Solo chi mi conosce da vicino sa quanto abbia significato la Juventus nella mia vita. Un tifo nato da una grandissima passione per il calcio, che per anni ha scandito quotidianamente la mia vita: dai campi di calcio agli stadi, dai videogiochi alla tv.

Una passione che si tinse di bianconero già da bambino, alla vista degli eroi del Mundial di Spagna '82: stregato inizialmente dai brasiliani di Santana, nel corso di quel 3 a 2 fui colpito dalla determinazione di quei velocissimi giocatori con la maglia azzurra. Fu mio nonno materno Alfredo, juventino fintamente disinteressato, ad indicarmi una per una le squadre di club di quegli eroi. Di lì a diventare juventino come lui fu un attimo, nonostante la classe e la corsa di Bruno Conti. Negli anni Ottanta, essere juventino a Roma significava confrontarsi con una tifoseria e una squadra straordinarie, il che è stato una grande palestra di vita: a testa alta ovunque e comunque, pur essendo in minoranza. La grande delusione di Atene e la tragedia dell’Heysel resero questo tifo precocemente adulto, ma non per questo meno appassionato.

La più sentita appartenenza è però stata quella con la Juventus di Marcello Lippi, Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega. Una viscerale appartenenza, frutto di una identificazione totalizzante e convinta, mi hanno accompagnato in un entusiasmante decennio di straordinarie vittorie e di cocenti sconfitte. Fino alla grande impostura del 2006 e al susseguente cambio di dirigenza. Calciopoli è stata per molti l’espiazione di una colpa e la restaurazione della virtù; ciò che in altri ambiti dicono sia stata Tangentopoli, che invece è semplicemente un’altra grande impostura. In Italia, ciclicamente, si cerca infatti di mondare il Paese individuando un colpevole, o una categoria di colpevoli, che vengano sacrificati per bonificare l’immondo che caratterizza la nostra società e la nostra nazione. Per fare ciò, intorno ad uno o più pupàri, si riuniscono ciclicamente zelanti operatori, cultori della macchina del fango ed invidiosi traditori. Aizzate dai troppi spifferi dei palazzi di giustizia, le “iene degli stadi e a quelle de giornali” (cit.) si gettano sulla preda, sino a che la carcassa sia quantomeno villipesa.

In questo orribile 2021, si inizia a palesare uno scenario molto familiare. Un progressivo accerchiamento a cui, contrariamente a quanto avvenne nel 2006, dovrebbe fare da contraltare una difesa strenua della propria azienda e dei propri dirigenti. Unica alternativa: il silenzio. Ciò detto, la presenza sulla scena, ma soprattutto le parole e le azioni della proprietà mi rendono impossibile continuare a tifare per la Juventus. E’ stato uno splendido quarantennio di vita passato insieme.

Come in ogni saluto, è doveroso fare alcuni ringraziamenti.
Grazie all’Avvocato.
Grazie a Michel Platini, per avermi fatto innamorare del calcio.
Grazie a tutti i giocatori che, nel primo anno da juventino, si fermarono a farmi un autografo nel bar del Parco dei Principi.
Grazie a Gaetano Scirea, che non ebbi modo di apprezzare appieno da giocatore, ma che mi fece capire il dolore di una perdita.
Grazie a Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega, per sempre.
Grazie ad Umberto Agnelli, per averli scelti. Luciano Moggi si ricorderà delle parole che gli ho dedicato in una famosa serata in uno Juventus Club sulla cosa adriatica, nonostante il fastidio delle istituzioni presenti e la soddisfazione sua e del suo avvocato.
Grazie a Marcello Lippi, per tutto.
Grazie ad Antonio Conte, per avermi fatto capire cosa vuol dire essere un grande juventino.
Grazie di nuovo ad Antonio Conte, per avermi fatto capire che ogni cosa ha un prezzo, anche quelle che sembrano non averne.
Grazie a Jurgen Kohler, a Paolo Montero e a Leonardo Bonucci, prototipi diversi di un unico giocatore ideale.
Grazie a Vladimir Jugovic per il rigore di Roma.
Grazie a Luca Vialli e Fabrizio Ravanelli.
Grazie a Moreno Torricelli: la sua immensa partita contro Winston Bogarde è racchiusa un’immagine che campeggia ancora sulla mia cameretta. Grazie a Gigi Buffon, ad Alessandro Birindelli, a Giorgio Chiellini, a Igor Tudor, a Federico Balzaretti, a Jonathan Zebina, a Pavel Nedved, a Mauro German Camoranesi, a David Trezeguet e ad Alessandro Del Piero per esserci stati fedeli nella buona e nella cattiva sorte.

Grazie a Mario Mandzukic: mamma mia che Juventus, mamma mia Mario Mandzukic.
Grazie a Giampiero Mughini, almeno fino a quando era anticonformista e preferiva le emozioni alla paura.
Grazie ad Andrea Agnelli, alla sua dirigenza e alla sua squadra per quello che hanno fatto fino al 2018.
Grazie a tutti coloro che mi hanno fatto gioire. Grazie al mio omonimo nonno paterno, che al pari del nonno Alfredo, era  silenziosamente juventino: con lui vidi il primo trionfo internazionale della mia Juve a Basilea.

Cara Vecchia Signora, è stato uno splendido tratto di vita passato insieme. Le nostre strade si dividono.
Lord Byron diceva che “quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi”.
Dunque, addio Juventus.
Scusami, ma non eri più tu.