I gravi fatti avvenuti il giorno del boxing day italiano hanno avuto un impatto non da poco sull'immagine non solo dei tifosi interisti, ma anche della società stessa

Non bisogna infatti dimenticare che i tifosi, oltre che fare sentire il loro calore, molto più venalmente portano introiti che, soprattutto in questa delicata fase economica nerazzurra, rappresentano una voce importante nella sezione "entrate", e dover rinunciare a questa fonte di guadagno per colpa di un gruppo di incivili è un aggiungere al danno la beffa. Per non parlare della cattiva pubblicità al club, che si è ritrovato sommerso da milioni di parole vergate dai giornali europei di settore e pronunciate in svariati programmi televisivi in tutto il mondo, e non certo positive.

In situazioni come questa, il primo compito di una società seria è quello di prendere le distanze da coloro che hanno commesso il fatto. Una soluzione semplice, a costo zero e che comporta il minimo sforzo. Questo è quel che farebbe una società normale. Ma l'Inter, si sa, non è una società normale. Una squadra che ha tra gli inni quello di "Pazza Inter" non può comportarsi secondo gli schemi. L'Inter da sempre è stata sinonimo di imprevedibilità: perde partite che potrebbe vincere agilmente, ne vince altre che sembrano perse, ha dei tifosi che possono spedire un giocatore dall'inferno al paradiso nel giro di un paio di partite, un tifo che se vede l'impegno e la voglia di fare adotta i calciatori e gli allenatori come fossero dei figli, ma che se non vede un impegno costante allora abbandona i colpevoli peggio di un coniuge fedifrago. In una sola parola: passione

Ed è proprio questo sentimento invisibile, ma che in uno stadio di calcio esplode con vigore sin dal fischio di inizio della partita, che la società nerazzurra non vuole perdere. L'Inter, quando vuole fare le cose in grande, non va certo per il sottile, nel bene e nel male. E così, inizia a pianificare la sua prima mossa, come in una battaglia. Perchè quella che la società ha intenzione di intraprendere è una battaglia nel vero senso della parola: contro il razzismo, e contro quei pseudotifosi che con i loro epiteti razzisti hanno insozzato la memoria dei padri fondatori dell'Inter e il loro credo.

Proprio come nella seconda guerra mondiale gli americani reagirono prontamente all'attacco giapponese contro Pearl Harbor, partendo però dalla ricostruzione della base militare duramente colpita, allo stesso modo l'Inter ha pensato innanzitutto a quei tifosi, vittime incolpevoli della chiusura dello stadio, che hanno visto sfumare la possibilità di vedere la propria squadra del cuore dal vivo. Solo per loro, l'Inter ha messo in vendita i biglietti per la gara di Coppa Italia contro la Lazio al modico prezzo di cinque euro, e ha provveduto a rimborsare il costo dei biglietti venduti per Inter-Sassuolo. Una sorta di compensazione per veire incontro a chi, esattamente come la società, non è colpevole ma è vittima anch'egli.

Rinuncia a proporre il ricorso contro la squalifica, ma chiede alla FIGC di poter aprire il primo anello del Meazza ai bambini, per poter così riempire quel settore di quel tifo caldo e spontaneo che solo il tifoso giovanissimo può avere, quello a cui non importa se un giocatore sta giocando male, che non guarda ai numeri statistici, al numero di parate o alla percentuale di passaggi riusciti, ma guarda solo i propri beniamini con ammirazione e una punta di devozione.

In mezzo a tutto questo, si colloca una vicenda molto particolare, perchè in mezzo ai tanti tifosi che erano pronti a vedere i propri idoli, ce ne era uno che proprio meneghino non è, ma che aspettava quella partita con impazienza: il piccolo Max Donaghey, dodicenne scozzese tifosissimo dell'Inter che come regalo di compleanno aveva ricevuto proprio un biglietto per Inter-Sassuolo, per poter supportare dal vivo i nerazzurri che tanto tifa, e che stava vedendo sfumare il suo sogno tra tante amare lacrime.

La FIGC però, accogliendo la proposta dell'Inter, ha permesso ai piccoli tifosi di poter assistere alla partita, e per rendere possibile il sogno di Max è intervenuto addirittura il Ministro dell'Istruzione Bussetti, che con la sua intercessione ha reso possibile l'entrata allo stadio del piccolo supporter scozzese. Insomma, il Meazza era pronto ad accogliere i primi simboli della lotta al razzismo nerazzurra, e questo gesto è stato positivamente accolto.

Ma l'Inter aveva organizzato qualcosa di grande nascosto nell'ombra, come gli americani in occasione del secondo conflitto mondiale quando, con il Progetto Manhattan, diedero alla luce un arma micidiale, la più letale apparsa in quel momento nell'intera storia dell'umanità: la bomba atomica. E, per rendere ancora più forte il collegamento con l'iniziativa nerazzurra, va detto che il primo ordigno atomico utilizzato, quello che polverizzò la città giapponese di Hiroshima, si chiamava "Little Boy", ragazzino. Ma le bombe che vennero effettivamente utilizzate in battaglia furono due, e anche l'Inter aveva pronto il secondo ordigno da sganciare. Con l'intenzione di uccidere il razzismo, colpirlo duramente e farlo in un modo scenico e spettacolare tanto quanto il "Fat Man" che distrusse Nagasaki obbligando il Giappone alla resa: la campagna BUU.

Proprio come i razzisti utilizzano i buu e gli ululati contro i giocatori di colore per paragonarli a delle scimmie, la campagna antirazzismo nerazzurra usa lo stesso verso, con l'obiettivo di svuotarlo di quella carica offensiva che gli viene attribuita, colpendo i razzisti proprio con il loro stesso mezzo di offesa. Ma il BUU su cui si basa l'iniziativa non è un semplice ululato, bensì un acronimo: Brothers Universally United, fratelli universalmente uniti. Proprio come dissero i padri fondatori della società meneghina, la squadra nata dalla scissione con il Milan "si chiamerà Internazionale, perchè noi siamo fratelli del mondo", ed è questo il messaggio che l'Inter ha voluto e vuole mandare, estendendo questa campagna oltre le mura amiche del Meazza, per mezzo dei social con l'hashtag #NoToDiscrimination, per poter diffondere meglio il messaggio, e tramite un video che, stando alle intenzioni degli organizzatori, sarà il primo di quella che sarà una lunga serie, e che vedrà il successivo in occasione del nove marzo, anniversario della fondazione del club. Nel filmato si vedono il neo presidente Steven Zhang, il vicepresidente, ex capitano e leggenda nerazzurra Javier Zanetti, l'attuale capitano dell'Inter Mauro Icardi, il camerunense membro dell'Inter dello storico triplete Samuel Eto'o e il grande ex esterno portoghese Luis Figo presentare il nome dell'iniziativa, invitando a scriverlo, anzichè dirlo. Write it, don't say it. Semplice, ma efficace.

E in occasione di Inter-Sassuolo la grande coreografia in cui capeggiano numerosi BUU scritti con vari caratteri e dimensioni, oltre che sulle maglie delle due squadre, è stata la grande protagonista della partita, mostrandosi al mondo sportivo e non solo in tutta la sua forza espressiva, assieme ai più di diecimila bambini espressione sana del tifo. Come ha detto anche Marotta, sin da subito la campagna ha ricevuto riscontri positivi dalla Lega Calcio sino alle altre squadre italiane: infatti, anche Milan, Napoli, Fiorentina, Genoa e Sampdoria hanno prontamente aderito all'iniziativa nerazzurra tramite i loro canali dedicati. E siccome il calcio, così come le giuste lotte, non ha barriere nazionali, tra gli aderenti vi è anche la squadra spagnola del Siviglia. 

Una lotta senza quartiere contro il razzismo che, nel 2019, è sempre più anacronistico, con la speranza di vedere questa campagna maggiormente pubblicizzata. I veri valori dello sport sono quelli del rispetto per l'avversario, chi non li segue non può dirsi sportivo, nè tifoso, nè soprattutto interista.

Perchè in una famiglia enorme, mondiale che comprende i fratelli di tutto il mondo, pseudotifosi come i razzisti li si tiene fuori dalla porta.