Oggi mi sono chiesto: si può essere “pentito” anche nel calcio? Ho fatto qualche ricerca ed ho scoperto che sì, si può essere pentiti anche nello sport del pallone. Un tempo pensavo: La mafia ha i pentiti, il calcio no. Beh devo dire che mi sbagliavo. Quando nell’ambito della criminalità organizzata essere pentito significa per l’appunto pentirsi delle proprie azioni e mettersi sotto la protezione statale, nel calcio vuol dire cambiare fede. Di punto in bianco uno si alza la mattina e dice: “mah, oggi voglio tifare Juve”. La mattina dopo invece ci ragiona un po’ su e decide di tifare Inter. Ecco, io da pentito posso dire che la mia scelta di cambio fede è stata alquanto ragionata al contrario di altri. Dagli otto anni circa, quando ho iniziato a capire cos’era il calcio ho iniziato a “tifare” Juve. Eh già, sono stato un rubentino anche io un tempo... senza offesa per i cari colleghi bianconeri è, sia ben inteso, sto solo scherzando un po’... Comunque a dieci anni, quando ho iniziato a capire il vero senso del tifo, il tifo vero, ho cominciato a riflettere. Io all’epoca tenevo per la Signora perché era l’unica compagine vincente d’Italia, un po’ come tutti i miei compagni. La svolta è arrivata però all’inizio della prima media, dopo un anno di imparzialità nel quale dicevo: “se proprio devo tifare qualcuno, tifo Milan”. Ben tre miei compagni di squadra su nove totali tenevano per Milan. Io ero l’unico che del calcio gliene importava poco o niente (gioco a pallavolo). Però questi tre rossoneri erano alcuni dei miei migliori amici. All’inizio della prima media ho cominciato ad avvicinarmi sempre di più al Milan fino ad arrivare ad oggi. Sono un malato di Milan a tutti gli effetti: guardo ogni giorno calciomercato, non mi perdo un incontro dei rossoneri, esulto se questi ultimi vincono, mi dispero se perdono. Quindi pensate, la mia fede la devo allo sport che più rivaleggia col calcio: la pallavolo. Che strane le coincidenze della vita non credete? Comunque tornando a noi, ho scoperto un grande anzi grandissimo pentito del Calcio. Lui ha fatto anche peggio di me: lui è passato dall’Inter a Milan. Credo che questo smacco bruci ancora per i cugini nerazzurri. Ma poco male, volete sapere di chi si tratta? No non ve lo dico, lo dovete scoprire da voi. Io vi do qualche indizio. Allora, è stato uno dei più grandi allenatori della storia ed ha allenato la squadra più forte di sempre. Serve aggiungere altro? Non credo. 

Cosa? Non avete ancora indovinato chi è? Va beh ve lo dico io, ma potevate arrivarci benissimi da soli. 

Arrigo Sacchi. Vi dice niente questo nome? Spero di sì. Comunque lui è famoso. Perché è famoso? perché ha letteralmente rivoluzionato il Calcio. Partito da modeste basi è riuscito a costruire un impero dentro la sua geniale mente. In uno scorso pezzo ho detto che Pioli è un genio. Beh Sacchi lo è, ma oltre ad essere un genio è anche un innovatore, colui che ha dato il via all’era moderna del calcio. Ma partiamo dall’inizio.

Nel 1946, a Fusignano, piccolo comune Emiliano nei pressi di Ravenna viene alla luce un piccolo e piangente Arrigo Sacchi. Fin dalla tenera età si avvicina al mondo del calcio giocando in squadre dilettantistiche come difensore. Nessuno avrebbe mai potuto neanche immaginare dove sarebbe arrivato quel piccolo ragazzino di campagna scalando la piramide gerarchica del calcio arrivando con il duro lavoro e la convinzione fino a conquistarne la vetta. A soli 27 anni però inizia a rendersi conto che il calcio giocato non fa per lui. Lui è stato creato per dirigere, lui è la mente e non la mano. Dando prova di grande coraggio intraprende la carriera di allenatore. Ancora una volta assistiamo alla fine della carriera da calciatore di un grande di questo sport. A pochi in realtà interessa davvero del suo ritiro. Ma si rifarà in seguito, sulla panchina. Un po’ come Leo da Vinci, si dimostra subito molto portato per  quel tipo di incarico. Solo che il grande maestro eccelleva nelle arti, mentre lui nella guida senza esclusioni colpi di squadre di calcio. All’epoca di Leonardo il calcio non esisteva ancora… chissà chi l’ha inventato. Magari proprio il nostro da Vinci, chi lo sa? Fatto sta che Arrigo Da Vinci esordisce come allenatore nella squadra del suo paese natale, il Fusignano. Dopo tre anni passa alla Alfonsine per poi andare alla Bellaria. Tra il 1978 e il 1982 guida la primavera del Cesena alla conquista del campionato facendosi notare dal presidente del Rimini che lo ingaggia per guidare la squadra in serie c. Dopo un anno va ad allenare le giovanili della Fiorentina per poi tornare al Rimini la stagione successiva. L’anno dopo va ad allenare il Parma appena retrocesso in serie c. Dopo un inizio altalenante riporta subito i ducali in serie b battendo clamorosamente il Milan di Liedholm in Coppa Italia. Il presidente rossonero Silvio Berlusconi apprezza molto il suo stile di gioco basato sulla difesa a zona e sul pressing. Così nella stagione 1987/88 si ritrova sulla panchina del Milan. Un salto enorme che impiegò un po’ di tempo a digerire. Il suo metodo di allenamento estenuante, a volte quasi brutale che spremeva i giocatori fino all’ultima goccia di energia non piacque molto alla squadra ed in particolare a Baresi e Ancelotti. Nonostante un avvio di stagione altalenante Berlusconi continuò a difenderlo. Beh fece bene. Sacchi guidò i rossoneri alla conquista dell’undicesimo scudetto, il primo titolo dell’era berlusconiana. Ma la vera opera d’arte, la vera “Gioconda” fu la conquista della Coppa dei Campioni, dopo la manita rifilata al grande Real Madrid e al poker in finale alla Steaua Bucarest nella stagione successiva, dopo un buon terzo posto in campionato e alla conquista della prima edizione della Supercoppa Italiana. La stagione successiva dopo essere stato ad un passo dal vincere tutte le competizioni disponibili viene beffato in campionato cedendo lo scudetto al Napoli di Maradona e perdendo la finale di Coppa Italia contro la Juve vincendo però la seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Nel 1991 Sacchi viene ingaggiato come nuovo allenatore della nazionale di calcio italiana. Durante i mondiali del ‘94 ottenne un ottimo secondo posto cedendo il passo solo al Brasile ai calci di rigore dopo il penalty sbagliato da Baggio. Dopo un lustro, liberatosi dalla nazionale Sacchi torna al Milan ma non riesce a replicare i successi passati. Chiude il campionato con un deludente undicesimo posto ed alla fine della stagione le strade dell’allenatore e del Diavolo si separano definitivamente. Sacchi viene ingaggiato dall’Atletico Madrid dopo un anno sabbatico venendo però esonerato dopo appena sette mesi, chiudendo nel peggiore dei modi la sua unica avventura all’estero. Nel 2001 viene assunto dal Parma ma in seguito a problemi di salute annuncia il suo definitivo addio al calcio. Si può dire che il vero spirito “Leonardesco” Sacchi l'abbia sfoggiato nell’era al Milan. La sua marcatura a zona, il suo pressing, il suo modo di trasformare in tuttofare ogni giocatore, la sua “trappola del fuorigioco” lo fecero diventare grande. Lo fecero chiamare “l'innovatore vincente”, un innovatore che proprio come Leonardo vuole inventare sempre qualcosa di nuovo. 

Sacchi è il Da Vinci del Calcio.