Parlar bene della squadra del cuore e dei suoi tifosi è semplice. Diventa un pochino più complicato quando iniziamo a criticare.
Da un'idea strampalata è nato questo "concerto a quattro mani" nel quale i due autori pazzerelli si sono impegnati a trovare il lato più buffo e divertente del nostro calcio. E sperano d'esserci riusciti almeno un poco...
Frankie Nuresse



INCIPIT (tutto è cominciato, più o meno, così...) 
No, mi spiace, ma non abbiamo disponibilità di stanze singole; il Prof Freud mi ha incaricato di dirle che ne è rimasta una sola, doppia, e con un altro paziente che l’ha già occupata per il 50%. Allora? Se le sta bene la soluzione l’accompagno immantinente! Ok, signora va bene, e poi come potrei dir di no ad una bonazza come lei?
Dopo 30 secondi ci ritroviamo, noi due poveri scellerati bisognosi di un supporto psichiatrico del tipo… “per te ci vuole uno buono davvero”, stesi su due scomodissime barelle ad ascoltare un certo Sigmund “Freddo? Froddo? Fruddo?” che ci vuole convincere che la fonte di tutti i nostri guai è racchiusa nell’amore che ci lega “da sempre” alle nostre mamme!
Ma vai a sparare cazzate da qualche altra parte, diciamo all’unisono, noi due poveri pischelli rivolti al tizio che si liscia la barba mentre ci chiede “gentilmente” una parcella a 6 zeri. Noi abbiamo bisogno d’altro è vero companero? Sì, certo, siamo d’accordo, è vero?
Ci diciamo mentre ci consoliamo piangenti l’uno nelle braccia dell’altro; sento proprio l’incontenibile esigenza di parlar bene del mondo “lì fuori” popolato da persone affabili e altruiste, colte e intelligenti, generose e gentili.
Che ne pensi se riscriviamo la “Commedia” ed eliminiamo per sempre gli inutili “Inferno, Purgatorio e le anime che lo popolano?” Sì, mi piace l’idea ma non pensi che sia troppo impegnativa? E se limitassimo la nostra futura opera al “BUONO” per eccellenza? Bellissima idea, mi hai convinto, da parte mia sottoscrivo senza frapporre ostacoli! Ma a chi avresti pensato? Ma che domanda ingenua mi fai… ma ovviamente a lui, al cerebroleso per antonomasia, a colui che è diverso ma simile sotto ogni latitudine, al brutto ma buono, all’incolto per definizione (nonostante magari abbia conseguito 6 lauree) al… TIFOSO!
Okkei, mi sta bene e quindi cercheremo ora, scientificamente e con poche immaginifiche parole, di descrivere i tratti salienti di questo “essere particolare” del quale Darwin per primo ci dice essere l’anello mancante della catena evolutiva.

Il tifoso nasce da un rapporto non protetto fra un babbuino e una vip della trasmissione di cui tutti ambiscono essere ospiti; vive in stato letargico-semicomatoso per 6 giorni su 7, e il settimo, mosso da un richiamo primordiale, si raduna in loculi dalla grandezza predefinita, 105x68, e, insieme ad altri cerebrolesi come lui, riesce a esprimere “il peggio di sé”!
In questo periodo relativamente breve, infatti, il tifoso dà sfogo ai propri istinti bestiali rendendosi perfettamente conto che i convenuti radunati nel loculo, comunemente chiamato stadio, sono in quel momento in perfetta simbiosi con lui, tutti “fratelli di scelleratezze”. Il (lo?) tifoso/a è del tutto innocuo se preso a piccole dosi ed estrapolato dalla massa, ma se riesce a far branco…
C’è un’ultima caratteristica che rende i tifosi incredibilmente uguali gli uni agli altri: l’erba del vicino ha, sempre e comunque, qualcosa che a loro manca (pure se è di colore “ocra cacca neonato” e la puzza si sente da mille miglia chilometri di distanza) e quindi sono rosi dall’invidia. Il tifoso, per sentirsi compiuto, dev’essere… ROSICONE!
Perfetto, “ci” sta bene l’idea… ma a proposito non ci siamo ancora presentati…
Giusto, è vero… piacere Frankie… piacere Ginni (ndr rigorosamente in ordine alfabetico).
Ma non ci siamo già incontrati da qualche altra parte? Boh, può essere ma non importa… che dici, glielo diciamo che stiamo solo scherzando e, del resto, senza tifosi e senza sfottò (che abbiamo distribuito equanimamente e carognescamente a tutti) il nostro amato calcio non esisterebbe! Ma noooooo so intelligenti (!?!), vedrai che capiscono. Vabbè, se lo dici tu… però promettimi che saremo buoni con tutti! Uffa, mi sembra che stiamo ripetendo un dialogo di "One Day" però d!accordo, se la cosa ti fa star più sereno, te lo prometto solennemente: SAREMO BUONI.
Dai muoviamoci...da chi iniziamo? Noblesse oblige; direi dal Regno di Sardegna e da due NOBILI DECADUTE, dalle sue due capitali cui siamo molto affezionati... 

La capitale in continente
TORINO
Il Torino FC è quasi sicuramente una squadra di calcio (non ci sono fonti certe che tolgono, in merito e definitivamente, qualsiasi dubbio in proposito) che frequenta abitualmente i bassifondi della serie A tranne, forse, l’AD 2021/22 (AD significa “anno domini” e non amministratore delegato… gnurant!!!).
Tuttavia le mamme e le tate della città sabauda (terenzella memoria di cui non riusciamo a liberarci) sono solite raccontare ai pargoli di quelle zone favole e/o leggende metropolitane nelle quali si narra che ai tempi in cui il ceo dell’olimpo, tale Zeus, era solito dilettarsi a scagliare fulmini contro chiunque si trovasse nel suo raggio d’azione, esistesse, coeva, una squadra fortissima, talmente forte da affrontare, senza alcun timore, trasferte oceaniche per disputare le proprie gare interne. Le canzoni dei menestrelli di corte, arrivate sino ai nostri giorni, narrano infatti che questa leggendaria ed invincibile compagine, chiamata “forse” Grande Torino, giocasse le partite in una città di un altro continente e precisamente a Filadelfia!
Oggi però i giocatori del Torino sono facilmente riconoscibili avendo perso completamente questa aura di invincibilità e li vedi aggirarsi, il più delle volte, come anime in pena, sui campi di calcio.
Il tifoso granata, colore sociale del Torino, essendo rimasto avvinghiato al “bel tempo che fu” ha un’età compresa tra i 115 ed i 158 anni e viene reclutato fra i pensionati che sovraintendono ed assistono ai vari lavori di rifacimento del manto stradale delle principali vie cittadine.
Attualmente il presidente del Torino Calcio è un vigile “urbano” che di cognome fa Cairo a cui i tifosi del Toro sono particolarmente affezionati; infatti, al solo scopo di evitargli il dispiacere di vedere la propria macchina ammaccata dopo un eventuale incidente, si accollano l’ingrato compito di rigagliela preventivamente (se poteste vedere le espressioni di giubilo del presidente Cairo… felice come una pasqua!)
La società ha un’organizzazione leggermente accentrata dato che il “vigile urbano Cairo” è contemporaneamente Presidente, Direttore Sportivo, Amministratore Delegato, Capo Scout e… capo dei Drughi.
In tutto quello che viene svolto (alzarsi la mattina, leggere il giornale, fare colazione, andare al lavoro, fare una passeggiata al Valentino...), c’è sempre una acerrima rivalità con Lei (a Torino, così come a Firenze, la Ju..., la Juv..., la Tus..., si insomma Lei) e tutto ha un senso solo andando a “sbirciare” cosa avviene al di là di Piazza San Carlo.
Ai Gobbi boys, del resto, per smontare il simbolo del Torino, è bastato semplicemente risalire alla famiglia di origine del loro simbolo: è stato un processo breve ma non scontato, una mossa semplice e, nel loro piccolo, geniale. Con un colpo raffinato (che strano...), il possente Toro si è trasformato nel generico “Bovino”. Viene, nel suo immaginifico, rappresentato mansueto, al pascolo, senza mantelli rossi da prendere a cornate. Il toro è forte, il bovino è pigro.
I tifosi del Toro, abituati a condividere tutto in funzione dell’altra metà (non di Torino in quanto i bianconeri, in città, rappresentano lo 0,0222% periodico di tutta la popolazione) devono sopportare e quindi si ritengono, di diritto, dei “buoni granata” se:

  1. Preferiscono una sconfitta della Juventus a una vittoria del Toro. E’ possibile e dopo non si sta male, anzi.
  2. Di fronte a sventure anche grosse, comunque, quantunque e dovunque riescono sempre a vivere il dogma per cui “è sempre meglio tutto piuttosto che essere gobbo”.
  3. Riescono a non sognare la Champions League, tanto non ci andranno mai, e stanno bene lo stesso. Anzi, stanno meglio di altri che ci vanno tutti gli anni e non la sognano mai. E, soprattutto, non la vincono mai.
  4. Non avvertono il fascino del potere, dei soldi, dei successi. In assoluto, si capisce, anche perché il Toro allena bene i suoi tifosi a frequentare certe carenze, a praticare certi digiuni.
  5. Riescono a patire gli sgarbi arbitrali senza pensare a una congiura e, al tempo stesso, senza pensare al fato. Le giacchette, almeno una volta, erano nere di aspetto e bianche di animo.
  6. Non credono di essere intelligenti, forti, ricchi, biondi, magri, insomma padroni del mondo se la loro squadra di calcio vince tutto oppure solo il campionato.

Quest’anno, così come lo scorso, nemmeno, però, alla playstation...

...e l'altra capitale, pure lei, del continente
CAGLIARI

Il Cagliari calcio oggi è un’azienda a scopo di lucro che ha per presidente Tommaso Giulini che è l’avatar di Massimo Cellino (oppure è l’inverso? Vabbè tanto il risultato è identico), noto imprenditore che compra sconosciuti giocatori in paesi del terzo mondo pagandoli sempre con una fornitura per un mese di malloreddus per poi rivenderli, a peso d’oro, esclusivamente all’Inter. Il Cagliari è la piaga di ogni sardo del sud che lo deve tifare per forza. Invece ai sardi del nord è consentito di tifare per la Juventus.
I tifosi rossoblù, tradizionalisti sino all’inverosimile, giurano sin da neonati (è un mistero della scienza: non parlano ancora ma giurano!) fedeltà ai loro colori e sono tenuti a rispettare un disciplinare rigidissimo; per fare le loro bandiere devono usare esclusivamente un mantello appartenuto ad un Mamuthones o, in alternativa, ad un Issohadores. La setta del “casteddu” (città di Cagliari in lingua sarda), peraltro, è ovunque facilmente riconoscibile per alcune singolari peculiarità. Il tifoso rossoblù infatti, oltre ad essere un tantinello lugubre a causa della livrea di cui abbiamo appena parlato, e che è costretto ad indossare (mamuthones o issohadores, dipende se la gara si giochi in casa o fuori), è pure muto; i suoi cori infatti sono più che altro degli imprecisati e intraducibili accrocchi di suoni che somigliano in modo preoccupante ai gemiti di piacere di pecore e mufloni quando decidono di passare una sfrenata notte (ma pure mattina o pomeriggio) di sesso!
Il loro giocatore simbolo, in definitiva la vera e unica Bandiera degli isolani, è stato Luigi Riva (accezione a uso esclusivo per gli abitanti della penisola italica), il cui vero nome e cognome, di genia assolutamente barbaricina, è però Gavino Zedda Piras Atzori Delogu, conosciuto al mondo intero come Giggirriva o, con l’ancor più ridondante… Rombo di tuono!
Le gesta del biddaio, orgogliosamente rossoblù, nato solo per errore a Leggiuno, che non volle mai abbandonare la terra natia, solo perché amava contemporaneamente, Georgias Palmas de Maiorca, Elisabetta Kantakis e Melassa Sattailfosso (va bene che non ci aspettavamo delle supergnocche, ma neanche offendere la vista con queste tre inguardabili arpie acide e brutte come le cozze di Berchiddeddu… che ve lo diciamo a fare? Dalla Sardegna mai ‘na gioia!).
Le imprese del novello Pelide, dicevamo, furono cantate nell’antichità da tal Omero; l’eco giunse sino alle orecchie dei maggiorenti del calcio mondiale che essendo venuti a conoscenza dell’idiosincrasia dell’attaccante centrale sardo a entrare in contatto con le forme liquide, oltre che a ogni spostamento proposto, anche “by plane”, furono costretti a organizzare i Mondiali a Oristano e gli Europei a Tempio Pausania.
Grazie ai gol del suo centravanti e nonostante le autoreti di un certo Comunardo Niccolai (l’Italia tutta s’interroga ancora quale sia il nome e quale il cognome) i sardi conquistarono il loro (unico) scudetto nel 1970 e, a imperitura memoria, nominarono Giggirriva Santo Patrono del continente sardo.

UN'AMICIZIA, QUANDO E' VERA, DURA TUTTA LA VITA!!!


VERONA
Pare che esista un paesino sperduto ai limiti della pianura padana, quasi ai confini con l’Alto Adige-Sud Tirol nelle province Finschnaller, Glausdibiasi e LilliGruber, insomma fra la polenta e l’amarone, che si chiami Verona. Di questa città, forse risalente alla civiltà Austroungarica (seppur sinceramente democratica), non vi sono notizie certe. Tranne una! I tifosi del Napoli infatti, ci testimoniano che la loro squadra incontra (vabbè, si fa per dire) annualmente gli atleti del “FC Giuliè si ‘na Zoccola”… e, gli atleti di gialloblù vestiti, affermano che vengono proprio da Verona. Per il secondo teorema di Euclide, Verona, quindi, esiste per davvero ed è dimostrato.
Il Verona si contraddistingue per avere un nome non italiano (nova…), si chiama infatti Hellas Verona e il motivo si riconduce alla nascita del club. Sì, perchè questa squadra di calcio nacque in un periodo non bene identificato tra il 1903 e il 1904, tra i banchi di scuola del Liceo Scipione Maffei durante le lezioni di Greco di un certo professor Decio Corumbolo (vabbè, non prendiamoci in giro: cognome prettamente partenopeo…). Tale insegnante sposò infatti la causa dei suoi allievi che desideravano tanto giocare a pallone (nova…); riuscì a raccogliere 32 lire per costruire la Associazione Calcio Hellas, così chiamata proprio per onorare l’antica Hellade, per i veronesi che non lo sapessero, significa Grecia.
Il tifoso veronese (abbiamo accertato che esiste Verona quindi, seppure siano pochi e in via di estinzione perché tutti impastati nei ravioli da un illuminato imprenditore gracidante… esistono pure i tifosi di Giulietta), si può trovare esclusivamente fra Corso Mazzini, l’Arena e, ovviamente, sotto il balcone di Giulietta. Ha sempre felpa blu scuro recante, a seconda della gara interna, una delle seguenti scritte: “Goto & Violence”, “Lasime star”, “W.L.F.”, ma soprattutto… “Vesuvio bruciali tutti”. Ha spesso, ma non sempre, capelli rasati (perché al Bentegodi fa caldo e si suda), porta “anfibi” anche ad agosto (giammai l’Adige casomai esondasse, non si mai…) e a gennaio e di notte, occhiali da sole, ma solo se hanno spento tutte le luci per cui non si vede una mazza, (Ray Banner oscurati stile Tom Cruise).
Dotato di immensa capacità di sintesi (si sussurra che legga Orwell 124 volte l’anno) risulta impeccabile nel considerare le posizioni geografiche: ogni oggetto, animato o inanimato, al di sotto di Verona è considerato terrone; è riuscito a ridurre il mondo a solo tre aree mappali: “Le Mura”, ovverossia il loro feudo, “Il Nord” cioè quella terra in cui si celebra l’Oktober Fest e, tutto il resto, è Africaaaaaa!
Tutto quanto appena detto, testimonia di questi tifosi la grande apertura mentale, l’acuta intelligenza e l’assoluta tendenza all’integrazione soprattutto coi meridionali.
Per poter varcare il Bentegodi, autentica Aula Magna dell’Università scaligera, bisogna superare una specie di esame orale per vedere se il linguaggio rispecchia pienamente i tifosi gialloblù. Una sorta di “conditio sine qua non” (non provate a farglielo ripetere in quanto il loro vocabolario non riconosce, imprecazioni liturgiche escluse, più di una cinquantina di vocaboli) per poter valorizzare il supporter che sta varcando la soglia dello stadio.
Le basilari sono:

  1. Vado a bere un goto
  2. Sdiamo i migliori, butei
  3. Simmia!
  4. Odiamo tutti
  5. Soli contro tutti
  6. Soli con i rutti
  7. Magnagati
  8. Mussi teron

Una volta che la valutazione avrà raggiunto la lode, il pass per l’ingresso è assicurato. In questo caso, chi si loda non si imbroda.
Vacca de to mare.

...ma se il Verona è Giulietta, chi sarà il suo Romeo?

NAPOLI

La SSC Napoli, in lingua italiana “Napule”, fu fondata a Napoli (lo giuriamo solennemente). La data storica della nascita di questa gloriosa società ci riporta al 1926 ma è molto probabile che i napoletani avessero scoperto “O’ Pallone” almeno 200 anni prima. Risalgono infatti a quell’epoca (primi del settecento) le statuine del presepe raffiguranti “Diego” opera dei celeberrimi artigiani di San Gregorio Armeno. Altro dato sicuro è che la prima partita di calcio giocata a Napoli ebbe come attori gli atleti di due circoli nautici divisi da insuperabile rivalità: i rossoverdi del Circolo Nautico Posillipo e i giallorossi della Canottieri Napoli. La vulgata popolare racconta che Posillipini e i ragazzi della Canottieri, stufi sino alla noia di menarsi selvaggiamente coi remi da “mane a sera”, come imponeva loro la millenaria tradizione, decisero di sfidarsi al nuovo gioco proveniente dall’Inghilterra; l’arbitro della partita, tal De Laurentis.
Aurelio stabilì anche che premio assegnare ai vincitori nonché la “penale” che avrebbero dovuto pagare gli sconfitti. Quest’ultimi sarebbero stati “tuffati e dimenticati” nella famigerata botola della Regina Giovanna del Castel dell’Ovo; ai vincitori, ben più fortunati, l’arbitro avrebbe offerto una cena a “Borgo Marinari” a base di cozze rigorosamente “tifoidi”.
Doverosamente spiegata la nascita storica, sarà adesso facile per il lettore capire il perché si dica che i partenopei veraci sono dei veri e propri “malati di tifo”.
Il tifoso ultras napoletano peraltro è riconoscibile da tutti alla prima occhiata per alcuni caratteri unici e non comuni ad altre tifoserie; se arriva allo scontro fisico con altri esagitati come lui, ma seguaci di altro vessillo, si scaglierà contro l’avversario usando mazze chiodate, tirapugni, coltelli e altri armi d’offesa, ma assolutamente sempre cantando “Te voglio bene assale (te lo giuro!!!)” (perché lui, in fondo in fondo… ma molto in fondo… E’ UN ROMANTICONE).
I tifosi napoletani sono gemellati con quelli del Genoa che però, venuti a conoscenza della cosa, sono diventati tutti Sampdoriani. Altre amicizie solidissime e di vecchissima data dei tifosi del Ciuccio sono quelle coi tifosi del Verona e con gli iscritti dell’AFS Soreta (nobile e notissima società di svago e videogiochi).
Nonostante il “buoncuore” certificato, il tifoso del Napoli nutre purtroppo alcune rivalità mai sopite e rinvigorite, per così dire, nel corso degli anni; sono quelle con le squadre dopolavoristiche delle Ferrovie dello Stato (ma solo nelle stazioni e nei vagoni) e della Società Autostrade (e qui soltanto nelle aree di servizio). Dalla regia ci chiedono di puntualizzare che gli screzi con il “FC Giuliè si ‘na Zoccola” sono state appianate in maniera definitiva sino al prossimo Napoli-Verona.
...ma in realtà siamo certi che queste vecchie ruggini di cui si mormora siano solo leggende metropolitane messe in giro da malelingue e, comunque, tutte da verificare.
Prova inoltre compassione per i napoletani più sfigati o sfortunati che tifano Inter, Juve o Milan. La verità è che per essere juventini a Napoli bisogna essere ancora più che napoletani, perché il coraggio per resistere e controbattere agli insulti… “tieni chiu corna tu che nu panaro e maruzze” oppure senza mezzi termini “chella granda zompapereta e mammeta” necessita di una dose doppia di quella affilatissima sagacia tipica di chi vive dalle parti del Vesuvio.
Il Napoli (o anche o’ Napule, se siete dei puristi/integralisti dell’italiano), ha oramai da anni lo stesso sponsor: Acqua Sete, che magari farà pure benissimo, ma ci ha pure rotto le palle con quella specie di personaggino che non lascia in pace le femmine che fanno il bagno in piscina per cui… aridatece Calimero!
La Repubblica Napoletana fu un’entità statuale proclamata a Napoli nel 1799; famoso, in tal senso, il proclama che il saggio storico Vincenzo Cuoco urlò: “Il vostro Claudio è fuggito, Messalina trema... Era obbligato il popolo a saper la storia romana per conoscere la sua felicità?”.

Sembra che fu proprio da lì che partirono “le tavole” per il riconoscimento del tifoso azzurro.

  1. Oltre il cielo e il mare, non c’è altro azzurro al di fuori di te. Un colore, una passione. L’azzurro non è solo il colore del Napoli, ma soprattutto il colore di Napoli.
  2. Il tifoso azzurro è più che scaramantico e l’argomento Tricolore è assolutamente tabù. Guai a parlarne seriamente. La sfortuna è la nemica numero uno di ogni partenopeo.
  3. Non esiste altro Dio al di fuori di Maradona. Il grande Diego Armando è un’autentica istituzione: più dei Borbone, più degli Aragona. La “Mano de Dios” resta un’assoluta divinità.
  4. Il tifoso partenopeo urla al mondo la sua fede calcistica e la sostiene sempre, senza vergogna. Non importa quanto la gente sia sprezzante nei loro confronti; un popolo intero non si piega mai.

                                              ... anche se Giuliè si ‘na zoccola...
                  
   ...e, solo se siamo riusciti a farvi sorridere (!!!)...to be continued 

NEL VIDEO CHE SEGUE POTRETE GUSTARE UN'ESIBIZIONE DEL DOPPIO FRANKIE-NURESSE;
GINNI, PER L'OCCASIONE, INDOSSAVA UN COMPLETINO ROSSO PORPORA. 
L'ABBIAMO SCELTO PERCHE' CI E' SEMBRATO EMBLEMATICO SU COME, SECONDO NOI, LO SPORT DOVREBBE SEMPRE ESSERE VISTO E VISSUTO, COME APPUNTO CI INSEGNANO 
FLAVIA E FRANCESCA...
UN GIOCO
Frankie Nuresse