Ammetto di avere grosse difficoltà a capire cosa stia succedendo alla Juventus. Oggettivamente, se valutata nella sua integralità, la presidenza Agnelli è stata eccezionale: ha ridato appartenenza, dimensionamento nazionale e internazionale, ma soprattutto successi. Tutto questo, almeno, fino al 2018: dal 2018 in poi, nonostante sia continuata a livello nazionale una striscia di vittorie non indifferente, qualcosa non torna.

La gestione tecnica degli ultimi anni è stata fallimentare: il costo degli ingaggi è lievitato in maniera inversamente proporzionale al rendimento dei giocatori, rendendo il confronto tra la squadra del 2015 e quella del 2021 impietoso. La gestione tattica è stata da brividi: una svolta radicale facendo un triennale a Sarri, che da vincitore, dopo un solo anno, è stato sostituito dal debuttante Pirlo, rimasto vittima (seppur onorevolmente) di una sfida più grande di lui. La gestione finanziaria è stata ancor peggio: senza addentrarci troppo nei dettagli, una società che ricapitalizza 700 milioni di euro in 2 anni ha sicuramente grossi problemi, oltre che, fortunatamente, degli azionisti solidi, liquidi e motivati.
Pur essendo stato uno dei pochi precursori del disastro, devo ammettere di aver commesso almeno due gravi errori di valutazione: Marotta era il valore aggiunto a livello dirigenziale e, al pari di Nedved, ritenevo la rosa dell’ultimo Allegri più competitiva di quello che ha dimostrato di essere.

Di contro, devo riconoscermi delle visioni più chiare sulla gestione tattica.
Pur considerando il ciclo di Allegri ampiamente finito, non avrei mai affidato la squadra a Sarri: che comunque, nonostante la sua palese incompatibilità ambientale, ha vinto il campionato più difficile dopo il primo scudetto di Conte. Pur considerando sbagliata la scelta di Sarri, ho trovato folle la scelta di Pirlo: che comunque, nonostante le rovinose e inedite figuracce collezionate, ha finito in crescendo portato a casa due trofei. Considerando inevitabile l’addio a Pirlo, ho trovato comprensibile la scelta di affidarsi di nuovo ad Allegri: in un momento di difficoltà, un allenatore aziendalista che mira a portare successi e a creare valore è senza dubbio una scelta meno rischiosa delle precedenti.
E’ chiaro a tutti che, dal punto di vista di Allegri, si tratta di una grossa rivincita: non capita spesso ad un professionista di alto livello di tornare in pompa magna in un’azienda che, solo due anni prima, gli aveva dato il benservito.
Ma ci possono essere due modi di prendersi questa rivincita: limitare al massimo le parole, lasciando parlare i fatti, oppure entrare in argomento e togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Giovanni Trapattoni scelse la prima strada.
Marcello Lippi scelse la prima strada.
Massimiliano Allegri ha preferito dare voce alle parole, seppur con teatrale guasconeria toscana: ha detto di aver parlato a Ronaldo come a tutti gli altri; ha detto che tutti (e più di qualcuno ha pensato che si riferisse a Ronaldo) faranno parte delle rotazioni; che le punizioni le tireranno Dybala e un calciante destro (non per forza Ronaldo, grazie a Dio); che ha trovato un Dybala ormai diventato uomo (e noi speriamo che torni pure a essere calciatore con maggiore continuità); che il vicecapitano dovrebbe essere Dybala (per “anzianità continuativa di servizio”, come si dice nei ministeri, e non per la virilità di cui abbiamo appena detto); e che Bonucci, affettuosamente chiamato Leo, se vuole la fascia di capitano, può andare a comprarsela.

Non amo particolarmente chi si sente al di sopra della Juventus e degli juventini: la Juventus, in anni recenti, ha vinto tanto prima di Allegri e dopo Allegri.
In più “Leo” Bonucci, al contrario di Allegri, ha già indossato due fasce di capitano: quella gloriosa della Juventus e quella, ancora più gloriosa e più rara da indossare, di capitano della Nazionale italiana. 
Rimanendo in linea con la battuta di Allegri, se c’è uno che deve comprarsi una fascia di capitano della Juventus per indossarla è proprio Massimiliano Allegri.  
La grandiosa vittoria della Nazionale agli Europei è stata il trionfo del gruppo e di un grande gestore come Roberto Mancini: mai una parola fuori posto; mai protagonista, neanche nelle vittorie; sempre al primo posto i ragazzi, quelli titolari e quelli a disposizione.  
In questa inattesa e grandiosa vittoria del gruppo, il condottiero anziano più presente è stato proprio Leonardo “Leo” Bonucci: e siccome la fortuna aiuta gli audaci, è stato proprio il buon Leo a siglare il gol che ha consentito all’Italia di pareggiare il gol dell’Inghilterra.
Ciò avveniva mentre Cristiano Ronaldo vinceva il titolo di capocannoniere dell'Europeo e poche ore dopo il trionfo dell’Argentina in Copa America: senza Dybala, non convocato nonostante i “20-25 gol nelle gambe”, che avrebbero potuto rimpinguare il suo misero bottino di 2 gol in 29 partite con l’albiceleste tra il 2015 e il 2019.

Probabilmente, dunque, se si chiedesse a qualunque tifoso mondiale la classica della rilevanza internazionale di alcuni protagonisti bianconeri, la classifica sarebbe: Cristiano Ronaldo, Leonardo Bonucci, Massimiliano Allegri, Paulo Dybala.
Vedendo l'atteggiamento della Roma ieri sera contro il Porto, qualche testata si congratula con Mourinho usando una locuzione latina tanto efficace, quanto scorretta: "Habemus squadra". La domanda che, ahimé, mi faccio da tifoso juventino dopo aver ascoltato alcuni sproloqui degli ultimi tempi è: "Habemus squadra"? 

Fatto al secondo Max Allegri bianconero un doveroso in bocca al lupo, dedicherei con rammarico alla sua prima conferenza stampa un vecchio adagio italiano: la parola è d’argento, il silenzio è d’oro.