C’è un grossolano errore che stiamo commettendo un po’ tutti noi tifosi rossoneri nel tentativo angoscioso di capire cosa sia già successo al Milan e soprattutto quale futuro attende e si prospetta per la nostra maglia e per la nostra società. Ognuno di  noi infatti, o almeno la maggioranza quasi totale dei supporter milanisti, fatta una doverosa eccezione per una percentuale non significativa da quantificare nell’ordine di uno “zero-virgola”, continua, in assoluta buona fede, ma un po’ “ottusamente” a guardare quello che sta capitando, esclusivamente dal proprio punto di vista senza tenere in alcun conto, cosa che invece dovrebbe assolutamente esser fatta, gli obiettivi e sopfchrattutto la cd mission della proprietà.

Prima di andar avanti con la storia e con le considerazioni fondamentali che legano il filo logico degli attuali eventi e, penso, quello che ho scritto, sarà fondamentale tenere ben impresse nella memoria due parole che sono state già lette in questo approssimativo inizio: tifosi e supporter!
Adesso, con un ulteriore lavoro di pulizia ed onestà intellettuale, dobbiamo liberarci di un romantico ed inesistente pregiudizio: Red Bird potrebbe essere pure Belzebù o il male assoluto e, considerato il cuore ferito che ci ritroviamo in questi momenti, possiamo persino considerarla la peggior sciagura che potesse capitare al “nostro vecchio Milan”; però il processo di radicale cambiamento del paradigma del calcio, universalmente e non solo a Milano, non è certo iniziato da ieri, visto che mecenati filantropi calcistici si sono definitivamente estinti qualche decennio fa.

Per cui, al di là di teatrali rappresentazioni pseudo-romantiche, che abbiamo vissuto e ci hanno anche raccontato, dobbiamo invece razionalmente accettare, senza atteggiarci (noi milanisti per primi che se proprio non abbiamo avuto anche Philip Roth e Vladimir Nabokov come presidenti… beh, ci siamo andati molto vicino), a pudiche ed immacolate verginelle, perché già il ventennio berlusconiano conteneva ragioni d’interessamento al futebol che prescindevano dal puro e viscerale amore per la squadra per la quale il presidente della nostra più gloriosa e vincente epopea amava raccontare di aver tifato sin da bambino.
Sarebbe viceversa intellettualmente molto più corretto accettare e dichiarare che una fortunata sorta di convergenze parallele, riutilizzando un termine ormai in disuso, abbia coniugato interessi personali ed imprenditoriali con indimenticabili, per noi tifosi, ineguagliabili successi calcistici. Eravamo ovviamente in tutt’altro periodo storico ma la trasformazione del calcio stava già avvenendo e il cambiamento correva veloce . Dunque altri tempi ed altri successi che ci servono solo cronologicamente, per assegnare una “data X” all’inizio della rivoluzione.

Torniamo all’attualità però e oggi, fine giugno dell’anno di grazia 2023, qual è il panorama che ci disegna il “pianeta calcio”?
Per semplificarci la vita, ma cercando di avere comunque una veduta d’insieme prossima alla realtà, proviamo a dividere le società di calcio, intese come proprietà, in tre grandi macro-aree:
1) le società che chiameremo 'pure';
2) le proprietà arabe;
3) le proprietà gestite da fondi speculativi (soprattutto americani).

Alla prima categoria appartengono alcune importantissime e gloriosissime società: Real Madrid, Barcellona e Bayern Monaco.
Tutte e tre queste società, seppure giuridicamente profondamente differenti, hanno tuttavia in comune una presenza significativa di azionariato popolare. Sforzandomi di essere quanto più possibile stringato mi limiterò perciò ad evidenziare solo pochissimi dati distintivi, sufficienti comunque a comporre un quadro d’insieme abbastanza preciso e chiarificatore sull’attuale “universo calcio”  in cui, alla fine di un’analisi quanto più possibile non critica ma lucida, ci rendiamo conto che sono stati definitamente accantonati gli originari valori fondanti.  
Focalizzando il nostro obiettivo sulle società iberiche scopriamo che la loro attività è tuttora regolata dalla Legge dello Sport (Ley del Deporte 10/1990) che varò “ad hoc”, oltre un trentennio fa, una nuova forma giuridica, la SAD (sociedad autonoma deportiva).
Senza entrare nel dettaglio, possiamo riassumere che la SAD è una società per azioni il cui oggetto sociale è limitato ad essere…una società sportiva! Il quadro legislativo voluto all’epoca dal  governo iberico, ha permesso, in molti casi, alle società calcistiche spagnole di identificarsi, se desideravano farlo, in “società sportive senza scopo di lucro” e, perciò tanto, pure di godere di una tassazione agevolata che ha consentito soprattutto a Real e Barça, di  avere una maggiore disponibilità di denaro da investire nel rafforzamento delle proprie rose. L’adozione di quello status giuridico (ovviamente non solo quello) ha portato come risultato, la possibilità di dominare per molti anni la scena calcistica europea (ma l’escamotage non fu e non è tuttora apprezzato dagli organi calcistici europei). E tuttavia c’è anche da considerare che il vincolante legame imposto dalla forma giuridica prescelta, cioè il divieto di procurarsi lucro, ha contribuito a generare una crisi sempre più profonda del calcio spagnolo e ancora attualmente ne sono alla prese per provare a risolverlo sia il Real Madrid che il Barcellona.
Anche il Bayern (Bayern Munchen AG), cambiando scenario geografico e seppure con diversità sostanziali rispetto alle società di calcio iberiche, conta su un diffuso azionariato popolare (oltre 160.000 soci) il tutto però coniugato con una indiscutibile solidità societaria che viene assicurata dalla presenza azionaria di tre veri e propri colossi: Adidas, Audi e Allianz che detengono, ciascuna di loro, una quota pari a circa l’8% dell’intero capitale della società bavarese.

Le tre potenze calcistiche hanno però iniziato ad intravvedere un lento ma continuo e progressivo declino (solo come potenza economica) con l’apparire all’orizzonte del sistema calcio mondiale di due fenomeni, completamente slegati tra loro, ma praticamente quasi contemporanei gli uni agli altri: la discesa in campo di arabi e americani (per contrastare i quali abbiamo assistito alla nascita ed al successivo aborto della Super Lega).

Mamma… li arabi
Limitandoci a citare solo i casi più eclatanti e mediaticamente rilevanti, nel giro di poco più di un decennio, Arabia Saudita (Newcastle), Qatar (Paris Saint Germain) e Emirati Arabi (Manchester City) hanno letteralmente invaso e stravolto il panorama calcistico mondiale immettendo nel sistema a getto continuo, veri e propri fiumi di denaro e sovvertendo, un po’ alla volta, i delicati e consolidati preesistenti equilibri e facendo diventare le succitate squadre, e in periodo di tempo da considerare relativamente  breve, delle vere e proprie “macchine da guerra”.

Senza voler andare ad indagare in profondità e senza minimamente nominare e soffermarci su motivazioni razziali (Sciiti e Sunniti) e religiose, e sugli obiettivi sia visibili che reconditi, che sono stati all’origine dell’intervento arabo nel calcio dell’occidente, potremmo dire che per noi italiani, ed ancor di più per il mondo Milan, si è trattato di un film già visto (e faccio proprio preciso riferimento all’acquisto del Milan da parte di Silvio Berlusconi, da considerare l’antesignano italiano di questa innovativa filosofia imprenditoriale). E’ infatti molto verosimile che anche per il ricco mondo arabo, il calcio sia stato identificato come il più idoneo veicolo a disposizione per raggiungere quella notorietà universale che è indispensabile per poter instaurare rapporti politico-economici in grado di modificare, in misura sensibile, gli equilibri mondiali e ritagliarsi, all’interno di essi, inimmaginabili posizioni di forza e di sostanziale comando. 
Riassumendo: in un’epoca in cui non apparire significa, in buona sostanza, non esistere, la visibilità assicurata dalle più importanti e prestigiose squadre di calcio del mondo, garantisce un’influenza livello globale impareggiabile. Ma non solo: lo sport diventa anche una leva per creare ulteriori, infinite, nuove opportunità di business.

Avviciniamoci adesso a quello che ci riguarda più da vicino

Yankee go home
Prima però di metter  mano a questa ennesima rivoluzione socio-culturale, di questa “conquista del nuovo mondo all’incontrario” che l’invasione dei fondi rappresenta, dobbiamo però assolutamente prendere le distanze da una caterva di inutili e confondenti orpelli mentali con cui gli imprenditori, nel caso in specie essenzialmente statunitensi, cercano di creare quella cortina fumogena fatta di MoneyBall, che possiamo correttamente tradurre in “palla (pallone ?) di danaro”,  di fascinosi algoritmi, di Big-Data e di AI e che quindi, solo seguendo il racconto apposta propinatoci, ci permetterà finalmente di raggiungere la conquista del “sacro graal” del calcio mondiale.
E’ assolutamente  pacifico che l’apporto che già da molti anni danno i succitati supporti tecnologici forniscono alla gestione delle società calcistiche è un contributo essenziale ed irrinunciabile, per efficacia, efficienza e risultati positivi e opportunamente sono stati implementati per ottimizzare la gestione dei club. Ma tali sono e resteranno… dei semplici supporti lavoratvi.
Tornando perciò alle cortine fumogene, ma ribaltando la prospettiva ed affrontando la cruda realtà, invece ci accorgiamo che questa tecnologica favolistica narrazione è stata creata dalle varie proprietà unicamente con lo scopo di schermare, come si conviene, il loro unico e solo interesse: fare soldi, tanti soldi.  
E’ solo di questo, in estrema sintesi, la “cosa”  di cui stiamo parlando; ed è uno scopo, questo, da considerare assolutamente legittimo e, in taluni casi, persino condivisibile.
Ma allora perché dissimulare?  Come è infatti “assolutamente legittimo” per un imprenditore perseguire il proprio obiettivo, allo stesso modo diventa legittimo che i tifosi della squadra, di cui sei diventato proprietario, possano vedere il tuo vero volto e capire lo scopo per cui ti sei preso la briga di attraversare l’oceano e venire ad investire nel Bel Pese; assumitene la responsabilità e dicci con chiarezza chi sei e cosa vuoi, o  temi di essere individuato per quello che sei  veramente (solo e soltanto uno speculatore!)?. Un ultima raccomandazione: già che ci sei, quando guardi la nostra galleria di trofei, levati dal volto quell’espressione da “soggetto affetto da sindrome di Stendhal” che assumi perché, magari, ti hanno comunicato che lo scrittore francese ha scritto “Il Rosso e il Nero”… non incanti nessuno!

Comunque quest’esodo verso il vecchio continente avviene perché ancora oggi, in soldoni veri e concreti ed a livello mondiale, il calcio è lo sport più redditizio. Con un fatturato globale di 47 miliardi di dollari, rappresenta il 28% del giro d’affari generato dallo sport nel mondo. L’Europa è il palcoscenico più ricco a livello internazionale. E restringendo l’ambito di analisi Il calcio rimane senza dubbio lo sport più seguito e praticato. Anche in Italia: è il preferito del 31% degli italiani, al di sopra della media europea che è del 27% (FICG, 2021). Ha generato 78,8 miliardi di euro di ricavi, una cifra equivalente al 3% del Pil italiano (Osservatorio sullo Sport System, 2022). E dati alla mano, investire nel calcio conviene: il valore complessivo del calcio per la FIGC è di 4,53 miliardi di euro (stagione 2020-2021), e per quella stagione l’Italia ha ottenuto un ritorno pari a 18,3 euro – in termini fiscali e previdenziali – per ogni euro “investito” dal governo italiano nel calcio. Dobbiamo a questo punto fare un essenziale distinguo. Se nel marketing la chiave del successo è fidelizzare i clienti, nell’attuale panorama sportivo il segreto è ‘tokenizzare’ i fan, indurli ad acquistare i fan token in modo tale da avere diritto a partecipare attivamente alla vita del club” .Sta dunque qui Il motivo della collaborazione tra i club e le compagnie: Da una parte i club hanno una forte necessità di liquidità e di risorse economiche/finanziarie, dall’altra le società del settore crypto devono trovare un modo per farsi conoscere e il mondo dello sport, in particolare il calcio, è una vetrina che garantisce spazio e visibilità su scala planetaria . Il Manchester United per esempio, sta per aprire un proprio store nel metaverso in cui poter commercializzare l’abbigliamento ufficiale, rigorosamente virtuale e accessibile con cryptovalute. Il Porto costruirà un proprio stadio virtuale aggiungendo anche squadre collezionabili e giocatori in formato NFT (Non Fungible Token-certificato digitale che identifica la proprietà, appunto, di un prodotto digitale). All’interno di questi spazi nel metaverso, sarà possibile vivere vere e proprie esperienze, non saremo più semplici spettatori ma si potrà interagire con le star del mondo dello sport.  Sarà quindi il metaverso il luogo in cui le aziende si troveranno a dover costruire il proprio vantaggio competitivo cercando di attrarre i propri clienti e soprattutto per offrire esperienze uniche e vendere i propri prodotti, esperienze che vanno oltre il calcio. Per concludere…consideriamo che la società più importante di abbigliamento sportivo a livello mondiale, la Nike, ha creato “NIkeland” un parco giochi virtuale usato per attrarre nuovi clienti e testare prodotti innovativi prima di lanciarli sul mercato.

Insomma gli orizzonti futuri  e le non peregrine prospettive di enormi guadagni (gettoni virtuali che alla fine del viaggio diventano però soldi più che concreti) hanno convinto “a partecipare alla spartizione” una sostanziosa fetta  di investitori mondiali che vedono  aprirsi davanti ai loro occhi prospettive più che favorevoli e che spazzano via la perplessità, se valga la pena o meno, di investire nel globalizzato pianeta calcio.

Giunti a questo punto, per completare il quadro e avvicinarci a quanto più ci riguarda nell’immediato, e cioè il futuro del nostro Milan, non ci resta che fare le ultime considerazioni.
La prima: a differenza delle proprietà arabe che hanno ancora oggi l’urgenza, nel modo più velocemente possibile, di ingigantire la loro riconoscibilità globale  e sono giocoforza costrette ad impegnare, volenti o nolenti, montagne di danaro (traduciamo in “campagne acquisti faraoniche”), gli Yankee ed i fondi che loro rappresentano non hanno la stessa esigenza e quindi possono, in tutta tranquillità, seguire i dogmi impartiti loro dall’Oracolo di Omaha, mr Warren Buffett; e perciò tendono (e possono) a comprare a poco, vendere a tanto e soprattutto aspettare pazientemente che i loro titoli crescano. In buona sostanza al fondo americano che investe nel calcio poco importa se la società acquisita abbia alle sue spalle una grande storia. Gliene importa giusto nulla e men che meno gli interessa che arrivino i successi, anzi, paradossalmente, le vittorie sarebbero da lui viste come un incidente di percorso da evitare accuratamente perché potrebbe creargli difficoltà a gestire le prevedibili richieste dei tifosi di “alzamento del livello” (spese rafforzamento) che però non sono contemplate nei  business-plan delle proprietà.
E dunque, in base a quale sogno tinto di rossonero, dovremmo/potremmo aspettarci un differente percorso dai vari Paul Singer/Gordon Singer/Jerry Cardinale/chi verrà in seguito… (sempre beninteso nella continuità americana)? Del resto, per sincerarvene, basterà rileggere con attenzione, le dichiarazioni ufficiali di Jerry Cardinale, sugli obiettivi di vittoria nazionali ed europei che invece qualunque “tifoso”, ad ogni latitudine ed a qualunque squadra supporti, auspica. Sono solo considerate eventualità ben accette ma non previste al primo punto del loro personale O.d.G.
Ne discende per default che noi poveri milanisti dobbiamo aspettarci verosimilmente un continuum di campagne acquisti tutte uguali a se stesse: giocatori semi-sconosciuti o quasi, comprati al prezzo il più basso spuntabile, che però (l’algoritmo a questo serve!) possano avere una curva di crescita economicamente stra-favorevole per il bilancio del fondo stesso.

Ho scritto, proprio all’inizio, di quanto fosse importante tenere costantemente ben presenti due, solo due, sostantivi: tifosi e supporter (semplicemente la traduzione anglosassone del termine italiano).
Ecco, la partita si gioca tutta lì: da un lato resistono e si (s)battono i tifosi/supporter a difesa dei loro idoli e della loro maglia e della storia; dall’altro lato avanzano i “fan” (alimentatori?) che hanno poco in comune con i romantici storici tifosi facilmente riconoscibili, ma a loro, ai fan, è stato narrato che diventeranno attori e proprietari dell’entertainement sportivo.
Qualcuno sta già provando ad attualizzare tale sostituzione di seguaci e mentre “opera” è incurante di lasciare sul suo percorso eventuali e previste vittime collaterali.  
Cosa alla fine succederà e chi uscirà rafforzato dal serrato confronto non ci è dato sapere e neppure prevederlo con accettabile approssimazione è possibile ma, tranquilli… panta rei, panta rei.