Per chi segue l'Inter assiduamente e con costanza, partite come quella di ieri non sono certo una novità. Lo si potrebbe definire un marchio dell'interismo, un qualcosa di talmente riconoscibile che solo chi conosce bene questa squadra nella sua anima e nella sua interezza intrinseca può realizzare prima che effettivamente avvengano i fatti. Una sorta di preveggenza a tinte nerazzurre. Ma sarebbe ammantare di magico e di mistico un qualcosa che proprio non appartiene a quel mondo immaginario, e che invece racchiude la quintessenza della squadra nerazzurra di questi anni: la prevedibilità.

Lo spettacolo offerto dalla banda plasmata, scelta e difesa da Antonio Conte è stato talmente avvilente da meritare diversi record di squadra, quelli che parlano più chiaro di mille vacui proclami e sparate sulla presunta "crescita esponenziale" della compagine nerazzurra da lui guidata. Mai nella sua storia l'Inter aveva mancato la vittoria nelle prime quattro partite di Champions League, e mai nella sua storia le era capitata di finire ultima nel girone. Come sempre, i proclami e le boutade fatte solo per difendere se stessi si scontrano sempre, prima o poi, con la realtà dei fatti e coi dati incontestabili forniti dalla certezza dei numeri. L'Inter meritava ampiamente di uscire, e così è stato, inutile parlare di biscotti buoni solo, è proprio il caso di dirlo, per riempirsi la bocca. Quando si affronta la massima competizione continentale in questo modo, il risultato non può che essere quello visto ieri.

Certo, c'è chi dirà "eh, se fosse entrato il pallone di Lautaro", "eh, se Lukaku non fosse rimasto immobile come un birillo anziché ripiegare subito e abbandonare la posizione di fuorigioco", il che è anche vero, ma costituisce un ennesimo appiglio a cui non ci si può permettere di aggrapparsi: quello dell'Inter era un girone semplice che ha deciso di rendere difficile. Perché il Real Madrid di quest'anno può definirsi tutt'altro che una corazzata imbattibile, lo Shaktar ha subito dodici gol nel girone ma nessuno di questi è stato segnato dai nerazzurri, e il Borussia M'gladbach era ampiamente alla portata, come dimostrato nella penultima partita. Quindi anche la leggenda del "girone più difficile" sarebbe decisamente da smentire: lo ha reso difficile giocando cinque partite imbarazzanti su sei. Un altro mito sfatato. La partita di ieri ha fornito indicazioni chiare e precise su questa squadra, ma la verità è che non ce ne sarebbe stato bisogno: sono sempre le stesse. Giocatori che entrano in campo con una voglia pari allo zero come Perisic che si è limitato alla corsetta con tocchi di palla deboli e imprecisi, o come Brozovic non propriamente in serata, per non parlare di Young, confusionario e impacciato anche più del solito. E quando la benzina mentale è venuta meno è riemersa la solita Inter di sempre, motivo per il quale era del tutto inutile esaltare prestazioni come quelle cotnro il Borussia o contro il Bologna: è in partite come quella di ieri che si vede la vera squadra che sa imporsi e che possiede la mentalità vincente, non è certo maramaldeggiando contro i felsinei che ci si scopre forti. Quelle sono false certezze, buone giusto a fare imbrodare il giornalista o il tifoso disposto ad attaccarsi a tutto pur di vedere qualcosa di positivo dalla squadra, ma chi è avvezzo all'Inter, chi sa leggere i periodi e le partite nel suo complesso e non singolarmente, sapeva bene che sarebbero state vittorie di Pirro. E infatti così è stato.

Ma chi è stato il vero mattatore della serata è stato quello che più di tutti è felice che si parli di lui e che gli si diano meriti, un po' meno che si parli di lui negativamente e ci si azzardi a muovergli una critica: Antonio Conte. Il tecnico salentino nel dopo partita si è reso protagonista di uno spettacolo che definire imbarazzante sarebbe riduttivo, non rispondendo alle domande mosse da Fabio Capello e invitando la giornalista Anna Billò e gli altri critici a "pensare prima di fare le domande". Si sa, non c'è domanda più difficile da soddisfare di quella scomoda o mirata a sottolineare i difetti di una persona. E come sempre accade, spesso la domanda è essa stessa la risposta. Perché ieri l'Inter ha giocato una partita dove a venire meno è stata la fame, la smania, la voglia di vincere a tutti i costi. Ha affrontato la gara con l'intenzione di vincere, quello è indubbio, ma non come fosse una partita da dentro o fuori, bensì come una normale partita di campionato dove anche se pareggi o perdi tanto ne seguiranno altre. Quella delle avversarie che cambiano modo di giocare per affrontare l'Inter può ambire al podio nella classifica delle "peggiori scuse per giustificare una sconfitta". Adesso la colpa è della squadra avversaria che appronta delle contromisure, qui siamo ben oltre il livello "il cane mi ha mangiato i compiti", qui siamo a livelli più elevati della serie "i miei vicini odiavano i miei genitori da sempre, così prima che nascessi hanno allevato un cane addestrato a rubare i quaderni, ed è quel che ha finalmente fatto stanotte entrando dalla finestra semiaperta, lo so perché ha lasciato questo pezzo di carta con su scritta la consegna e poco più sotto si vede qualcosa, certamente una lettera effe oppure l'inizio di una parentesi graffa, che le dimostra che il compito l'ho effettivamente fatto quindi non merito una punizione". Ecco, se avesse risposto una cosa del genere perlomeno Capello avrebbe apprezzato, da freddo difensivista pragmatico quale è sempre stato, invece no, si è appellato al Quinto Emendamento Contiano: "mi avvalgo della facoltà di non rispondere per non autoincriminarmi".

A parte gli scherzi, c'è ben poco da stare allegri: un allenatore che replica in questo modo a dei giornalisti palesa i suoi limiti non solo alla capacità di fare autocritica, ma soprattutto mostrando che non esistono molte varianti al suo stile di gioco. Non è un mistero che Conte, al di là delle sue doti da motivatore, non sia propriamente un fine tattico, e perciò sinché i giocatori vanno a mille va tutto bene, ma quando non ne hanno più vanno anche peggio del solito. Un esempio lampante lo si è visto ieri quando ha deciso, per rilanciare l'Inter e tentare il guizzo vincente, di ricorrere ai cambi tardivamente, come suo solito. Togliere Lautaro e Hakimi, due giocatori offensivi, per mettere Darmian ed Eriksen è stata una scelta abbastanza discutibile: quando una qualificazione è in gioco si devono inserire tutti i giocatori offensivi possibili e farli giocare tutti contemporaneamente, inutile mirare al bilanciamento della squadra quando sei all'ottantacinquesimo di una gara che devi assolutamente vincere. Quello dei cambi tardivi è un difetto che Conte ha mostrato spesso e volentieri e ieri non ha fatto eccezione, e sulla qualità meglio sorvolare, riabilitano pure certi, storici cambi come quello di Ranocchia messo in attacco per sfruttare i calci d'angolo. Peccato che non si giochi a volley.

Nell'intervista di ieri poi Conte, cercando a tutti i costi un colpevole esterno a se stesso come sempre gli capita, ha deciso poi di giocarsi la più classica delle carte, dal sapore quasi vintage, tipica del tifosotto di borgata che al bar sotto casa deve trovare il modo di giustificare la sconfitta della sua squadra del cuore: "gli arbitri non ci hanno tutelato". Sfortunatamente per lui, per quanto lo scaricabarile delle responsabilità sia un concetto non alieno all'italiano medio divenendo, in molti casi, un caposaldo della propria esistenza, usare una carta del genere è davvero di una bassezza e mediocrità disarmante, di chi non sa più a cosa aggrapparsi per giustificare lo scempio di un girone giocato con una leggerezza e un'abulia vergognose. Peccato che il tempo delle scuse sia finito da un bel pezzo, così come la sua credibilità: l'immagine del "soli contro tutti" è un concetto anch'esso talmente vintage e prevedibile da essere ormai sterile da anni.
La domanda a questo punto sorge spontanea, come sempre capita dopo una catastrofe naturale o nell'immediato dopoguerra: e ora? Già, e ora?
Ora non c'è più nulla
. Il progetto messo in piedi da e per Antonio Conte, sacrificando la qualità come nel caso di Eriksen e riempiendo la rosa di giocatori anziani mandando al diavolo la prospettiva per vincere subito tutto, è terminato nel momento esatto in cui si è detto addio all'Europa. Le sbraitate di Conte basate su "Barella che viene dal Cagliari" e sul fatto che le partite in Europa si vincono con l'esperienza ieri non sono state neppure accennate dal tecnico, che doveva a tutti i costi difendere le sue scelte fallimentari. Se questa eliminazione fosse arrivata l'anno scorso avrebbe fatto fuoco e fiamme, insultando ogni giocatore della rosa della quale, l'anno scorso, lamentava il suo essere "preconfezionata e con poca esperienza", invece quest'anno c'è da fare i complimenti ai ragazzi che si sono tanto impegnati. In cosa non si sa, visti i record negativi conseguiti. E qualcuno dirà che ora c'è il campionato. Ma il campionato, e il Milan lo sta ampiamente dimostrando, lo si può giocare anche con un gruppo giovane e che è in grado di vincere per più anni, anzichè puntare su in disastroso all-in per vincere un anno e basta solo per accontentare la smania del proprio allenatore di enunciare il "veni, vidi, vici" di cesariana memoria per poi andarsene. Perciò no, il campionato importa meno di zero, idem la Coppa Italia: questa è la morte di un progetto. Quest'anno Conte per dimostrare veritiero il suo asserto che con l'esperienza si vince tutto avrebbe dovuto ampiamente qualificarsi e vincere, e invece l'Inter è fuori da tutto già dal 9 dicembre. Del resto si sa che a Conte delle coppe frega meno di zero, quindi è naturale che per lui un'eliminazione catastrofica come quella di ieri importa quanto il lavare la macchina quando fuori piove: si evita una rottura di scatole e anzi, si è anche più contenti. Dalla parte di Conte c'è anche la consapevolezza che un traghettatore farebbe ufficialmente sprofondare nel caos un ambiente che già è prono storicamente ad esso, e il fatto che, per motivi economici, rinunciare a Conte ora comporterebbe un esborso significativo. E chissà che la sua insensibilità sull'argomento Champions sia dovuta proprio a questi motivi.

Anche vincendo un campionato come quello italiano o la Coppa Italia, o anche entrambe le cose, non si darà certo il cambio di mentalità, perché ci saranno da cacciare i giocatori anziani per portarne di nuovi. In altre parole, ripartire di nuovo da zero laddove serve continuità non serve mai a niente, una lezione semplicissima. Peccato che all'Inter dei progetti e dei successi nel lungo periodo non importi niente, così come non importa a nessuno di far crescere una squadra in grado di giocare assieme per i prossimi dieci anni perché i giovani è meglio fischiarli o criticarli perché all'esordio non sono già dei campioni. E allora viva Conte, viva gli over trenta e viva le eliminazioni dalla Champions. Però non ci si lamenti: sarebbe da ipocriti peggio del silenzio di Conte che, mai come ieri, vale più di mille parole.