Nella penosa pratica di separazione tra la Juventus e Cristiano Ronaldo, al di là delle valutazioni finanziarie e relazionali che sembrerebbero renderla inevitabile, c’è una riflessione molto triste per un vero tifoso juventino.
Con la cessione salvifica del suo migliore giocatore, infatti, la Juventus uscirebbe a capo chino dal ristorante da 100 euro in cui i primi 3 anni di Allegri e l’all-in pokeristico di Agnelli e Paratici l’avevano inaspettatamente proiettata.
Evidentemente, però, la verticale di bollicine del lussuoso ristorante ha finito col dare alla testa un po’ a tutti, avviando una involuzione tecnico-tattica inversamente proporzionale all’aumento esponenziale dei costi.

Non sono bastati neanche i 101 gol in 134 partite di Ronaldo a rallentare l’inesorabile scivolamento dello squadrone bianconero verso la periferia della Champions League, sia in Italia che in Europa.

Come raccontato in una intervista, il cantante Enzo Ghinazzi ha illustrato molto bene la difficoltà di frequentare con disinvoltura certi tavoli. Se la memoria non ci inganna, Ghinazzi una sera si trovò nel privé di Saint Vincent ad un tavolo di grandi giocatori, tra cui l’avvocato Agnelli. Dopo una serie di mani favorevoli, il cantante vede l’Avvocato chiamare un suo collaboratore e chiedergli a bassa voce chi fosse quel giovanotto così fortunato. Il collaboratore, evidentemente a voce più alta, rispose: “E’ un cantante che si fa chiamare Pupo”. Dice Ghinazzi che in quel momento ha percepito la vertigine di quelle altezze e piano piano ha finito col perdere tutto.

Credo che alla Juventus sia successo qualcosa di simile.
E in questo senso, lo scriviamo cospargendoci il capo di cenere, il progressivo distacco da Marotta è stata la svolta decisiva, in negativo.
Se ripensiamo ai costosissimi acquisti gratuiti di Ramsey e Rabiot, ad esempio, non possiamo che restare perplessi. 
Come ai rinnovi milionari degli ultratrentenni Mandzukic e Khedira, fedelissimi di Allegri, ma fatti fuori da Sarri pochi mesi dopo.
Così come alla lievitazione inesorabile degli ingaggi, simboleggiata dal cappio da 6.5 milioni di euro netti stretto intorno alla porta juventina, che ha soffocato con lo sconsiderato e improvvido rinnovo di Szczesny ogni possibilità di prendere Donnarumma.
Non affrontiamo la questione Ronaldo, perché è un’operazione a cui nessuno avrebbe potuto dire di no: avendo le disponibilità, era giusto tentarla. A posteriori, si è trattato di un passo più lungo della gamba.

E’ il contorno più generale, del progetto tecnico e di quello finanziario, che ha fatto corto circuito.
Sostituire Dani Alves con De Sciglio - e poi ancora con “quel fenomeno di Cancelo” (citazione) - è una perla miliare.
Quel De Sciglio, che per Allegri rappresenta quello che Cappioli o Festa furono per Mazzone: squadra che vai, De Sciglio che trovi.
Un altro scambio memorabile, seppur sfalsato negli anni, è stato vendere Coman al Bayern per 30 milioni di euro e poi comprare Douglas Costa proprio dal Bayern a 50; e infine restituire in prestito gratuito lo stesso Douglas Costa al Bayern a fare la riserva di Coman.
Oppure, la parabola di Romero: comprato da Paratici e lasciato al Genoa, venduto in prestito con diritto di riscatto all'Atalanta per complessivi 20 milioni e venduto dall'Atalanta al Tottenham di Paratici per 50 milioni.  
Sembrerebbe un montaggio circolare del più contorto cinema americano degli anni Novanta, ma è la realtà.

Insomma, andando a scavare negli ultimi anni di Juve ce n’è per tutti i gusti.
A beneficio dei nostri amici lettori, riassumeremo il tutto con un detto caro alle nostre nonne: “chi troppo vuole, nulla stringe”.
Anche se Mamma Exor, statene sicuri, non potrà continuare troppo a lungo a pagare i salatissimi conti del figliol prodigo: di questo passo, ci aspetta un mesto ritorno al ristorante da 10 euro.