Il fine battutista, non è certo un mistero, non è solo quello capace di pronunciare una battuta capace di divertire la platea, ma quella anche di saper cogliere il momento giusto e la circostanza giusta per pronunciarla: non riuscire in quelli che nel campo dell'umorismo rappresentano dei dogmi eterni, potrebbe portare a una reazione non propriamente composta da parte di chi ascolta. Si potrebbe essere tacciati di superficialità, di essere banali e quindi, consequenzialmente, di non far ridere. La tomba della comicità, insomma. Ne sa qualcosa il celebre comico americano Gilbert Gottfried, che su Twitter scrisse: "Il Giappone è un paese davvero avanzato. Non vanno in spiaggia. E' la spiaggia che va da loro.", in seguito al disastroso terremoto e tsunami che colpirono il Giappone nel 2011, e che gli costò un'importante sponsorizzazione in terra nipponica nonostante le scuse in cui si profuse successivamente.

Anche determinate sparate pubbliche possono provocare sdegno profondo nell'opinione pubblica. Se a questo si aggiunge una situazione di particolare pericolo, oppure toccando un tasto dolente, la frittata è servita. Basti pensare a una, tristemente nota, frase pronunciata da Adolf Hitler, a cui venne domandato cosa pensasse del fatto che in guerra stessero morendo diversi giovani, e alla quale, glacialmente come i suoi occhi, rispose: "Del resto i giovani servono a questo". Una frase che certamente non avrà riscosso i consensi delle tante famiglie che persero i loro ragazzi sui vari fronti della Seconda Guerra Mondiale, dalle prime battaglie sino alle grandi disfatte degli anni che culmineranno con la sconfitta del dittatore tedesco.

Quando si unisce una battuta, o una frase infelice, a un contesto non appropriato, l'esito non può che essere quello di portare all'imbarazzo. Quando poi viene pronunciata da una persona che dovrebbe dare l'esempio, ecco che l'eco diventa maggiore e se possibile anche più drammatico. Quando viene pronunciata dal tecnico della nazionale italiana di calcio Roberto Mancini, in una nazione che ha nel calcio il massimo esponente in termini di visibilità sportiva, l'esito non poteva che essere quello del portare all'indignazione.

La battuta con cui intendeva, a suo dire, sdrammatizzare sulla terrificante pandemia globale che sta mietendo numeri impressionanti non solo in Italia ma in tutto il mondo, è stata un autogol peggiore di quello di Lukaku in finale di Europa League, ed è stata clamorosa quanto quelli che resero celebre Comunardo Niccolai. Fatta dalla stessa persona che, poco più di una settimana fa, aveva commemorato i morti di Bergamo assieme a Vialli, suo ex compagno di squadra alla Sampdoria e ora nello staff della nazionale di calcio.

Sulla drammaticità dei numeri c'è poco da scrivere, e le misure prese a livello mondiale per cercare di contrastare il Covid sono il simbolo di tempi in cui attenzione e sensibilizzazione devono essere messe al primo posto. Inoltre, e anche questo non va mai dimenticato, Mancini ricopre il ruolo di allenatore della nazionale, un incarico, se così si può dire, di rappresentanza e di responsabilità, e non solo di guida per gli atleti calcistici italiani alle sue direttive. Svilire in questo modo i 36.968 morti in Italia, e più di un milione in tutto il mondo, è un qualcosa di talmente irresponsabile, incivile, insensibile e imbarazzante da non poter essere taciuto. Chissà se la pensava anche quando venivano portate le corone di fiori a Bergamo, magari sghignazzando interiormente, dimenticandosi delle terribili immagini delle bare portate via dall'esercito per via del gran numero, della sofferenza patita dalle vittime e da tutti coloro che, intubati o meno, stanno combattendo contro un virus che rappresenta un pericolo per i tanti che non possono permettersi cure di livello, che nonostante il loro benessere economico hanno trovato la morte come l'ex presidente del Real Madrid Lorenzo Sanz o che, troppo anziani, spesso vengono lasciati a loro stessi, in una marea di burocrazia e di telefonate per cui il nostro paese, in questo campo certamente, ha il primato al mondo.
Chissà se ha pensato, in quel momento, alle persone realmente allettate e che non possono ricevere nemmeno il conforto fisico dei loro cari, poiché non possono essere avvicinati oppure sono ammalati anch'essi e devono rimanere in casa per evitare di contagiare altre persone.
Chissà se rifletteva anche solo per un attimo su chi ha perso il lavoro chiudendo la propria attività in seguito al lockdown fatto per limitare i contagi.
Chissà se aveva in mente i tanti lavoratori, meno privilegiati, che rischiano il contagio spostandosi sui mezzi pubblici e i tanti che, nelle stesse condizioni, hanno dovuto rinunciare a lavorare e non portare lo stipendio a casa. Sicuramente pensava ai titoli eccessivamente allarmistici fatti da molti, come ha dimostrato in altri suoi messaggi, ma ha sottovalutato l'impatto che può avere portare messaggi contrari: aizzare il menefreghismo sociale, l'ignoranza, il sottovalutare messaggi forniti dalla comunità scientifica che certamente conosceranno il virus che inizialmente ha preso in contropiede il mondo intero, così come lui conosce i modi per attuare calcisticamente una tattica difensiva per contrastarne uno calcistico. Siamo nell'era della comunicazione, il che può essere uno strumento incredibile se usato bene, e incredibilmente deleterio se usato in certi modi. Non ci si aspetta delle conoscenze mediche da una persona del mondo del calcio professionistico, poiché spesso rappresentano due ambiti, con poche lodevoli eccezioni come quelle di Sòcrates, totalmente diversi. Ma la cura nel suggerire di tenere alta l'attenzione, questo lo potrebbe capire anche un bambino delle scuole elementari, che, lui si, certamente sarà stato dispiaciuto e disorientato per via di quei mesi di chiusura totale.

Il silenzio assordante delle istituzioni sportive italiane, se possibile, è perfino peggiore. Sarebbe bastata una frase di sdegno, una presa di posizione netta e chiara contro le parole dell'allenatore di Jesi, e invece si è scelta la linea del non esporsi, in un'ignavia che in questi momenti è difficilmente tollerabile. Un richiamo ai valori costituzionalmente protetto della salute, o al prestare maggiore attenzione, aver rispetto per le altre persone, non esibirsi in comportamenti irresponsabili sono valori anche sportivi, dopotutto. Come quando ci si sdegna del calciatore che va in discoteca dopo una sconfitta o che viene sorpreso a fumare o a tenere comportamenti irrispettosi.
Che ci si rifletta su attentamente: mai come in questo periodo, anche la penna rischia di fare più vittime della spada.
Nel caso di Mancini, forse anche solo un dito.