerre!”
Goeffrey guidava senza correre, con tranquillità, che svanì d’improvviso liquefatta dalla luce dei riflettori che accecandoli con più fasci di luci inondò la macchina dei due fuggitivi. Neanche per un istante pensarono di fermarsi all’imponente posto di blocco che come un muro era posto davanti a loro. L’auto accelerò con violenza e con una manovra spericolata degna del miglior Ayrton riuscì a passare quasi incredibilmente attraverso quella parete di macchine sulle cui portiere Goeffrey e Stefano riuscirono a distinguere lo stemma della polizia privata a cui apparteneva quell’esagerato dispiegamento di auto e mezzi blindati; davanti a loro, disposta perfettamente come una falange spartana, c’erano proprio le truppe d’assalto della famigerata BlackBird-Armée con in prima linea il loro sanguinario capo: Paolo il Rosso!

Paolo, completamente invasato e col viso paonazzo , urlava come un ossesso e le sue parole si riuscivano a sentire senza sforzo a centinaia di metri di distanza: “Inseguiamoli… inseguiamoli… sterminiamoli! Non sono più dei nostri… sono anche loro diventati due pericolosissimi rivoluzionari che collaborano con la resistenza partigiana. Abbiamo l’obbligo divino di reprimere qualsiasi ostacolo che si frapponga fra di noi e la vittoria finale. E loro adesso per noi “sono l’ostacolo” da cui liberarsi: Viva la restaurazione fratelli della Gest…uccideteli”. Ormai senza più freni ed impregnato della suo delirante e schizofrenica ossessione per il comando, Paolo si mise alla testa della colonna dei veicoli inseguitori e quello stupefacente, irreale serpente di metallo cominciò ad inseguirsi a velocità folle percorrendo decine e decine di miglia fino ad iniziare ad inerpicarsi nel valico che portava da Barberino del Mugello a Sassomarconi.

Ma Paolo il sanguinario ed i suoi uomini non potevano certo aspettarsi né immaginare che ad aspettarli, nascosta negli anfratti di quelle montagne, ci fosse “la Morte” che li attendeva pazientemente ormai da ore; erano solo otto uomini, ma quegli stessi uomini, avevano accumulato tanta di quella rabbia alimentata da anni e anni di soprusi ed angherie da diventare praticamente immortali. Ed erano tutti perfettamente addestrati ad uccidere…a qualsiasi costo! Il loro comandante, il tenente Pawel Maldiniarevski li scrutò ancora per un’ultima una volta coi suoi occhi azzurro-ghiaccio, si soffermò un impercettibile istante in più solo sul suo braccio destro di sempre, il sergente Massàrek, e disse…”Da quando siete al mio comando avete saputo di avere un debito, un debito con me personalmente. Ogni uomo sotto il mio comando mi dovrà cento scalpi di Pirati Economici… e li voglio i miei scalpi! E ciascuno di voi mi darà cento scalpi strappati dalla testa di cento pirati morti. O ci resterà secco nel farlo…e attraverso la crudeltà sapranno chi siamo. Troveranno le prove della nostra crudeltà sui corpi dei loro fratelli smembrati, sfigurati e dilaniati che lasceremo dietro di noi”.

Ancor più caricati dalle parole del loro comandante, quelle macchine da guerra armate fino ai denti si appostarono nei posti dove la visuale risultava migliore… il massacro ebbe inizio e degli uomini di quella interminabile colonna di auto non se ne salvò neanche uno. Solo quando furono certi che il silenzio della morte era diventato irreversibile e interamente portato a termine, gli uomini di Maldiniarevski e Massarek si diressero verso le auto e completarono il loro compito eseguendo quella macabra promessa che avevano fatto al loro comandante. Appesero centinaia di scalpi degli uomini della Blackbird armèe alle loro Katane e sparirono nel nulla.
Anche Pawel e Ryszard andarono fra le macchine. Sapevano perfettamente di avere un compito ben preciso da portare a termine.
Incontrarono prima i due traditori, Stefano e Goeffrey; poi fu la volta di Paolo, che trovarono ancora inebetito dal suo stesso delirio, ed infine, nonostante l’estremo tentativo di sfuggire al mortale colpo di falce nascondendosi nel bagagliaio dell’auto del presidente, scovarono anche l’anima più nera di tutte, Hendrik. E per nessuno ci fu pietà. Né per i traditori, redenti dell’ultim’ora, né per gli altri due. Solo ad Hendrik non fu fatto lo scalpo (per evidenti motivi) ma il suo corpo ormai senza vita fu oltraggiato con altrettanta ferocia: a quello che per anni era stato “lo guardo nascosto del capo nella società, lo spione” vennero cavati gli occhi per comunicare forte e chiaro il sinistro messaggio di non mettere mai più il becco in una società di calcio-

Lo “scontato” finale
Il sergente Wood fece un profondo respiro, guardò chief Gillespie, e gli chiese: “tutto chiaro capo o vi è rimasto ancora qualche dubbio? Il caso è risolto è vero? Volete che faccia qualche cosa? Chiamo i federali e li avviso di spiccare un mandato di cattura internazionale contro Maldiniarevski e Massarek?” ” No, lo farò domani io…sta tranquillo e vai a casa” rispose rassicurante Gillespie.  “Capo, incalzò Wood, ma secondo voi che ne è stato di Jerry? Sarà riuscito a sfuggire alla vendetta di Pawel e Ryszard?”…” Non credo proprio, rispose Gillespie, con un’espressione che a Wood sembrò quasi di soddisfazione, sono quasi certo che lo troveremo morto stecchito nella soffitta di qualche motel qui nei paraggi, giustiziato con un solo colpo fra gli occhi…e senza più un solo capello in testa…però, ti ripeto, va’ a casa adesso, te lo ordino”. Una volta giunti all’esterno il sergente Wood rivolse un ultimo breve cenno di saluto al suo capo, salì in macchina e parti sgasando. Chief Gillespie si calcò in testa il berretto…tirò su la zip del giubbino…prese dalla tasca…una sciarpa rossonera che si posò sulle spalle, e nonostante fosse rimasto  apparentemente solo, fece un saluto con la mano a chissà chi… e andò via ridacchiando.

 

A special thanks to:
Mr Norman Jewison: “La calda notte dell’ispettore Tibbs
Mr Steven Spielberg: “Duel e Sugarland Express”
Mr Joel and  Ethan Coen: “Non è un paese per vecchi”
Mr Quentin Tarantino: “Bastardi senza gloria” (monologo “quasi” C/I di Raine/  Pitt)
che ci hanno regalato quattro capolavori assoluti del cinema (guarda caso) americano… del resto anche loro, se vogliono, sanno fare cose bellissime...