Lo so, è un po' che non mi faccio vivo... ma che ci volete fare? La scuola, la pallavolo, la scuola e... la scuola... sono cose molto impegnative. Per chi non lo sapesse, ho iniziato quest'anno il liceo classico. Per adesso non mi posso lamentare, sono capitato in una classe piuttosto bella ed ho già legato con due miei compagni al punto da essere diventati inseparabili. Diciamo che siamo l'orgoglio del Liceo classico, noi che siamo solo in prima o in quarta Ginnasio, come ama dire la mia professoressa di greco... eh sì ragazzi faccio anche greco! Ma come Milan Mauro? Greco? E che lingua è? Beh una lingua molto strana a dire il vero, con un alfabeto tutto suo e soprattutto regole tutte sue. Pensate che in tre settimane di scuola abbiamo fatto solamente l'accento. Credo che siano una delle cose più insidiose del greco antico queste accento. Come queste? Beh devi sapere che la lingua parlata dal leggendario Achille e dal suo eterno rivale Ettore ha ben tre accenti: quello acuto, quello grave e quello circonflesso. Se si cambia di posizione un accento la parola rischia di cambiare totalmente significato! Ma dimmi te! E quindi, è così difficile? Beh diciamo che è più difficile del latino. Ma io non ho fatto latino alle superiori! Beh allora immaginati la grammatica italiana solo con un altro alfabeto e quaranta volte più incasinata. Ti basta come spiegazione? Beh... si. Bene. Allora adesso taci perché queste cose grammaticali sono piuttosto noiose e non credo che interessi realmente a qualcuno sapere quante accento ha il greco antico. Ma io volevo chiederti ancora una cosa! No, me lo chiederai dopo, alla fine. E va bene capo, come vuoi tu. Bene.

Devo dire che se c'è una lingua straniera che mi piacerebbe imparare sarebbe lo spagnolo. Purtroppo vivendo nel remoto Trentino però i miei sogni iberici sono andati in mille pezzi già dalla terza elementare quando ho iniziato a studiare il tedesco. Insomma mi stai dicendo che ho dovuto rinunciare a studiare lo spagnolo per imparare il tedesco?!? Mi stai prendendo in giro?!? Trovo che la germanica lingua sia uno degli idiomi più rozzi, inutili ed al tempo stesso incredibilmente difficili del mondo. Come può una lingua tanto rude avere più regole contorte del latino? Nessuno lo saprà mai. Ed io intanto mi devo sorbire il mio professore di tedesco che è talmente vecchio che sembra uscito dalla preistoria, blaterare velocissimamente in una lingua strana ad incomprensibile. Molto meglio lo spagnolo! Ma si! E anche il portoghese! Sì! E anche il messicano aggiungerei io! Beh allora l'argentino? Che mi dici dell'argentino? A proposito di Argentina... mi è venuta un'idea.

In alcuni quartieri argentini per venirne fuori serve un miracolo. Questa è la storia di un miracolo.
Carlos Tevez nasce in una città nei pressi di Buenos Aires, in Argentina. Nasce in realtà Carlos Martinez. Carlos come il padre freddato ancor prima della nascita del figlio e Martinez come la madre che ad appena 3 mesi lo abbandona. A soli 10 mesi è vittima di un grave incidente domestico: tocca per sbaglio il mate' che gli si rovescia addosso provocando ampie scottature. Da allora porta i segni su collo, viso e petto. Delle cicatrici che fanno di lui un uomo più forte in qualche modo, più pronto ad affrontare la dura vita delle favelas. Quei segni inflittigli da una vita fino a quel punto infame, diventano più tardi il simbolo di chi non si è mai arreso. Il piccolo viene in seguito affidato agli zii che lo accudirono come un figlio loro. Vivono in un quartiere estremamente pericoloso, chiamato Fuerte Apache, da cui deriva il suo soprannome. Se lo porta dietro questo nomignolo come una seconda pelle, una pelle devastata ma pur sempre una pelle. Tante, troppe volte ha rischiato di perdere quella vita, quella vita infame anche solo camminando per le strade della sua città. Bastava un attimo: un colpo sparato a mezz'aria e tutto sarebbe finito improvvisamente come era iniziato.

"A volte quando giocavamo a calcio iniziavano a fare fuoco. I colpi ci volavano sopra la testa ma noi non ci preoccupavamo. Eravamo bambini e tutto quello per noi era normale" raccontò in seguito Carlos.

Un'infanzia difficile cominciata senza una famiglia, con il corpo deturpato. In qualche modo, però seppur faticosamente Carlos riesce a crescere e a salvarsi grazie ai valori insegnati dagli zii. Preferisce il bene invece del male, anche se quest'ultimo è più a portata di mano. A salvare quel bambino magretto però è una passione: la passione del calcio e lui è forte, molto forte. Tuttavia lo è ancora di più nella vita affrontando nuovi pericoli ogni giorno, in una società nella quale anche la più piccola cosa può trasformarsi in una tragedia. Tutti i suoi compagni di squadra conoscono già i principali osservatori in tribuna e quando gli dicono che potrebbe diventare uno dei primi cinque al mondo lui ride. Carlos ha un univo obbiettivo in testa: giocare. A lui importa solo quello ed il resto perde valore. Non pensa mai a mettersi in mostra, vede il padre adottivo lavorare giorno e notte per mantenere la famiglia: "se vuoi ti aiuto, divento muratore anche io" "no Carlos devi studiare".

Un giorno lo vede giocare per caso un famoso osservatore che dice fi volerlo all'Argentinos. Carlos ringrazia come si confà ad un ragazzo educato ma declina l'offerta. Nella sua testa ha cominciato a formarsi un sogno. Segno che si chiama Boca ed è condiviso da padre, nonno e zio. L'opportunità gli si presenta poco dopo ma per entrare a far parte delle giovanili serve l'autorizzazione della madre biologica. Carlos però non vuole la sua autorizzazione, la sua vita non deve e non può essere nelle mani di una donna che lo ha abbandonato. Vuole cambiare cognome, vuole essere un Tevez come lo zio. Dopo qualche lungo parapiglia ci riesce ed esordisce alla Bombonera con il numero 26 sulle spalle a soli diciassette anni. Il Boca è una parte di lui, nutre un profondo amore verso quella squadra che lo ha aiutato a coronare il suo sogno.
La svolta arriva nel 2003, dove caricandosi la propria squadra sulle spalle riesce a vincere in finale contro il Milan stellare di Kaka la Coppa Intercontinentale. Da quel momento si ha la certezza che è nata una stella. Poco dopo esordisce anche in nazionale, dove è acclamato addirittura più di Messi, lui un ragazzo del popolo che rispecchia la vita ed il modo di essere di moltissimi argentini. Per fare il salto definitivo deve purtroppo lasciare il Boca per avventurarsi in posti tutti nuovi, in squadre tutte nuove. Arriva al Manchester United dove vince la Champions e poi al City. Arriva poi a sorpresa in Italia, alla Juve dove porta con onore la numero 10 senza apparentemente subirne il peso. Un grande viaggio quello di Carlos che è partito dalla sua amata Argentina e dal suo amatissimo Boca per volare in Inghilterra e poi in Italia. Ma alla fine il richiamo di casa è troppo forte per chiunque e così ritorna alla Bombonera dove viene acclamato come un'eroe.

A Tevez è bastato schivare qualche pallottola e brutte compagnie. Non ha mai preteso di essere il Migliore, ma lavorando giorno dopo giorno forse lo è diventato. Neanche lui sa come, ma alla fine è diventato uno di cui non ci si scorda facilmente. Ha vinto e si è fatto amare ovunque. Una rivincita sul campo e nella vita, la quale ti presenta il conto anche quando ti comporti bene. Sopratutto quando ti comporti bene.
Negli anni Carlos è diventato molto ricco, ma mai ha dimenticato da dove viene: dona tanti soldi alla sua terra per aiutare tanti altri "Tevez" a lasciarsi alle spalle un passato buio.
Carlos è il più amato in patria proprio perché è un calciatore del popolo, e forse è per questo che i ragazzini per strada hanno lui come idolo.

Questa è la dura storia di Carlos Tevez, l'Apache... quello del popolo!