Quello che le donne non dicono
(da “Donna Moderna” del 28 settembre 2022 stralcio dell’intervista di Antonella Trentin a Donatella Colasanti sopravvissuta al delitto del Circeo)

«…sembrava un bravo ragazzo. Parlava di musica classica, per farci buona impressione. Rosaria e io avevamo solo 17 anni! Ci ha invitate a una festa da ballo, dicendo che ci sarebbero stati ragazzi e ragazze, compagni di scuola. Invece quella festa non c’è mai stata…

…quando siamo arrivate nella villa del Circeo, ci hanno fatte subito entrare in casa. Ci hanno puntato una pistola contro, sghignazzando: “Ecco la festa!”. Poi ci hanno chiuso in un bagno minuscolo, senz’aria. Ci hanno spogliate, tolto gli anelli, i documenti, tutto quello che avrebbe potuto renderci identificabili. Sapevano benissimo cosa stavano facendo. Era tutto preparato. I sacchi in cui ci avrebbero messe, da morte, ce li hanno mostrati subito. È stato terribile».

Izzo come si comportava?
«Voleva essere protagonista, al centro dell’attenzione. Ripeteva in continuazione che lui era capace di uccidere. Diceva che ci avrebbe ammazzate. L’ora e il modo non erano stati decisi, ma dovevamo morire. “Da qui non uscirete vive”, diceva con il suo sorrisetto malvagio. Recitava un copione».

Angelo Izzo odiava le donne?
«Gli esseri umani, direi. Ce l’aveva con tutti
. Si entusiasmava all’idea di sequestri e rapine».

Lei come ha fatto a salvarsi?
«A un certo punto ci hanno divise. Rosaria l’hanno portata nel bagno di sopra. Poi sono tornati da me. Ho capito che l’unica, minuscola, speranza che mi rimaneva era fingermi morta… mi aveva fatto sdraiare per terra, mi aveva messo un piede sul petto e legato una cinghia attorno al collo. Ha tirato così forte che alla fine la fibbia si è rotta. Allora ha cominciato a infierire con la spranga e con i calci in testa».
«Provava gusto nel vedermi soffrire. A un certo punto, ho sentito una voce che diceva: “Questa non muore mai!”.
Allora ho deciso di stare immobile, come un animale paralizzato di fronte al pericolo. Sono rimasta così ferma… che hanno pensato di avermi uccisa. Mi colpivano e io non fiatavo: una morta non prova dolore».

Poi l’hanno messa nel bagagliaio della macchina?
«Sì, assieme a Rosaria, che avevano annegato nella vasca da bagno, al piano di sopra».

Come si è comportato Izzo durante il processo?
«Aveva perso l’aria spavalda. Anzi, aveva paura. Tutte quelle donne, le femministe, dalla mia parte. La gente arrabbiata lo spaventava. Scappava via… non riusciva a rimanere in udienza per più di un’ora…».

Quando i bambini fanno “Oh”
... secondo il Gup, il movente che ha portato la Panarello a uccidere il figlio “strangolandolo con delle fascette”, a “occultarne poi il corpo” e a “nascondere lo zainetto del bambino”, è “un dolo d’impeto, nato dal rifiuto del bambino di andare a scuola quella mattina e dal diverbio nato con la madre, il cui contenuto è conosciuto soltanto all’imputata”.
Secondo l’ultimo rapporto EURES, tra il 2000 e il 2014, sono stati 379 i figli uccisi da un genitore in Italia. Dati più recenti… parlano di quasi 500 bambini uccisi da una mamma o un papà… dalle persone di cui si fidavano di più.
L’ultima ha ventidue mesi, è ricoverata all’ospedale pediatrico “Bambino Gesù” di Roma ed è in lento miglioramento. Quando ci è arrivata, mercoledì scorso, da Genzano, era in fin di vita, per gli schiaffi e le percosse che le aveva scaricato addosso il compagno della madre. Lei è stata salvata, per altri bambini è stato impossibile.
Giuseppe aveva sette anni. Alla fine di gennaio, a Cardito, periferia nord di Napoli, è stato picchiato a morte dall’uomo che conviveva con la mamma, “perché giocando aveva rotto la sponda del lettino nuovo”, ha raccontato l’uomo agli inquirenti.

Dal 2010 a oggi in Italia sono stati commessi 268 figlicidi, una media di quasi uno ogni due settimane: nel 55,6% dei casi (149 in valori assoluti) si tratta di bambini con meno di 12 anni, in dettaglio 106 di età compresa tra 0 e 5 anni (il 39,7%) e 43 tra 6 e 11 anni (16,2%). È quanto emerge dalla elaborazione del fenomeno aggiornata dall'Eures - Ricerche economiche e sociali.

Decisamente inferiore, nel periodo in questione, l'incidenza delle vittime adolescenti (26, pari al 9,6%) o di figli maggiorenni (93, pari al 34,4%), spesso uccisi da genitori anziani, incapaci di prendersi cura o di sostenere fragilità fisiche e mentali o la loro dipendenza. Delle 268 vittime di
figlicidio tra il 2010 ed oggi, 151 sono i maschi (56,8%), 117 le femmine (43,7%).

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Padri e madri killer

Nella maggior parte dei casi l'autore dei figlicidi è il padre (172 figli uccisi dal 2010, pari al 64,2%), a fronte del 35,8% dei figli uccisi dalle madri (96 in valori assoluti). Il rapporto si capovolge nella fascia 0-5 anni, quando sono le madri a risultare le autrici prevalenti (in 61 casi, pari al 57,5% contro 45 commessi dai padri, pari al 42,5%).

In particolare, le madri sono autrici della quasi totalità degli infanticidi/neonaticidi censiti (35 sui 39 complessivi). Disaggregando i dati in base al genere dell'autore emerge come siano soprattutto i padri a far seguire al gesto omicida la propria morte (48,8% dei casi), a fronte di una percentuale significativamente inferiore rilevata tra le madri (33,3%).

Con riferimento al movente, oltre un terzo dei figlicidi (il 34,3%) è attribuibile ad un disturbo psichico dell'autore (depressione o altro disturbo psicologico), che sale al 54,2% dei casi quando ad uccidere il proprio figlio è la madre. Al disturbo psichico appare peraltro in larga parte assimilabile anche il neonaticidio, ovvero l'uccisione del figlio nei primi giorni/mesi di vita a seguito di uno stato di forte depressione, generalmente della madre (che infatti registra tra queste ultime una incidenza pari al 24%).

Nelle dinamiche alla base degli eventi delittuosi che coinvolgono i figli hanno un peso rilevante i cosiddetti "omicidi del possesso" (pari complessivamente al 14,6% dei casi), che figurano al secondo posto tra i moventi individuati e riguardano quasi esclusivamente autori uomini (nel 21,5% dei casi contro il 2,1% tra le donne): - spiegano i ricercatori dell'EURES - i figli non sono considerati come soggetti a sé, ma come l'estensione del coniuge o dell'ex coniuge che si vuole punire/annientare, tanto che nella quasi totalità dei casi tali delitti rappresentano stragi familiari, che coinvolgono anche l'altro genitore e si concludono con il suicidio dello stesso autore".

Gli altri moventi (liti e dissapori, disagio della vittima, interesse o denaro) si registrano quasi esclusivamente quando l'autore è il padre e quando la
vittima è maggiorenne…

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Karate Kid
Willy Monteiro Duarte è stato ucciso il 6 settembre 2020 in piazza Oberdan a Colleferro. Intervenuto in una rissa per aiutare un amico, è stato brutalmente pestato dal branco, che lo ha lasciato a terra privo di sensi e con ferite mortali.

Dalla sentenza depositata: ”…si è infatti in presenza della brutale uccisione di un giovane inerme, del tutto estraneo a qualsivoglia disputa in atto, fatto oggetto di calci e pugni da parte di soggetti che neppure lo conoscevano, che ha riportato non solo il trauma irreversibile di cuore, polmoni, timo e carotide, ma che ha travolto anche il diaframma, la milza, il pancreas ed il fegato, oltre i capo, il naso e gli arti…”

“Li ho visti infierire tutti e quattro su Willy…non hanno mai mostrato segni di pentimento…Willy è stato un esempio di coraggio e amicizia e spero di ispirazione per qualcuno più piccolo di noi…il suo gesto non dev’essere dimenticato…(Samuele Cenciarelli, amico di Willy e supertestimone  del “Processo di Colleferro”).

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Eppure non è il Far West
Sembrerebbe, quello sin qui riportato, un quadro raccapricciante degli abitanti della nostra penisola dove i cittadini, senza distinzione di genere, censo ed età, siano costretti ad una quotidiana lotta per la sopravvivenza, profondamente immersi ormai in un vortice senza via uscita di efferatezza priva di qualsiasi limite ed invece, almeno in parte, non è sicuramente cosi. Infatti i dati scientifici diffusi dal Dipartimento di P.S. ci restituiscono una fotografia che dovremmo assolutamente considerare rassicurante: negli ultimi 25 anni abbiamo registrato una drastica diminuzione delle morti violente e, in Europa, siamo fra le nazioni che registrano percentuali tra le più basse (siamo terzultimi) e vantiamo un confortevole “ultimo posto” fra gli stati europei con il maggior numero di abitanti, essendo sopravanzati, in questa sgradevole classifica,  dalla Germania, dalla Francia e dalla Spagna (per inciso, le nazioni più “turbolente” sono le tre baltiche: Lettonia, Estonia e Lituania).

Dovremmo quindi, in definitiva, sentirci sia rassicurati, e perciò relativamente tranquilli e adeguatamente protetti eppure… eppure non lo siamo. Perché?

A scavare oltre la superficie ed a “psicanalizzarci in autonomia” è come se tutti noi percepissimo (forse ne siamo addirittura convinti) che però c’è, vivo e presente, un piccolo tarlo che s’insinua, o può insinuarsi, perfido e malevolo, in qualsiasi istante nella vita di ognuno di noi; lo riteniamo, non razionalmente, comunque in grado di superare di slancio ed agilmente, qualsiasi nostra munita e preventiva difesa, corrodendo in tal modo la nostra serenità! E forse la risposta, incredibilmente, si trova racchiusa in questa domanda: perché si uccide? Ed in controtendenza con tutto quello che ho provato sin qui a riportare in maniera quanto più asettica possibile, esiste un dato (report ISTAT 2022) che sicuramente potremmo definire allarmante: per quasi il 50% delle situazioni che portano all’omicidio (per l’esattezza 45,9 %) il movente è il “Futile motivo”. Ma non solo. La percentuale di chi esegue il crimine estremo (uomini e donne) è praticamente uguale (47 a 43). Ma il malefico tarlo, il “futile motivo” che cos’è? Per motivo futile “…è necessario che la determinazione criminosa sia stata indotta da uno stimolo esterno talmente lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato commesso, da apparire assolutamente insufficiente, secondo il comune modo di sentire, tanto da poter essere considerato un mero pretesto per lo sfogo violento e non una causa determinante della condotta (art 61 cp)”.

Ed ecco quindi che forse abbiamo trovato, in un colpo solo, sia il filo rosso che unisce i delitti che ho sommariamente riportato e che, ad una prima frettolosa analisi, sembrerebbero diversissimi l’uno dall’altro e completamente slegati tra loro (e non è cosi!), sia la  connessione che altresì ”potrebbe”  fornirci una lettura possibile della nostra quotidianaansia da insicurezza” che ci opprime “nonostante gli attuali più che rassicuranti dati scientifici”. Ed allora ci accorgiamo che ci indigniamo (ma poi a che serve concretamente?), come è giusto che sia, per ogni donna che viene anche solo maltrattata o derisa ma, allo stesso identico modo, guardiamo increduli e terrorizzati i bambini che vengono massacrati di botte da energumeni che addirittura, per mera sfortuna, sono i loro  genitori. E i ragazzi o le ragazze massacrati dal singolo o dal branco, secondo uno scontato giudizio unanime, vi sembra che abbiano ricevuto un trattamento più umano di quello riservato alle donne ed ai bambini? Perciò dovremmo non indignarci, ma pittosto, incazzarci come leonesse quando difendono i loro figli dai tentativi di aggressione di altri animali, e dovremmo farlo sempre e comunque quando ci troviamo di fronte ad ogni forma di prevaricazione, dalla più lieve sino a quella che mette in pericolo sia la nostra vita e quella degli altri. Ma considerando che non siamo stati fatti per vivere in maniera brutale e bestiale ecco che, alla fine, ecco che ci ritroviamo obbligati a confrontarci con un’umanità che sta semplificando la propria vita al punto di ridurla alla contesa fisica: sono più forte di te e perciò “vinco io” indipendentemente che tu abbia più o meno ragione. E questo orrendo esercizio di machismo trasversale non aspetta altro che mettersi in mostra, smodatamente e sguaiatamente, anche quando non esiste alcuna provocazione. E ci ritroviamo quindi, con la testa tra le mani a trovare una spiegazione di un evento che sfugge alla comune comprensione e subito dopo restiamo lì a chiederci se abbiamo ancora la possibilità di prevenire il pericolo derivante da “quel maledetto “futile motivo”? Serve costruire un argine culturale per risolvere il problema? E quindi ti ritrovi a supplicare, ogni maledetta volta, il supporto e l’aiuto alla società civile e delle istituzioni per uscire da un pericolo che è “sì” imprevisto ed imprevedibile, ma ormai conosciuto, profondamente studiato, vivisezionato in ogni suo minuscolo frammento…ma mai affrontato con la decisione che meriterebbe. E’ troppo scomodo!

E come al solito, come in questi giorni, verranno gridati slogan su slogan e la rabbia delle persone sarà manipolata ed esasperata e utilizzata solo per distogliere l’attenzione da qualche altro problema e, sempre "come al solito" ci ritroveremo punto e a capo, a piangere per le morti  DELLE GIULIE…DEI LORIS…DEI WILLY… che potranno, di volta in volta, essere figli di una discriminazione di genere, di età, di provenienza geografica oppure della diversa estrazione sociale ma tragicamente vittime del sempre identico stupido sopruso e drammaticamente uguali uno all’altro