La stagione calcistica 2019/20 si è finalmente conclusa, dopo un lunghissimo tribolare che la consacrerà alla storia non tanto per i risultati sportivi quanto per l'orrida piaga del Covid-19, che ha mietuto, miete e purtroppo continuerà a mietere vittime in tutto il mondo. Tuttavia, come cantavano i Queen in un loro grandissimo successo del 1991, "the show must go on", e così il campionato e le coppe europee sono state giocate fino alla fine. C'è chi ha avuto da gioire, come la Juventus che ha messo in bacheca l'ennesimo scudetto che la fa arrivare a un passo dai dieci scudetti consecutivi, o il Bayern Monaco, che con una cavalcata da record si è aggiudicato la Champions League ai danni del PSG, o come l'Atalanta, che ha saputo caricarsi di entusiasmo prima e di determinazione poi quando c'era da far tornare a sorridere una città come Bergamo, le cui immagini con le bare portate via dall'Esercito sono ancora un ricordo vivido e straziante. E c'è chi ha avuto sportivamente parlando ben poco da gioire, come Antonio Conte.

L'uomo della provvidenza nerazzurra, come è stato battezzato da molti addetti ai lavori e tifosi all'inizio della sua esperienza al timone della nave interista, è diventato ben presto l'uomo del chiacchiericcio spicciolo, della lamentela facile, delle pretese ai limiti dell'imbarazzo, dei diktat di stampo postbellico. Ma perché tutta questa acredine da parte sua? L'Antonio nazionale non ha mai fatto mistero di essere un allenatore che ha sempre creduto molto in sé stesso e nei suoi mezzi, spesso esibendosi in lodi sperticate nei confronti della sua stessa persona e incensandosi a discapito dei giocatori che sovente, a suo dire, ha spesso difeso. Affermazioni queste, purtroppo, smentite da dichiarazioni spesso e volentieri ingenerose: non sono certo cadute nell'oblio esternazioni come "A chi dobbiamo chiedere qualcosa in più? A Nicolò Barella che arriva dal Cagliari? A Sensi, acquistato dal Sassuolo?" in seguito alla sconfitta contro il Borussia Dortmund; oppure il suo "Non stiamo comprando mica mezzo Real Madrid", dimenticandosi che Moses e Ashley Young sono stati voluti da lui e che sarebbe arrivato un incompreso Eriksen, relegato in panchina da una rivedibile gestione tecnico-tattica del ct salentino. Per completare il tutto poi vi è stato l'attacco alla società nerazzurra, rea di non aver difeso la squadra (da chi? da lui o dai giornalisti?) e lui stesso dalle critiche a suo dire feroci ricevute da ogni dove. Il diritto di critica, come sempre, è un qualcosa che dà molto fastidio a chi la critica la subisce, e poco importa se costruttiva o distruttiva.

Non che Conte non avesse motivo di lamentarsi per certi accadimenti: l'episodio del proiettile recapitato alla sede dell'Inter e rivolto a lui assieme a delle minacce allegate è stato un gesto esecrabile e assolutamente da condannare, in quanto barbaro, orrendo e inammissibile in una società civile fondata su dei sani valori, e censurabile anche nell'ambiente sportivo, un qualcosa che farebbe rivoltare nella tomba Pierre de Coubertin. A parte questo gesto, i motivi per Conte di lamentarsi terminano qui.

Nonostante certe dichiarazioni di Conte possano far pensare il contrario, non è stato costretto all'isolamento per anni per poi trasportato dentro un furgone blindato dentro la sede dell'Inter dove ha preso conoscenza per la prima volta delle mancanze del suo futuro organico: la situazione in cui la rosa dell'Inter versava era nota a tutti, sia addetti ai lavori che semplici tifosi, tanto da lamentarsi più avanti nella stagione di aver ricevuto un "pacchetto preconfezionato". Un qualcosa di cui potrebbe lamentarsi ogni allenatore alla sua prima esperienza in una panchina, e sarebbe anche giusto come ragionamento nel caso di un allenatore subentrato a stagione in corso, ma queste critiche suonarono come profondamente ingiuste e irrispettose nei confronti di una società che per lui ha fatto i salti mortali per poter garantire un mercato di livello, che registrerà il giocatore più costoso della storia del club come Romelu Lukaku, due promettenti centrocampisti come Barella e Sensi, l'esterno Lazaro e il prestito di Sanchez, oltre al già acquistato Godin e a Bastoni di ritorno dal prestito al Parma. Un mercato, per gli appassionati delle cifre, costato poco più di 190 milioni di euro e che rappresenta il massimo sforzo economico di una dirigenza attenta ai costi come quella cinese.

Tuttavia, si sa, Conte non è uno che si rassegna facilmente, e così ha scelto di lamentarsi per il mercato privo di giocatori di esperienza internazionale. Dimenticandosi forse della presenza già in rosa di giocatori e di personalità quali Handanovic, De Vrij o Brozovic, ha mostrato e continua a mostrare quello che è il suo peccato mortale: la sua perenne mancanza di visione futura. Cosa si intende di preciso? Presto detto.

Per un'azienda la progettualità è un qualcosa di molto importante, poiché detta quello che sarà il suo modo di muoversi, di agire, di proiettare sé stessa non tanto nell'immediato presente quanto in ottica potenziale e in un futuro lontano, ed è quel che rende un'azienda vincente. L'obiettivo della proprietà cinese nerazzurra è proprio quello di costruire una squadra giovane e che, conoscendosi sempre meglio, possano trascinare la squadra ai trionfi nei successivi anni a venire per poter rimanere nelle posizioni di vertice in Italia e in Europa per diversi anni. Ma al tecnico salentino, e non è certo una novità, i progetti di lungo periodo non sono mai piaciuti. A lui non piace rimanere in una panchina per più di tre anni, figuriamoci immaginare quale potrebbe essere la rosa dell'Inter tra un sei-sette anni. Lui è uno che vuole vincere subito per saziare il suo ingombrante ego, un qualcosa di cui la società interista si è resa immediatamente conto, e perciò considera un progetto come questo qualcosa su cui sputare sopra.

Eppure questi tanto vituperati giocatori senza esperienza non si sono dimostrati poi tanto male:  - Lautaro Martinez, che ha dovuto subire una campagna mediatica aggressiva e sfrontata per via della potenziale trattativa con il Barcelona, ha totalizzato uno score complessivo di 21 reti in stagione, impreziosite da 7 assist e da un'intesa non indifferente con Lukaku; - Barella, il tanto criticato Barella "che viene dal Cagliari", ha chiuso la stagione come uno dei giovani calciatori migliori sulla scena internazionale, fornendo prestazioni importanti a centrocampo, unendo piedi educatissimi alla grinta tipica del centrocampista difensivo di rottura ma che non ha paura di far ripartire l'azione, e basando tutto sulla generosità, sull'abnegazione e volenterosità tipiche di un popolo come quello sardo, che a testa bassa e con orgoglio lavora con costanza e serietà anche quando viene preso a pesci in faccia e sbeffeggiato; - Sensi, il giocatore "che viene dal Sassuolo", prima che iniziasse il suo personale calvario dovuto agli infortuni, era riuscito a totalizzare tre gol e quattro assist, e ha stupito positivamente il suo impatto con una realtà critica ed esigente come quella della piazza nerazzurra, dettando i tempi della manovra e facendosi notare per giocate di rara pregevolezza, non comuni in un centrocampo come quello nerazzurro di eredità spallettiana che di certo non brillava per qualità del gioco espresso; - Bastoni si è rivelato una delle sorprese difensive del nostro campionato, e al netto della perdonabile irruenza di chi vuole dimostrare tanto a tutto l'ambiente che ha creduto in lui, ha fornito prestazioni del tutto positive scalzando Skriniar e Godin dalle gerarchie.

Quattro giocatori che si sono rivelati importanti sia per il presente che per il futuro della società nerazzurra, ma ovviamente per Conte quello della giovane età è visto come una macchia terribile, un orrendo bubbone da estirpare, e lo ha dimostrato in sede di mercato, con Tonali dapprima in pugno e invece prossimo a dirigersi verso la sponda rossonera di Milano. Il tutto per arrivare a pallini del tecnico come Kolarov e Vidal, oltre ai nomi di Caceres e Mandzukic prontamente smentiti dalla stampa sportiva. Kolarov, il giocatore che aveva criticato a più riprese i suoi compagni di squadra e i suoi stessi tifosi esibendosi in gesti e parole non ripetibili, è ormai prossimo alle trentacinque primavere e ha mostrato in questa stagione di essere in fase calante. Fare uno sforzo economico importante a livello di ingaggio, oltre a sacrificare Vergani, sembra un'operazione scellerata quanto quella che portò a Milano Nainggolan sacrificando Zaniolo. A proposito del centrocampista centrale belga, stupisce come pare si voglia puntare su Vidal, la cui riprovevole condotta extracalcistica è stata spesso e volenteri sotto le luci dei riflettori, che però presenta le stesse problematiche per le quali è stato allontanato il Ninja. Un discorso della serie "lo conosco, lo farò stare buono io" stavolta non attaccherà, visto il fallimento dello stesso proposito da parte di Spalletti.

Lasciare andare un giocatore come Tonali, futura colonna del centrocampo italiano di cui potrebbero far parte anche Barella e Sensi, è un qualcosa di talmente sconsiderato e miope da lasciare interdetti, così come lascia ulteriormente interdetti la posizione della società nerazzurra che preferisce sacrificare un futuro radioso e che potrebbe portare anni di successi, per puntare a tutti i costi su giocatori over 30 che non possono garantire certo una decina di stagioni da disputare per poter trascinare i nerazzurri negli anni futuri. Si è forse tornati ai tempi degli all-in di morattiana memoria, quelli delle faraoniche campagne acquisti votate al tutto e subito e che portarono solo alla ormai leggendaria Coppa Uefa del 1998 vinta dal mai abbastanza compianto Luigi Simoni, ignorando colpevolmente il fatto che l'Inter vincente è stata costruita col graduale crearsi di un gruppo consolidato, programmato per vincere in futuro, qualcosa che è stato fatto in seguito con Mancini e Mourinho? Si sta assistendo a un allenatore che può decidere cosa dire senza limiti e senza remore, a cui tutto è permesso quasi fosse un sultano nel suo regno, e che può condizionare a piacimento dei piani a lungo termine per soddisfare la sua smania di successo personale fregandosene beatamente del pensiero che, anche una volta andato via lui, ci sarà un'Inter da far scendere in campo e con dei giocatori all'ultima stagione della loro carriera.

Solo che quest'anno ci sarà una differenza non da poco: visto quanto vuole comandare, stavolta a Conte non saranno perdonati passi falsi. Se vuole sacrificare il futuro, deve dimostrare di poter garantire dei successi immediati in campo europeo e italiano, dove per immediati si intende in questa stagione che sta per aprire i battenti. Se Conte non ha pazienza, che non ne abbiano nemmeno i tifosi e la società. Che si veda per una volta l'all-in del coach, senza ritirarsi dal tavolo: che lo si costringa a far vedere le sue carte, per mostrare se in mano ha una scala reale o una misera coppia. Troppo facile berciare contro tutto e tutti: mostri di saper vincere anche nei fatti, non solo a parole. Se valessero quelle, l'Inter quest'anno avrebbe fatto il triplete.