Nel corso della storia sono esistiti diversi personaggi che hanno saputo risollevare le sorti di una battaglia, di una guerra, di una nazione, non solo con le parole, ma anche con i fatti.
Indimenticabili in questo senso, furono le figure del romano Lucio Quinzio Cincinnato e del generale corso Napoleone Bonaparte: il primo venne investito della carica di dittatore per salvare Roma da un momento di grave crisi all'epoca delle guerre contro gli Equi e i Volsci, riuscendo nell'intento di salvare i consoli sotto assedio e in difficoltà con una rigida quanto tempestiva organizzazione militare; il secondo invece riuscì con successo a motivare un manipolo di soldati sul piede della rivolta per via della mancanza di cibo e paga, portandoli al successo nella vittoriosa Campagna d'Italia che culminerà con il trattato di Campoformio del 1797, la vittoria francese e la fine dell'indipendenza della Repubblica di Venezia.

Passando a vicende che ci riguardano più da vicino, nella prima guerra mondiale il nostro paese si trovò ben presto in una situazione critica: la guerra contro le forze austro-ungariche e tedesche si fece sempre più dura, sino a culminare nella tristemente famosa disfatta di Caporetto del 1917, che portò alla sostituzione del generale Cadorna.

Tracciando un parallelismo ovviamente iperbolico, anche l'Inter in queste ultime stagioni si è trovata in una sorta di guerra, non solo contro nemici esterni, ma anche interni. Proprio come Cadorna, anche Ausilio, ritrovatosi a capo delle sorti nerazzurre, ha cercato di combattere la sua battaglia, dovendosi districare tra estenuanti rinnovi di contratto e i malumori della piazza. Non sono certo pochi, infatti, coloro che dal dirigente nerazzurro si aspettavano di più: migliori acquisti, maggior polso e anche una maggiore riservatezza in merito alle questioni interne del club. Tuttavia, mente Cadorna era un generale considerato tra i migliori della sua epoca, Ausilio non è mai stato formato per un ruolo così importante. Più portato allo scouting e ad essere un uomo di penna più che di spada nelle vesti di direttore sportivo, il dirigente milanese si è ritrovato a gestire le umoralità di una piazza difficile quale quella interista con il massimo che poteva fare, in completa solitudine, privo di un compagno di reparto o di una figura a lui gerarchicamente superiore che potesse coadiuvarlo ed indirizzarlo, soprattutto nella difficilissima parentesi di interregno thohiriana.
Insomma, per dirla con un gioco di parole, Ausilio necessitava disperatamente di ausilio, proprio come l'esercito italiano, demoralizzato e ridotto ai minimi termini in seguito alle undici battaglie dell'Isonzo e a Caporetto. In entrambi i casi, serviva una svolta dall'alto. Ed è proprio quel che accadde.
In seguito alla sconfitta di Caporetto, cadde il governo Boselli, che si ricostituì con la nomina di Vittorio Emanuele Orlando, che immediatamente cercò di tentare il tutto per tutto per salvare la guerra. Allo stesso modo, all'Inter si verificò la cessione del club dalle mani indonesiane di Thohir a quelle cinesi del magnate Zhang Jindong, che, dopo un iniziale periodo di studio della dirigenza nerazzurra cercò di aiutare affiancando, seppure da mero consulente esterno, la figura di Sabatini ad Ausilio, si rese conto che andava fatto un qualcosa di più incisivo, per risolvere il caos in società. Insomma, in entrambi i casi non restava che una sola cosa da fare: nominare un nuovo Comandante Supremo

Ed entrano qui in gioco le figure di Armando Diaz e di Giuseppe Marotta. Entrambi hanno fatto una notevole gavetta prima di arrivare al loro ruolo di comando: il primo combattendo ai tempi della guerra tra Italia e Turchia e e nella guerra che sarebbe poi passata alla storia come Prima Guerra Mondiale; il secondo formandosi come dirigente dapprima con Venezia ed Atalanta, ed in seguito con Sampdoria e, soprattutto, Juventus. Curriculum di tutto rispetto per entrambi, forgiati da anni di battaglie e che ora venivano investiti di nuovi compiti: nel caso di Diaz, di salvare l'Italia da capo di Stato maggiore dell'esercito italiano; nel caso di Marotta, di amministratore delegato dell'Inter. Nessuno dei due ha perso tempo, dato che, come sempre accade in guerra, il tempo è poco e le responsabilità enormi.

Il primo passo necessario era la riforma dell'esercito, o dei dirigenti, a seconda della fazione su cui si butta l'occhio. Proprio come Armando Diaz rivoluzionò l'organigramma dell'esercito affidandosi ad una migliore distribuzione dei compiti ed avvalendosi di coordinatori, Marotta ha immediatamente cercato di stabilire una leadership forte, cercando di coadiuvare e dirigere Ausilio nello svolgimento dei suoi compiti, portando quella che all'Inter era una figura assente da tempo immemore, o che forse anzi non ha mai avuto. Infatti, sebbene in epoca morattiana si sia avuta, tra le tante, la figura di Ernesto Paolillo come amministratore delegato, di fatto la figura del presidente sovrastava ogni ruolo, come un monarca orientale, dato che Moratti decideva chi comprare, come gestire il club, i rapporti con la stampa e le esternazioni pubbliche in pressochè totale autonomia, cosa che ha portato a grandi successi, ma anche a grandi fallimenti di cui ancora oggi l'Inter paga dazio, e che porta il nome di Settlement Agreement, consequenziale alla disastrosa situazione economica nerazzurra, che in anni di spese folli senza alcuna gestione di lungo periodo è peggiorata stagione dopo stagione.

L'arrivo di Marotta ha portato ad una immediata separazione dei ruoli: Alessandro Antonello diviene responsabile per le attività aziendali; Ausilio torna ad essere dirigente sportivo e responsabile dell'area tecnica; e Zanetti mantiene la posizione di vicepresidente. Finalmente, all'Inter non esiste più un uomo solo al comando, come poteva essere Galliani nell'ultimo periodo della presidenza Berlusconi, ma un network pulsante e interconnesso, in modo da liberare Ausilio da compiti di più marcata gestione dello spogliatoio e dei contratti, e veicolarlo verso il più congeniale ruolo di supervisore del mercato.

Il secondo passo era il miglioramento delle comunicazioni: un esercito privo di ordini precisi e tempestivi, lasciato a se stesso, è destinato alla sconfitta, e questo Diaz lo sapeva bene, e proprio per questo migliorò il servizio informativo, affidandosi a molteplici ufficiali di collegamento che potessero, appunto, informare il generale su tutto quel che stava accadendo sul fronte. Ma se nel 1917-18 il servizio di informazione poteva contare su sistemi ancora rudimentali e certamente meno efficienti, nel 2018-19, ben cento anni dopo, i mezzi a disposizione sono ben diversi e soprattutto maggiormente influenti. L'avvento di Internet, della stampa sportiva specializzata e dei tifosi divenuti sempre più parte attiva nella vita di un club grazie ai social network, ha portato ad una evoluzione dei modi con cui una società comunica col mondo esterno. Passati dalla comunicazione morattiana, diretta e spesso senza diplomazia come quella che solo un vero tifoso può permettersi, a quella thohiriana, basata sul silenzio e sulla totale noncuranza, lasciata nelle mani di un Ausilio che spesso e volentieri parlava coi giornalisti delle questioni del club quasi fossero aneddoti di vita familiare, senza alcun filtro o riservatezza, si è passati alla gestione marottiana. Quest'ultima si preannuncia molto semplice nei modi, sebbene servirà ancora del tempo perchè venga interiorizzata: i fatti del club devono restare all'interno del club, e deve essere il club a decidere cosa fare uscire e cosa no, che sia per tranquillizzare i tifosi o per sviare la stampa. Forte della sua esperienza alla Juventus, società notoriamente e storicamente riservata e blindata e con una cura maniacale in questo settore, Marotta vuole proprio riproporre questi canoni all'interno di una società come quella nerazzurra, storicamente e notoriamente trasparente e cristallina, il che costituisce un danno non solo di immagine, ma anche in sede di calciomercato. Le fughe di notizie devono cessare, questo è il mantra e questo è l'obiettivo dichiarato. Allo stesso modo, l'uso dei social network da parte dei calciatori e dei familiari o procuratori, o di entrambe le cose nel caso di Wanda Nara, vuole essere regolamentato per evitare scivoloni mediatici, o creare malcontento tra i tifosi per via di questioni che, per la loro natura, non devono riguardarli.

Il terzo passo è la gestione dei soldati, che Diaz potenziò con un migliore addestramento, migliore alimentazione e la redazione dei giornali di trincea, che servivano a tirare su di morale il soldato al fronte, il tutto senza rinunciare ovviamente alla severità, necessaria in un esercito. Marotta, allo stesso modo, ha dovuto toccare con mano la realtà nerazzurra in fatto di relazioni tra giocatori e società. Proprio come ai tempi di Cadorna si verificarono atti di viltà diffusi e malcontento, anche il dirigente varesino ha dovuto vedere quel che Ausilio ha dovuto vivere in queste ultime stagioni: giocatori sfiduciati, con scarsa autostima, rinnovi di contratto che si rivelavano spesso dei veri e propri ricatti da parte dei giocatori nei confronti del club e così via. Il rinnovo di Icardi, che ogni anno diveniva un appuntamento imperdibile per gli amanti del gossip, è stato trattato nella maniera più sotterranea possibile, rinunciando alla mediaticità in favore della fermezza delle posizioni del club, e che hanno portato giocatore e moglie-procuratrice al graduale abbassamento dei toni, per proseguire la trattativa laddove deve svolgersi, ovvero in privato. La vicenda Perisic, che ha ormai dichiarato chiusa la sua esperienza all'Inter, ha portato alla sua esclusione dai titolari e ad una, più o meno pubblica, dichiarazione di intenti confermata dalla società, e come lui molti altri giocatori pare abbiano richiesto la cessione, forse proprio per l'inasprirsi della severità in quel di Milano. Perchè in un club importante come l'Inter, indossarne la maglia deve essere un onore, così come contribuire agli obiettivi del club, e non solo perseguire i propri personali. A chi non vuole restare, in parole povere, Marotta sta indicando la porta, e non quella nel rettangolo verde.

Nel caso del comandante Diaz, le sue progressiste riforme portarono alla reazione dell'esercito italiano, che culminerà con la vittoria nella battaglia di Vittorio Veneto fino a Trento e Trieste, il che portò all'armistizio di Villa Giusti e alla fine della guerra. Per Marotta invece, il percorso è appena iniziato, ma sembra essere incanalato nei giusti binari e, se verrà perfettamente coadiuvato nei suoi obiettivi, potrà portare ad una Inter forte e duratura nel tempo.

E chissà, forse proprio come Diaz, anche Marotta verrà insignito del titolo di Duca della Vittoria dai tifosi interisti. Che però non dovranno mettere fretta: quest'ultima è sempre cattiva consigliera. Neppure Roma è stata costruita in un giorno, come recita il famoso detto, oltre che una canzone dei Morcheeba. Sicuramente, da romano autentico, ne converrebbe anche Cincinnato.