Partiamo da una necessaria e doverosa premessa: un derby si può anche perdere, ed era ovvio che accadesse prima o poi, se non altro per mera statistica. Il problema di quella che, a tutti gli effetti, è stata una clamorosa débâcle nerazzurra, sono il modo e le modalità con cui questa sconfitta è arrivata.

L'Inter arrivava al derby di Milano da gran favorita, almeno secondo la stampa di settore salvo qualche sparuta voce contraria, per via di una maggiore qualità della rosa e di una solidità offensiva cementata dai quattro gol alla Fiorentina e dai cinque al Benevento. L'errore che si fa con l'Inter è sempre lo stesso: la si giudica sulla carta. Ma quella nerazzurra è una squadra che è sempre stata poco propensa a seguire i pronostici e a farsi guidare dalla ragione, per questo anche i giornalisti e i tifosi sono giustificati, anche se dopo tutti questi anni un minimo avrebbero dovuto iniziare a conoscerla.

La formazione iniziale, in pure stile contiano, recita un 3-4-1-2, e a questo punto uno si aspetterebbe di leggere nella posizione di trequartista quello che è il nome caldo della stampa italo-danese, ovvero Christian Eriksen, il talento di Middelfart di ritorno dalle fatiche con la sua nazionale dove ha segnato il rigore decisivo contro l'Inghilterra e il secondo dei tre gol con cui la Danske Dynamite ha piegato l'Islanda. Ma sarebbe stato troppo scontato e assai poco contiano, e così in quel ruolo viene fatto accomodare Nicolò Barella, "quello che viene dal Cagliari", come venne con notevole ingratitudine appellato dal tecnico salentino, e che invece si sta rivelando uno dei cardini non solo dell'Inter, ma della nazionale italiana per via della sua abnegazione, della sua grinta e della sua instancabile voglia di fare. La scelta che fa trasparire è chiara e lampante: di fatto sarà un 3-5-2 come al solito. E il copione si svolge esattamente in questo modo, dato che Barella si vede maggiormente a centrocampo, e se lo si vede arrivare fin quasi al limite dell'area è per via della sua volenterosità, non certo per un dettame tattico.

La difesa, rimaneggiata dalla piaga mondiale del Covid, vede il trio di difesa D'Ambrosio-De Vrij-Kolarov, un reparto che sulla carta, e certamente nella testa di Antonio Conte, dovrebbe essere granitico e insuperabile. Perché rinunciare alla difesa a tre, che dovrebbe basarsi su dei centrali laterali rapidi e difensivamente ineccepibili, per passare a una difesa a quattro con Kolarov e D'Ambrosio terzini rischiando un Ranocchia centrale? Forse il dubbio del tecnico era esattamente questo quando, in quel momento certamente si, rimpiangeva l'assenza del tanto vituperato Skriniar.

Le certezze di chi confidava, proprio come il mister nerazzurro, nella graniticità della difesa, si sgretolano come le mura di un castello subissato dai proiettili degli onagri e delle catapulte nemiche in appena sedici minuti, e a nulla varrà la rete del pur generoso Lukaku. Molti parlano di vittoria incredibile, di colpaccio Milan, di vittoria sofferta, ma va detta la verità: sono termini impropri. Non siamo dinanzi a un omicidio, ma a un suicidio pianificato fin nei minimi dettagli da quest'estate, e che lascia un'eredità in scuse e rivendicazioni alquanto imbarazzanti.

Non si può non partire da Kolarov. Dopo la disastrosa partita giocata contro la Fiorentina e la passeggiata di salute (consuetudine questa a cui pare alquanto avvezzo durante i match) contro il Benevento, il centrale di difesa di Belgrado sfodera una nuova, pessima prestazione. Conte, che tanto lo ha voluto nel suo programma che premia i vecchi giocatori d'esperienza e schifa quelli più giovani, difende a spada tratta la sua scelta dicendo che non ha sbagliato a collocarlo in quella zona di campo perché è nelle sue corde. E questo è assolutamente veritiero: per quanto Kolarov nasca terzino sinistro, dove ha giocato trecentoquattro partite, non vanno certamente dimenticate le sue trentacinque partite da centrale, e il fatto che siano di numero certamente inferiore non deve valere come scusa, che Conte, appunto, neppure accampa. Pertanto, lo si può criticare con cognizione di causa. Che Kolarov non fosse più il difensore conosciuto e apprezzato alla Lazio e al Manchester City lo si poteva iniziare a intuire dalla stagione scorsa, dove ha mostrato di essere nella sua fase calante, ma a Conte questo non interessava affatto: Kolarov è un giocatore di esperienza, e perciò doveva essere suo, se poi dovesse rendere male poco importa, tanto i soldi non li mette lui, ragionando come il bambino che, surrettiziamente, infila nel carrello dei genitori i dolci che vorrebbe ma che loro non vogliono prendergli. Ma l'obiettivo del mercato estivo era uno solo: Conte deve essere contento. E infatti è felice come una Pasqua.

Un po' meno felici sono le partite del capitano della Serbia, che mostra una totale assenza di dinamismo, un'attenzione a dir poco deficitaria ed errori che definire grossolani sarebbe un eufemismo. Un esempio lampante, per tornare al derby, è il tragicomico rigore regalato al Milan, andando giù col corpo e colpendo platealmente Ibrahimovic sotto gli occhi dell'arbitro che non può fare altro che fischiare il sacrosanto rigore, inizialmente parato da Handanovic ma ribattuto in rete dallo stesso ex del match. Nel secondo gol invece lo si vede pascolare amabilmente in area dimentico dei suoi compiti difensivi, che dovrebbero comportare una qualche sorta di opposizione alle incursioni dell'attaccante a lui più prossimo, e che infatti insacca in rete da due passi.

La critica che molti ora muovono a Conte è la seguente: "Perchè non ha utilizzato la difesa a quattro?". Una domanda certamente sensata, ma abbastanza criticabile: Ranocchia non è certo il centrale che può dare sicurezze al reparto. Proprio per questo l'errore non è a valle, in questo derby, ma a monte, quando si decise di dare retta al tecnico salentino acquistando Kolarov, cedendo in prestito Pirola e lasciando un altro anno Vanheusden allo Standard Liegi, del quale è diventato capitano e che lo ha visto tra i convocati della nazionale maggiore belga. Ma, come ripetuto l'anno scorso sino allo sfinimento da Conte, non si può chiedere di più da giocatori che vengono dal Cagliari e dal Sassuolo, ma lo si deve fare dai calciatori che edulcorando si possono definire esperti, ma più propriamente si possono definire vecchi e privi del dinamismo che un giocatore più giovane (qualcuno ha detto Hakimi?) può fornire. Pertanto, Kolarov è più che criticabile. Si sarebbe potuto comprare un difensore centrale maggiormente futuribile o maggiormente adatto al ruolo, ma le priorità del mercato di quest'estate erano altre: la felicità di Conte.
E infatti quest'ultimo, in una conferenza stampa che ha dell'incredibile, sostiene che l'Inter ha bisogno di tempo per migliorarsi, sfoderando una pazienza che stride atrocemente con le sfuriate dell'anno passato, dove a ogni sconfitta faceva seguire urla, fuoco e fiamme, recriminazioni sulla rosa non all'altezza, sulla mancanza di giocatori d'esperienza, sui troppi ragazzi giovani e così via discorrendo, anzi, urlando. Ma del resto per lui sarebbe ipocrita lamentarsi ora, dopo che è stato accontentato in tutto e per tutto quest'estate, demolendo un progetto di lungo periodo per fargli tentare il suo egocentrico all-in per poter andare in conferenza stampa a dire che è stato lui a interrompere la scia di vittorie della Juventus in Italia. Al momento l'unica cosa che è riuscito a interrompere sono i risultati utili contro il Milan. Qualcuno potrebbe obiettare che anche questi sono traguardi, ed effettivamente avrebbe ragione.

La serafica calma con cui irride chi non la pensa come lui poi, sebbene fatta non con uno stile urlato più nelle sue corde, ma con un'arte più sottile, quella della battutina lesta, del sogghigno di chi vuole avere ragione a tutti i costi anche nel torto, si palesa quando si rivolge a chi gli domanda sempre di inserire un trequartista che però "sbilancia la squadra", de facto sparando a zero su Eriksen e sui suoi sostenitori. Purtroppo per Conte, anche questa è una sparata facilmente e celermente analizzabile. Egli ha schierato sovente la sua Inter col 3-5-2, di fatto un 5-3-2 tanto sono bassi gli esterni, ed Eriksen ha sempre giocato molto arretrato, quasi da centrocampista centrale, ruolo in cui non si trova palesemente a suo agio, ha giocato nove miseri minuti contro il Benevento mentre nel derby è stato fatto entrare al sessantottesimo, quando la squadra era già sotto due a uno. Barella, oggi chiamato a svolgere le mansioni, sulla carta, di trequartista, ha giocato comunque da centrocampista centrale, mostrando quello che è il vero limite di Conte: il non sapersi schiodare dal suo natio 3-5-2 difensivo fino in fondo. Un trequartista non è certo un giocatore che va a prendersi la palla davanti alla difesa per poi far partire il gioco, quello è un compito che spetta al ruolo opposto al suo, che poi è il preferito di Conte: il medianaccio vecchio stile, quello che troneggia davanti alla difesa a fungere da frangiflutti. Il trequartista è il giocatore con maggiore estro nella squadra, deve essere libero di svariare su tutto il versante offensivo libero da compiti difensivi, deve essere capace di saper leggere il movimento dei difensori per far passare proprio lì il pallone, e non intuire come bloccare il centrocampista offensivo ai limiti dell'area di rigore, come lo si è visto sul finire del derby. Vedere poi Lukaku sul cerchio di centrocampo tenere il pallone e cercare di impostarlo davanti, con Eriksen posizionato ancora nella metacampo nerazzurra, quando dovrebbe essere lui a ricevere i palloni dai centrocampisti, è stato uno spettacolo abbastanza avvilente.
Ma le regole sono chiare: Conte deve essere contento, e così può tranquillamente far passare Barella come trequartista e far vedere Eriksen passare dal centrocampo alla fascia sinistra in un ripiegamento da terzino, al mediano, come in un flipper impazzito che però ha visto lui nel ruolo della pallina e mandandolo nel pallone.

L'ipocrita pazienza che lui chiede ora a gran voce, quasi supplice, per la ricerca di fantomatici "equilibri di gioco", cosa che sarebbe comprensibile solo nel caso di cambi di modulo che mai ha osato fare, è la classica scusa dello studente che deve consegnare un compito chiedendo i due minuti alla professoressa che ha già la mano protesa verso il compito. La sua ossessiva ricerca dell'esperienza, che avrebbe dovuto proiettare l'Inter in alto e liberarla da pessime prestazioni, paure e incertezze, mostra in realtà una faccia diversa e molto più oscura. La difesa dell'Inter, che l'anno scorso subì solo trentasei gol, al momento ne conta già otto: due gol subiti di media a partita. Decisamente troppi, in un campionato come quello della Serie A dove spesso vince chi ha la migliore difesa. La presenza di Kolarov e Vidal, anziché fornire sicuri punti di riferimento, non pare sortire gli effetti sperati, anzi se possibile demolisce quella che forse era l'unica vera certezza della squadra dell'anno scorso assieme ai gol di Lukaku. E anche l'accenno agli esterni troppo offensivi che sbilanciano la squadra, cosa che sarebbe normale in un 3-5-2 normalmente inteso, mostra tutti i limiti tattici di Conte, che invece chiede alle ali di retrocedere il più possibile: come, per l'appunto, in un 5-3-2. Il centrocampo granitico dello scorso anno, in grado di fare filtro, viene costantemente annichilito anche in condizioni di superiorità numerica, non riuscendo a creare azioni convincenti e che anzi in certi frangenti ricorda quello di spallettiana memoria, quello dell'assenza di idee, del centrocampista che varca la linea di centrocampo e non sa che fare del pallone, dell'azione estemporanea, dell'improvvisazione, del lancio lungo. Tutte immagini terrificanti e che i tifosi nerazzurri speravano di aver finalmente rimosso.

Insomma, l'Inter che con la spinta dell'esperienza avrebbe dovuto mostrare sicurezze e risultati sta facendo vedere tutto il peggio che può sfoggiare, e a questo punto tutte quelle incertezze che si sarebbero potute perdonare a una rosa puntellata da giocatori giovani e futuribili diventano decisamente gravi e inescusabili, e il rischio che l'all-in si trasformi in un deleterio e clamoroso all-out è quantomai possibile. 
Ma tanto a lui dell'eventuale futuribilità poco importa, a lui interessa schierare solo giocatori over trenta. Così è contento.

Conte deve ringraziare che in questo momento, per via del terribile virus che sta flagellando il mondo, ci sono solo mille spettatori al Meazza a poter eventualmente fischiare, e non tutto lo stadio: nel riconoscere un'Inter perdente e senza prospettive loro hanno più esperienza di quella che lui ha ossessivamente cercato nella sessione di mercato estivo.