L'Inter, semmai ci fosse bisogno di ricordarlo, è una squadra pazza. Una squadra capace di tutto, in qualsiasi momento dell'anno, e proprio per questo è difficilmente prevedibile per gli addetti ai lavori. Però perfino per i tifosi, che conoscono talmente bene la squadra da saper prevedere quando sta per iniziare un periodo di crisi o quando invece tirare un sospiro di sollievo, gli avvenimenti dell'ultimo periodo sono stati quasi indecifrabili e hanno messo a dura prova le loro facoltà mentali.

In un solo mese, si sa, possono cambiare molte cose: possono nascere amori e possono spegnersene altri; possono viversi avventure favolose per poi ritornare nuovamente alla ordinaria vita di tutti i giorni; o, come ci insegna la storia, si può passare dalla Belle Epoque allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L'Inter ai nastri di partenza di febbraio vedeva ancora una squadra in crisi, con in attacco il suo capitano Mauro Icardi, mentre Marotta iniziava a mostrare i primi segnali di intransigenza vero determinati giocatori che potevano certamente dare di più. Ma, proprio come nella Belle Epoque, i conflitti grossi erano anche quelli più sotterranei, più nascosti agli occhi dei popoli, e questo allo stesso tempo è un male ed un bene: è un male perchè i rapporti tesi tra gli stati possono degenerare in un nanosecondo, esattamente come per i giocatori di uno spogliatoio che in molti casi sono schierati proprio per regione geografica; ma è un bene perché i conflitti sotterranei debbono lasciare il posto a una facciata di pace e di concordia, per non turbare il popolo o per non permettere di farsi soverchiare da altri stati, e così anche in una squadra di calcio, per non attirare attenzioni mediatiche indesiderate o per non surriscaldare troppo gli animi dei tifosi, è necessario far restare i dissapori all'interno dello spogliatoio.

Fare scoppiare una guerra, paradossalmente, è più facile di riuscire a concluderne una, perché basta anche solo una piccola miccia, oppure tanti atti apparentemente innocui, per non parlare di un atto eclatante, per scatenare un conflitto di larga scala che sfugge ad ogni controllo coinvolgendo tutta la nazione interessata. All'Inter, che notoriamente non si fa mai mancare nulla, sono accadute tutte e tre insieme.

La piccola miccia è rappresentata dai dissapori interni allo spogliatoio. I tempi del gruppo coeso della felice parentesi mourinhana che portò al triplete nel 2010, che pure vedeva dei clan grossi ma ben definibili, hanno lasciato il posto a quelli moderni, che invece paiono più una serie di microgruppetti sovente in lotta come le città stato dell'antichità. Quali siano gli appartenenti ai gruppi non è dato saperlo, ed è certamente un bene, ma potrebbe sorgere un'altra domanda: sono davvero così micro, questi gruppi? O, a contrario, vi è un macroblocco ostacolato da qualche elemento di disturbo? Il quesito è solo apparentemente facile.

I tanti atti in serie sono state le numerose interviste ed attacchi che la moglie-procuratrice di Icardi, Wanda Nara, ha rilasciato ai giornali o in televisione, e non si è certo trattenuta, dato che con la disinvoltura della showgirl veterana ha saputo intrattenere i giornalisti con teorie succose (Perisic che vuole andare via forse per motivazioni personali), con avvertimenti di natura tecnico-tattica a Spalletti (far giocare insieme Icardi e Lautaro Martinez sfruttando la loro amicizia e la non rivalità tra i due), e perché no, dimostrazioni di forza (Icardi può far spostare chi vuole via dall'Inter). Prese singolarmente, non sono molto dissimili dalle boutade oppure dalle sparate a cui molti procuratori esperti hanno fatto ricorso nel tempo, come Mino Raiola, o Kia Joorabchian. Ma se prese tutte assieme, nell'arco di un anno, allora ecco che il loro peso diventa molto più influente e problematico. Soprattutto perchè vanno ad attaccare spogliatoio, allenatore e dirigenza, ovvero quelli che sono i gangli vivi e vitali di una squadra di calcio.

A questi gesti è poi seguito l'atto eclatante, che ha visto la società prendere posizione e togliere la fascia di capitano ad Icardi, che ha reagito nel modo professionalmente meno corretto, ovvero quello di rifiutare la convocazione per la delicata partita di Europa League con il Rapid Vienna. Un gesto che ha avuto lo stesso impatto che ebbe, il 28 giugno 1914, l'assassinio dell'Arciduca Francesco Ferdinando e della di lui consorte ad opera dell'anarchico Gavrilo Princip: ovvero l'inizio di una guerra.

Subito gli schieramenti si sono dispiegati: Wanda Nara ha inizialmente aumentato il volume di fuoco mediatico in difesa del marito-assistito; la società ha definito la scelta come necessaria per il bene del team; nello spogliatoio Brozovic si è esposto decisamente più di molti altri, mettendo dei like sulla notizie che parlavano dell'avvicendamento della fascia di capitano. Le guerre moderne si combattono anche così. E proprio come in occasione della Prima Guerra Mondiale tutti erano convinti che il conflitto sarebbe finito verso Natale, o al più Pasqua dell'anno successivo: Wanda Nara probabilmente pensava che con qualche dichiarazione caustica tutto sarebbe ritornato nei ranghi, ed anzi la posizione di Icardi ne sarebbe uscita ancor più rafforzata; la società ha pensato che con una misura come quella il calciatore sarebbe tornato a più miti consigli (seocndo quella che è la teoria maggioritaria), oppure in questo modo avrebbe inibito le sparate della procuratrice; lo spogliatoio forse pensava che in questo modo sarebbe ritornata la pace e una maggiore coesione nel gruppo. Gli esterni, intanto, davano già l'Inter per finita, senza il suo bomber a salvarla.

Ma l'Inter non è imbrigliabile in logiche ferree o casistiche comprovate. E lo ha dimostrato superando il turno di Europa League nella doppia sfida col Rapid Vienna e sconfiggendo la Sampdoria, sfide tutt'altro che facili anche solo psicologicamente. E lo ha fatto sfoderando un qualcosa che poche volte si è visto questa stagione: un gruppo coeso. Perfino giocatori come Perisic e Nainggolan, pungolati dalla società e scaricati dai tifosi, si sono trasformati in trascinatori ed in mattatori, inanellando ottime prestazioni e sospingendo la squadra, che ha trovato in Lautaro Martinez proprio quel che serviva alla manovra, ovvero un attaccante moderno, in grado di tornare anche sino a centrocampo per cercare di recuperare palloni preziosi e dare una mano in fase di rifinitura. 

La partita con la Fiorentina ha rappresentato un ulteriore step in avanti per i nerazzurri. Nonostante si sia passati dal 3-1 al 3-3 in modi abbastanza discutibili, va ricordato come la Fiorentina sia una squadra che non molla mai, e che rappresenta un cliente scomodissimo per molti, come l'Atalanta ha realizzato nella sfida di Coppa Italia della serata appena trascorsa, una squadra che vede in Chiesa un giocatore dal potenziale immenso, al netto di qualche pecca caratteriale, e in Muriel l'attaccante che spesso è mancato a questa squadra, e che ha siglato un gol magistrale su punizione proprio nella scorsa partita di campionato che, di fatto, ha riaperto i giochi. Si può parlare di una squadra che si fa rimontare due gol dalla Fiorentina, si può anche affermare che l'arbitro Abisso ha svolto in modo pessimo il suo ruolo di direttore di gara, ma togliere del tutto i meriti all'Inter per la gara disputata significherebbe sminuire una prestazione importante, che stava per consegnare i tre punti in un campo a dir poco pesante.

Ed è proprio in seguito al rocambolesco risultato che, proprio come nella Prima Guerra Mondiale, si è impiegato per la prima volta un mezzo mai visto: il carro armato, o, nel caso dell'Inter, l'attacco di Marotta verso l'arbitro. Una protesta affatto contenuta nei toni, ma anzi veemente, dura, accorata. Un qualcosa che nessuno si sarebbe mai aspettato dall'Inter e forse da Marotta stesso. A chi, tra tifosi e addetti ai lavori, denunciava una politica societaria inesistente basata sulla eccessiva passività, il neoamministratore delegato ha risposto colpo su colpo, come un carro armato, con una offensiva totale che ha portato alla sospensione dell'arbitro Abisso, non certo impeccabile nè nella partita contro la Fiorentina nè in altre (Milan-Spal ne è un esempio lampante).

Anche in questo caso, le scuole di pensiero differiscono: c'è chi ha giudicato eccessivo l'intervento di Marotta, che con toni sensazionalistici ha quasi dato la colpa all'arbitro di una eventuale futura mancata qualificazione dell'Inter per la prossima Champions League; e c'è chi ha lodato questo interventismo, per garantire protezione alla società nerazzurra da quello che è stato visto come un torto gravissimo e che di fatto ha condizionato la gara. La verità sta nel mezzo, e dipende da che parte si guardano gli avvenimenti. Per il tifoso è facile parlare di tutto quel che vuole senza incappare in sanzioni di sorta, e può pertanto usare dei toni anche pesanti o importanti senza conseguenze, così come è vero che lamentarsi per un qualcosa che è già successo, e che per pertanto per sua natura è immodificabile, ha poco senso. Ma per un dirigente è diverso: è stipendiato dalla società, e pertanto deve fare tutto quel che è in suo potere per difenderla usando i toni ed i mezzi più congeniali e leciti.

Giusti o sbagliati che siano i modi, l'Inter inizia ad alzare la voce, e mostra un gruppo che adesso pare veramente unito e pronto a marciare verso gli obiettivi stagionali. Ma si è appena alle porte di marzo, e il campionato è ancora lungo. Si è entrati nella fase della guerra di trincea: tutti uniti a combattere per pochi metri di terreno. Allo stesso modo l'Inter ora deve lottare per ottenere i punti necessari per la qualificazione Champions, poco alla volta, senza strafare o perdere la bussola, ma con determinazione ed accortezza.

"L'attacco migliore è quello che non fa capire dove difendersi. La difesa migliore è quella che non fa capire dove attaccare", diceva Sun Tzu. Sarebbe stato anche un grande allenatore.