Le orde barbariche
…l’Impero Romano, d’Oriente e d’Occidente, aveva retto fin che aveva potuto ma nemmeno i riti sacrificali di José e Maurizio, arsi vivi a Piazza Navona come Giordano Bruno, avevano fermato l’avanzata dei Barbari: arrivavano invasori da ogni dove seguendo le rotte dei punti cardinali e con loro portavano morte e distruzione!
Ed allora, le residue genti della penisola, solo la parte più intraprendente ed operosa, furono costrette a spostarsi e partirono alla conquista della terra promessa.
Dopo un lungo e periglioso viaggio riuscirono a raggiungere i primi porti sicuri; fermarono i loro Drakkar (degli immensi SUV neri dalla vela quadrata) regolarmente in seconda fila e sulle strisce pedonali e salirono svelti sulla cima più alta a loro disposizione per poter avere una veduta d’insieme; i loro sguardi aguzzati videro la Scala dei Turchi e la Riserva dello Zingaro, La Costa Viola e Le Torri Salentine con la sabbia fine e bianca, il Duomo di Amalfi ed il Fiordo di Furore e… decisero che “quella” non sarebbe mai stata la “loro” terra. E ripartirono. Trovarono dei canali navigabili e risalirono il corso dei fiumi per giorni e giorni ma infine, stremati ma felici, poterono scendere dalle loro imbarcazioni: la terra che sognavano era lì, materna, ad attenderli con la sua nebbia umida che penetrava nelle ossa, con le sue paludi pronte a diventare risaie, col cielo di un grigio rassicurante perché, si sa, il grigio va bene con tutto! La Lombardia era finalmente “lì”, davanti ai loro occhi e loro, i profughi immigrati, si sentivano di nuovo un popolo…

I Lombard!
E per sancire l’inizio della “nuova era” i due futuri imperatori Massimo II° e Silvio Unico (ma di Lui vi diremo nell’ultima puntata) riunirono tutte le tribù e le loro parole echeggiarono stentoree nelle valli per secoli e secoli 
Lombardesi, fratelli, popol mio! Vi sovvien… 
E così anche il calcio (secondo loro, ovviamente) divenne assoluto dominio lumbard 

I primi timidi approcci…
La Cre-Mon-Z-ese
Il primo esperimento di business calcistico o, meno prosaicamente e più romanticamente, la “diffusione dello svago delle partite di calcio per coniugare la fatica del lavoro con il divertimento”, fu praticato e fu indirizzato dagli operosi “Lumbard” su società calcistiche medio-piccole di cui nessuno si era sino allora interessato (né lo farà in seguito): la Cremonese e il Monza!
I manager del fondo, guidati da un’idea assolutamente geniale, misero velocemente in pratica la loro mission e crearono la “macchina perfetta”. Progettarono lo scambio continuo delle risorse delle due società creando “Sì” un minimo di confusione autostradale (a causa del continuo andirivieni di Tir) ma i risultati furono da subito stupefacenti ed estremamente redditizi. A seconda di dove si giocasse la partita casalinga “lì” venivano spostati i capitali; si giocava a Cremona? Soluzione più che facile… il sabato sera s’impacchettavano “Autodromo” e “Villa Reale” e durante la notte li si rimontava il tutto nella “Bassa” davanti allo Zini; a calendario invertito lo sforzo era ancora minore: bastava spostare “solo” il museo Tussauds delle vecchie glorie grigiorosse, da Cabrini a Vialli, da Attilio Lombardo ad Enrico chiesa ed allestire all’esterno del Brianteo una lunga tavolata con Marubini, Bollito con mostarda e torrone e… il gioco era fatto! 
Anche il management era unico (sempre per ridurre i costi e massimizzare i guadagni); l’Amministratore Delegato (unico, ça va sans dire…) in tribuna a Monza indossava “cravatta gialla e pelata d’ordinanza”, se invece sedeva sulle poltroncine dello Zini mostrava un aplomb anglosassone con capelli pettinati impeccabilmente, cappotto di cashmere e sorrisi di giubilo appena accennati…trasformazioni degne del miglior Arturo Brachetti.
Avrà successo calcistico imprenditoriale questa idea “lumbard” assolutamente innovativa? Gl’interessamenti entusiastici di Al Khelaifi ed Al Mubarak a questo “nuovo che avanza” farebbero pensare di sì ma, come sempre, ai posteri l’ardua sentenza!

Lo step ulteriore (col favore degli Dei)…
L’Atalanta (o anche La Talanta) 
Molto tempo fa non esistevano notizie precise sulla collocazione geografica di questa gloriosa squadra di calcio; era infatti linguaggio di uso comune a presidenti e giocatori di football, universalmente noti per la profonda cultura e il vocabolario forbito, specificare che…”la prossima partita fuori casa andiamo ad Atalanta” (e non avendo la benché minima idea di dove fosse e quindi come e “per dove” fare i biglietti…), sarà difficilissima!
Per fortuna i tempi sono cambiati, sono infatti diventati di uso quotidiano internet e Wikipediama, soprattutto è comparso… il Sassuolo (è in Emilia, d’accordo, ma dove?) che ha preso l’onere, in tutto e per tutto, di sostituire e accollarsi i “problemi geografici” a suo tempo sollevati dalla Dea.
Perché La Talanta viene “affettuosamente” chiamata Dea? È una lunga storia… che riassumiamo brevemente.
Una sera, in una trattoria di Berghem de Hura (Bergamo Alta), s’incontrarono casualmente il presidente della locale squadra di calcio, Antonio Per Caso, e il sindaco della bella città lombardo-veneta-austro-ungarica, Dottor Gori, Dottor Giorgio Gori (marito di Cristina Parodi, cognato di Benedetta Parodi e Fabio Caressa che al mercato mio padre comprò…). Entrambi, snob sin dalla nascita, decisero di “modificare” le troppo plebee origini della società calcistica in qualcosa di maggiormente affascinante. I due furboni cancellarono abilmente dagli archivi le sincere radici di “dopolavoro per instancabili muratori, provetti operai e vecchi rimbambiti bergamaschi” (tanto per capirsi un Codér; uno di zucca vuota, come il corno in cui riporre la pietra cote da cui prende il nome. Siccome il corno è di bue, si aprono altri interessanti scenari) e…, pouf, le sostituirono con la leggenda di una tizia, appunto Atalanta, bravissima con l’arco e più veloce di Marcell Jacobs. Questa grandissima “vergine” cacciatrice (ma dico io, cara la mia ragassa,… hai ai tuoi piedi un aitante giovane come Melanione, il giardino delle Esperidi a disposizione e  ancora non abbiamo risolto “il problema”?), ma umana, eroina della mitologia greca (si dice prendesse l’amaro di erbe alpine orobiche alle cinque del pomeriggio con le sue amiche A(s)Tena e Afro Dite), si divertiva perciò a sfidare tutti quelli che mettessero in dubbio le sue doti di insuperabile centometrista mettendo sé stessa come premio per il vincitore ma postillando che, se questi per disgrazia avesse perso, avrebbe pagato con la vita tanta temerarietà!
Figuratevi se di cotanta fake-new non s’innamorassero, ipso facto, gli eredi legittimi del celebre Tonio, di manzoniana memoria, notoriamente indicato come fulgido esempio di acutezza mentale. A tal proposito, bisogna sottolineare che i Tàmbor (duro di comprendonio, ha il quoziente intellettivo di un tamburo) nerazzurri hanno conservato, pressoché integro il DNA del famoso avo. In effetti, l’attuale tifoso bergamasco (detto anche “e pota so turnat a la me cà, pota scec) è proprio un angioletto; è invero scientificamente provato che gli ultras di questa popolazione preromana, insomma gli orobici, sono individui assolutamente pacifici che non farebbero mai e poi mai del male neppure a una mosca e sono per questa ragione amatissimi ovunque. Gli ultras atalantini sono gemellati con quelli della Ternana e poi… e poi… vabbè, lasciamo perdere.
Le rivalità feroci invece sono veramente pochissime. Hanno in odio solo… bresciani, veronesi, romanisti, genoani, interisti, milanisti, juventini, fiorentini, laziali, udinesi, sampdoriani, la marmotta che fa la cioccolata, i tifosi del Napule e poi i…bresciani, bresciani, bresciani, bresciani, bresciani, bresciani, bresciani (periodico…).

P.S. La rivalità coi tifosi vesuviani non ha radici calcistiche ma storiche; si sussurra infatti che il famoso condottiero bergamasco, Bartolomeo Colleoni, che si vantava di avere più cog*** del minimo sindacale, venisse convocato dalla regina Giovanna II° di Napoli, anch’essa nota per le sue efferatezze sessuali, la quale, alla vista del “gingillo” (troppo grande? Troppo ridotto?) del prode cavaliere, avesse iniziato a ridere in maniera irrefrenabile! I discendenti, questo affronto, se lo sono legato al dito… Apriti cielo!
Dopo esserselo legato al dito (sicuro Frankie che fosse l’affronto?, secondo le notizie che mi giungono in diretta da Berghem de Hota, sembra che al pollice ci fosse arzigogolato un affare pendente…) le parolacce sono volate come se non ci fosse un domani.
Per un bergamasco, del resto, l’insulto non è un’offesa, è una constatazione così come contempla lo scorrere dei giorni e il ciclo della natura. Li sottolinea con parole che sono attrezzi da lavoro quotidiani, utilizzati per educare senza ferire. Perché il bergamasco è, per indole, edificante.
Se pensiamo che l’appellativo “Principesa dal cül de pessa” veniva attribuito a donne che lavoravano meno di 14 ore al giorno, oppure trasportavano carichi inferiore al quintale, è tutto dire… Praticamente, senza ricamarci troppo sopra, delle femminucce, insomma.

Il salto di qualità: dall’Olimpo all’Empireo​
FC Internazionale
(amala, coccolalala, strapazzalalala, sbrindellalalala… Aooo!!! Piano che si fa male)

era una notte “buia e tempestosa” ed il Creatore aveva già creato… il CREATO; stava ammirando soddisfatto quanto, in così breve tempo, era stato capace di realizzare con tanta perfezione, quando si dovette improvvisamente girare da un lato richiamato dai lamenti di uno dei suoi figli reietti, il tifoso del Milan.
Che hai? Perché stai lagnandoti? Volle sapere il Supremo. Ti ho dato tutto quello che potevi desiderare, persino una squadra di calcio per cui tifare. E’ che mi fa male un lato del torace, rispose l’ultrà rossonero. Il Padre di tutti noi dette un rapido sguardo a “Viulenza” e disse: “Chiudi gli occhi un istante che adesso ci penso Io… però poi non ti lamentare!”. E ops, con un tocco leggero, sfilò una costola al Milan.

E NACQUE L’INTER (ma LEI non lo sapeva ancora)
L’Internazionale, all’inizio della sua gloriosa storia, fu costretta a riprodursi per partenogenesi ma, incredibile a dirsi, procreò solo figli maschi, grosso modo una cucciolata di una quarantina di esemplari. Questi diffusori del “Futuro Verbo” avevano tutti, nessuno escluso, una dote comune: erano INTELLIGENTISSIMI!
Una volta divenuti adulti, i geniali discendenti della costola milanista, furono costretti a rendersi conto però che la vita non era poi tutta “rose e fiori”, anzi per loro, fior fiore dell’Intellighenzia meneghina, il viver quotidiano diventò complicato assai; poteva mai un genio relazionarsi con un umano medio? Nonostante la loro indiscussa magnanima benevolenza, infatti, qualsiasi tentativo di porsi sullo stesso piano degli altri risultò inutile, solo una serie di vani ed infruttuosi tentativi: troppo superiori!
E quindi, in un’altra notte buia e tempestosa, precisamente il 9 marzo del 1908, i (più o meno) 44 gatti si riunirono, in fila per 6 col resto di 2, ovviamente nel più esclusivo locale della movida meneghina, l’OROLOGIO, per dar vita a qualcosa di assolutamente innovativo, una novità assoluta: diedero vita alla PRIMA (!!!)  squadra di calcio italiana e la chiamarono… INTERNAZIONALE.
Ma come, obietterete voi, ne avevano fatte già almeno altre 100 prima dell’Inter; ed io pronto vi rispondo: adesso, ci vogliamo attaccare a queste sottigliezze? E non venitemi a dire che, anche allora, sti interisti avessero la puzza sotto al naso. Il loro incedere potrebbe, se visto in modo superficiale, essere scambiato per arroganza… ma è solo dovuto alla nebbia che non permette di vedere bene e quindi, il fare altezzoso e schizzinoso nonché somigliare ad un cane da tartufo che annusa l’aria prima di concedersi al pubblico che lo attende adorante “non è” assolutamente insopportabile spocchia e supponenza (un caso che “bauscia” voglia dire anche questo), è solo apparenza, credetemi.
L’interista è proprio… LA QUINTESSENZA DELL’UMILTA’!!!
Elessero anche il loro 1° presidente, Giovanni Paramithiotti, perché fosse palese da subito la loro vocazione multietnica e scelsero i loro colori: il nero e l’azzurro, che rappresentavano nell’immaginario collettivo dell’epoca, la notte ed il cielo ed il tutto sullo sfondo dorato delle stelle. Okkei, d’accordo, dovrebbe essere il contrario (le stelle sullo sfondo del cielo) ma…so’ interisti, ci vuole pazienza, sono fatti così! Li vogliamo buttare? La cosa ci “spiaze” ma va a finire che, se non gli diamo ragione, si mettono a piangere!
Fu però nella composizione del cda che espressero la summa di quello che sarebbe diventato il loro carattere distintivo. Ne fecero subito parte: Charlie Scottarelli (per gli amici Nibor Dooh o l’arciere di Sherwood all’inverso: prenderemo ai poveri per dare ai ricchi!), Henry de  Mentanà (un famoso maratoneta), Bepi Sebergnin (esperto “nullologo”) ed un avvocato originario delle Highland vesuviane…Peppino Mc Prisc. Oltre ad eleggere il CDA, gli associati provvidero anche a nominare “Il Presidente Simbolo” ed il “Portavoce Ufficiale del popolo interista”; la scelta cadde su Maxime Mogatti (ma per gli amici anche “la marmotta del cioccolato e/o il Castoro Gufatore”) e su un siciliano trapiantato a Milano, “Chewbecca Larossa” che divenne subito famoso per il suo gracchiare inconfondibile ed incomprensibile. Datisi un’organizzazione, il cda avvertì l’esigenza di affidare i propri contatti social all’influencer più cool che ci fosse in giro: “chiamiamo la Lamborghini”, disse Charlie, è milanista (cretino) gli rispose Mc Prisc; allora La Ferragnez, propose Bepi; no, ci vuole più esotica e dura, obiettò Mc Prisc che però si volle sottrarre a dare ulteriori consigli e, alla fine, fu de Mentanà a decidere per tutti.
Non ha nessuna importanza che sia morto, noi ci rifaremo alla filosofia di Nies… di Niez… di Niet… di Nicce (tagliando la testa al toro); noi siamo, per volontà divina, i supertifosi e lui ha teorizzato il “Superuomo” e quindi, vi domando, chi meglio di Lui può essere la nostra guida? Tutti i presenti, entusiasti, balzarono in piedi e urlando: “Chi non salta rossonero è”, adottarono il loro futuro vate: Fried Nicce!... e fu il diluvio… la tempesta perfetta!

Il manifesto interista fu introdotto, per chiarire ai posteri in maniera esaustiva chi fosse la “neonata”, da un interista della prima ora che però amava indossare civettuolo la divisa rossoblù del Genoa (ma solo per non essere riconosciuto…), tal Giuanbrerafucarlo che sentenziò: “L’Inter è squadra femmina, quindi passionale, volubile e pertanto agli antipodi del pragmatismo…”.
Quelle parole provocarono un briciolo di risentimento alla Hack, alla Levi Montalcini e a un piccolo gruppo di femministe infuriate... ma ormai il solco era tracciato. E nel corso degli anni, dal 1908 in poi, le dichiarazioni degli interisti DOC si sono succedute senza soluzione di continuità, anzi rimarcando e sottolineando i caratteri distintivi dei tifosi nerazzurri; ne abbiamo raccolto tantissime ma ve ne riporteremo, didascalicamente, solo alcune, le più significative che non commenteremo per non levarvi lo sfizio:
 …la genia
“E fui dell’Internazionale, della squadra, cioè, di “sciori”, come veniva chiamata allora per distinguerla dal Milan: Al Milan infatti andavano le simpatie degli operai, dei brumisti e dei ferrovieri. Il seguito dell’Internazionale invece era composto di studenti, impiegati. Era la squadra snob, insomma. (Ermanno Aebi)”
...e, nel caso ci fossero dubbi residui…
“Quando stringo la mano ad un milanista me la lavo, quando la stringo ad uno della Juventus guardo se ho ancora tutte le dita"(Peppino Mc Prisc).
…cui fa pendant…
“E’ dallo stile e dall’eleganza che si riconoscono gli interisti. Noi interisti siamo artisti pazzi… ma il nostro cuore è una spugna immersa nel coraggio" (Luigi Garlando).
…della “magnificenza”…
“Se mi sento un po’ Babbo Natale per tutti gli acquisti e i miliardi spesi per l’Inter? No, lui avrebbe speso sicuramente di meno (la marmotta del cioccolato/dove gufano i castori)”.
…e per concludere (ovvero: dell’ermetismo e dell’intellighenzia)
“L’Inter è una forma di allenamento alla vita. E’ un esercizio di gestione dell’ansia, e un corso di dolcissima malinconia.
E’ un preliminare lungo anni. E’ modo di ricordare che a un bel primo tempo può seguire un brutto secondo tempo. Ma ci sarà comunque un secondo tempo, e poi un’altra partita, e dopo l’ultima partita un nuovo campionato (Bepi Sebergnin)”.

Si può mai competere con una minima speranza di successo con così tanta e superiore intelligenza?
Risposta taciuta e scontata…l’interista ha un QI di altezza Himaliana, è geniale da sempre e la scelta del primo campo di gioco (prima dell’Arena Goldoni) ne è esempio fulgido e plastico: uno spazio vicino ai navigli le cui acque accoglievano maternamente le palle lunghe, ma fuori misura, per le ripartenze veloci (hihihi, non vi dico dei pianti disperati di Scottarelli, che fungeva da tesoriere e che si vedeva “costretto” a comprare altri palloni ); memori di tanta genialità e nel rispetto delle tradizioni, pare che il progetto del prossimo stadio interista sarà affidato ad un Archistar di provata ed indiscussa fede nerazzurra: Cioccolatino Boeri.
Il famoso professionista ha immaginato qualcosa di assolutamente innovativo ed originale che però occhieggia e richiama le sale biliardo di 50 anni fa ma soprattutto i coloratissimi Flipper, estremizzando però l’inclinazione, e senza dimenticare il classico “gioco all’italiana” tanto caro agli interisti sin dai tempi di Helenio Herrera; il progetto è ancora logicamente “top secret”, ma Boeri ha però già deciso di rendere pubblico il nome della sua futura e più amata creatura: Lo Stadio Verticale!!!
Qualche obiezione assolutamente ingiustificabile sulla possibilità di sviluppare un minimo di gioco è stata sollevata, ma le fonti nerazzurre ci rassicurano sulla sicura fattibilità progettuale; possiamo dubitarne? Mai e poi mai!
Sono interisti… sono superiori nel DNA (su facciamoglielo credere altrimenti si… DispiaZZono).

Ma il resto dei tifosi italiani sarà d’accordo con questa presunta superiorità?
Noi vi diremmo di dare un’occhiata al video…


Frankie Nuresse