Dybala non viene schierato nella serata dell'anno sociale in cui sarebbe più utile.
Scelta ponderata? Farlo riflettere sul grado di personale indispensabilità? Vengono schierati alti e robusti granatieri - De Ligt, Morata, Vlahovic - dove i gialli sottomarini si muovono agilmente e silurano, infine, la lenta corazzata bianconera.
Non ne basta l'artiglieria: un conto tiri insidiosi, altro balistica poco meno che di direzione centrale, facilmente ottusa dal portiere Rulli.
Merito di Allegri? Aver saputo organizzare una compagine non voluta da lui. Demerito? Non sfruttare l'ampiezza del patrimonio calcistico da lui diretto, osando poco e affidandosi sul "sicuro", così "sicuro" da apparire a volte quasi banale.
E' un allenatore dialettico, non il Mourinho plenipotenziario dei tempi dell'Inter. Ma anche che difende bene il proprio punto. Abile gestore di alibi. Non ammetterebbe di aver sbagliato. Gestisce la Juve del dopo Del Piero e ha la sventura di non usufruire dei servigi di un calciatore che ha consentito per tanti anni un risparmio-investimento senza il quale non staremmo oggi a parlare. Senza le cifre astronomiche recenti, la Juve di Del Piero vince tutto. In modiche quantità, ma tutto ciò che c'è in palio. Non gli viene assegnato il Pallone d' Oro perché ne viene risparmiata una quantità per l'apoteosi dei successivi Messi e Ronaldo.
Ma i risultati parlano chiaro. E' la Juve del terzetto Moggi-Giraudo-Bettega. Quest'ultimo potrebbe essere l'erede di Boniperti, ma si trova coinvolto nella sorte di chi ha già diretto altre squadre di cartello. Termina una delle migliori Juventus della propria storia. Le successive non toccano, relativamente al campo europeo, i vertici di quella già detta. Hanno bisogno di grossi investimenti per assomigliargli. Raggiungono due finali di Champions in cui perdono con poche scusanti.

Ed eccoci ad oggi, Torna il livornese. Una squadra preconfezionata e un tecnico ora impelagato e costretto da gerarchie molto più rigide di quelle già a lui note, da ragioni economiche più stringenti, da una squadra in cui il divario è troppo ampio tra l'esigenza di ricostruzione e quella di non perdere il treno dei risultati. Un movimento costituito da processi antitetici.
Il tecnico riesce a riorganizzarsi, a raggiungere una buona posizione di classifica nonostante una partenza stentata ma forse sottovaluta, in Spagna, l'insidia rappresentata da quel Parejo troppo solo, che segna e pareggia fin troppo facilmente i conti tra Villarreal e Juventus, dopo essere stata esaltata, quest'ultima, dal goal lampo del recentemente acquisito topo scorer Vlahovic.
Non cambia il discorso tattico al ritorno, peana di eultanza per i frequenti tiri a rete bianconeri che, però, col passare del tempo non riescono a gonfiarla. E quando si dura così, segnali sinistri aleggiano sul campo. Si avverano quando, verso il finale di partita, all' ampia manovra dei locali si sovrappone la ficcante e agile reazione dei gialli spagnoli: in area, l' irreparabile.
Questione di un ritardo di frazione di secondo. La difesa rivela ancora i propri limiti sul secondo e inaspettato goal degli avversari. Più volte viene notata, nell'uno contro uno, la palese difficoltà dei bianconeri nel contenere calciatori che pure non si chiamano Messi, Ronaldo, M'Bappè. Chiacchiere, rumors, campagne acquisti eclatanti vengono annichilite, nel giro di pochi minuti, da calciatori di nemmeno troppa risonanza.