Quando giocavo a calcio - nella mia breve ma indimenticabile trafila nelle giovanili -, il luogo dove più mi sentivo bene e sicuro di me stesso era lo spogliatoio: un luogo che ho sempre ritenuto sacro, quasi inviolabile, e che negli ultimi tempi sta subendo un inesorabile degradamento. 

Si può affermare, senza timore di essere smentito, che tale declino iniziò nella stagione 2010-2011, quando per la primissima volta le telecamere di un'emittente televisiva (Sky) fecero il loro ingresso all'interno degli spogliatoi, violandone vita natural durante i delicati equilibri e la ragione stessa per la quale erano stati inventati. Spulciando il web alla ricerca di quelle immagini che fecero storia, mi sono imbattuto in volti di giocatori palesemente imbarazzati: Luca Toni con la felpa del Genoa; Totò Di Natale con la maglietta dell'Udinese; Wesley Sneijder e Samuel Eto'o intenti a cercare pace da quegli occhi indiscreti ed indesiderati. Ognuno di loro faceva trasparire dai volti e dal linguaggio del corpo un accentuato senso di disagio nel vedere così brutalmente minacciate privacy e concentrazione. Delle quali ogni calciatore sulla faccia della terra necessita per migliorare le stesse performance in campo.

Da quel momento in poi la situazione è inesorabilmente peggiorata; oggi i limiti sono stati ampiamente superati e chissà quanto oltre essi verranno spinti. Telecamere e microfoni non si accontentano più di riprendere i giocatori intenti a prepararsi per la partita, a farsi massaggiare i muscoli dai fisioterapisti, a cospargersi di gel le folti e giovani chiome. No, hanno gradatamente deciso di cannibalizzare ogni più sacro momento, ogni più intimo istante vissuto nello spogliatoio da quei ragazzi, arrivando a filmare - segretamente oppure con il tacito consenso dei dirigenti, non ci è dato sapere - i discorsi di allenatori e leader che, toccando le giuste corde, risultano la discriminante principale tra una vittoria ed una sconfitta.

In tal senso, faranno scuola due discorsi pronunciati nello spogliatoio francese durante gli ultimi Mondiali vinti proprio dai Bleu. Il primo, in ordine temporale, è stato declamato da uno dei leader indiscussi dei Galletti: Paul Pogba, prima del fischio d'inizio degli ottavi contro l'Argentina, ha incitato i suoi compagni di squadra con un'orazione degna del mitico Demostene e delle sue Filippiche. "Voglio vedere dei guerrieri, dobbiamo morire sul campo. Questa sera saremo felici e festeggeremo. Non voglio tornare a casa, voglio restare in albergo e continuare a mangiare quella pasta orrenda. Uomini! Guerrieri! Oggi - ha poi continuato non trattenendosi - uccideremo gli argentini. Messi o non Messi non me ne importa, andiamo a prenderci questa ca*** di Coppa del Mondo." Parole cariche di effetto che, unite alla superiorità francese in campo, non v'è dubbio abbiano avuto un ruolo fondamentale nella vittoria e nel passaggio del turno.

Il secondo discorso motivazionale è stato pubblicato online dall'emittente francese TF1, le cui telecamere erano presenti nello spogliatoio della Francia nientemeno che durante l’intervallo della finale dei Mondiali di calcio contro la Croazia. Io, una cosa del genere, non l'avrei mai permessa: filmare i giocatori nel luogo a loro sacro, nella partita più importante della carriera, è quantomeno rischioso. Eppure, come dicono loro, les jeux sont faits: hanno vinto e quindi hanno ragione loro. Nel succitato filmato viene ripreso il discorso che il condottiero Didier Deschamps fece alla squadra sul risultato di 2-1 in loro favore: il c.t. spronò i suoi a reggere il confronto fisico con i croati e a fare particolare attenzione al centravanti Mario Mandzukic, punto di riferimento degli avversari; invitò inoltre Pogba e compagni a cercare più spesso gli attaccanti Kylian Mbappe e Antoine Griezmann. Al termine del discorso presero la parola brevemente alcuni giocatori, fra cui proprio Griezmann e il difensore Raphael Varane, il cui tono audace e fermo aiuta a capire come abbia fatto a vincere 3 Champions prima dei 26 anni.

E che dire del discorso di Pep Guardiola dopo la cavalcata trionfale del City in una Premier League chiusa a 100 punti e a 108 reti fatte? "Ragazzi, non abbiamo potuto festeggiare insieme quando abbiamo vinto questo titolo perché eravamo a casa. Voglio fare un discorso semplice ma che per me è anche complicato. Siamo i campioni, i migliori d'Inghilterra. E vorrei che tutti, dal mio staff al reparto lavanderia si sentano parte di questo successo: senza di voi, tutti voi, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile". Guardiola ha parlato così, a cuore aperto, nella Sala Grande del centro sportivo del Manchester City, di fronte ad ogni singolo membro del club. Le telecamere del canale tematico dei Citizens hanno ripreso dalla prima all'ultima parola: una squadra ben più nutrita dei soli 11 (più cambi) che ogni giornata scendevano in campo. "Abbiamo creato qualcosa di unico nello spogliatoio: non avremmo fatto niente se voi non foste state delle persone così uniche. Quello che abbiamo fatto noi è stato solo essere migliori di altre 19 squadre, nient'altro. Ma quello che avete fatto voi, invece, ogni singolo giorno, prendendovi cura di tutti qui dentro, è stato magnifico. E' per questo che vi rispetto ed è una cosa che mi resterà nel cuore per tutta la vita."

Parole al miele che fanno da contraltare a quelle più dure pronunciate dal mister spagnolo nell'intervallo del match di League Cup perso dal City contro il Wigan - squadra di Terza Serie - lo scorso febbraio: "Vi difenderò durante le conferenze stampa con tutti i mezzi che ho a disposizione, fosse l'ultima cosa che faccio. Ma qui, ora, vi sputerò in faccia la nuda verità: alcuni di voi giocano meglio quando sono arrabbiati con me, perciò, se mi odiate, ODIATEMI pure ragazzi! Da parte mia nessun problema." Queste le cruenti parole esclamate da Guardiola, letteralmente vomitate in faccia ad un Aguero e ad uno Sterling visibilmente scossi, e filmate per il documentario firmato Amazon"All or Nothing", che narra la fantastica stagione dei Citizens con un dietro le quinte ricco di aneddoti speciali e stuzzicanti episodi. 

C'era una volta un luogo sacro per lo sport, si chiamava spogliatoio: era una vera e propria zona off limit, dove i calciatori erano liberi di sfogare tensioni, arrabbiature, condividere gioie, dolori, confidenze, segreti. Un luogo dove molto spesso non entravano neppure gli allenatori, se non nel momento del discorso pre-partita, e dove le cose nascevano e morivano lì, dentro quelle quattro mura in cartongesso. Un luogo ameno, lo spogliatoio, che oggi purtroppo non esiste più.

Quel luogo è stato svenduto e violato da gente che ci entra fino a pochi minuti dalla partita, per riprendere momenti che dovrebbero rimanere oscuri agli occhi dei telespettatori, e che invece vengono spiattellati in onda e in onore del Dio Denaro (Dio Audiance, che dir si voglia). Telecamere e microfoni si sono impossessati del mondo del calcio: la dimensione privata - già di per sé un diritto, ma anche uno strumento per migliorare le prestazioni in campo - è morta. Si passano ore ed ore a decifrare labiali, a origliare dietro alle porte, a vivisezionare account su Facebook, Twitter o Instagram, piuttosto che a commentare un gesto tecnico. Tutto oggi deve assolutamente diventare pubblico, costi quel che costi: uno sguardo, una parola, una frase, un urlo di rabbia. Un secondo dopo, ogni cosa viene masticata, mal digerita, e infine rigurgitata da milioni di telespettatori: un meccanismo perverso, malato, figlio di un modo di comunicare che anni fa non si sarebbe potuto neppure concepire, figurarsi attuare. E chissà se abbiamo già superato il limite oppure il futuro ci sorprenderà, permettendoci, che so, di vedere un giorno i nostri beniamini espletare le proprie funzioni corporali durante l'intervallo di un match di cartello. 

Mi congedo da voi, gentili lettori, lasciandovi in dote il meraviglioso discorso di coach Tony D'Amato (interpretato da un monumentale Al Pacino) nel film"Ogni maledetta domenica". Invito chi non volesse leggere a gustarsi il video a fine articolo. E a guardare il film per intero, naturalmente.

"Non so cosa dirvi davvero. Tre minuti alla nostra più difficile sfida professionale. Tutto si decide oggi. Ora noi o risorgiamo come squadra o cederemo un centimetro alla volta, uno schema dopo l'altro, fino alla disfatta. Siamo all'inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell'inferno un centimetro alla volta. Io però non posso farlo per voi. Sono troppo vecchio. Mi guardo intorno, vedo i vostri giovani volti e penso "certo che ho commesso tutti gli errori che un uomo di mezza età possa fare". Si perché io ho sperperato tutti i miei soldi, che ci crediate o no. Ho cacciato via tutti quelli che mi volevano bene e da qualche anno mi dà anche fastidio la faccia che vedo nello specchio. Sapete con il tempo, con l'età, tante cose ci vengono tolte, ma questo fa parte della vita. Però tu lo impari solo quando quelle cose le cominci a perdere e scopri che la vita è un gioco di centimetri, e così è il football. Perché in entrambi questi giochi, la vita e il football, il margine di errore è ridottissimo. Capitelo. Mezzo passo fatto un po' in anticipo o in ritardo e voi non ce la fate, mezzo secondo troppo veloci o troppo lenti e mancate la presa. Ma i centimetri che ci servono, sono dappertutto, sono intorno a noi, ce ne sono in ogni break della partita, ad ogni minuto, ad ogni secondo. In questa squadra si combatte per un centimetro, in questa squadra massacriamo di fatica noi stessi e tutti quelli intorno a noi per un centimetro, ci difendiamo con le unghie e con i denti per un centimetro, perché sappiamo che quando andremo a sommare tutti quei centimetri il totale allora farà la differenza tra la vittoria e la sconfitta, la differenza fra vivere e morire. E voglio dirvi una cosa: in ogni scontro è colui il quale è disposto a morire che guadagnerà un centimetro, e io so che se potrò avere una esistenza appagante sarà perché sono disposto ancora a battermi e a morire per quel centimetro. La nostra vita è tutta lì, in questo consiste. In quei 10 centimetri davanti alla faccia, ma io non posso obbligarvi a lottare. Dovete guardare il compagno che avete accanto, guardarlo negli occhi, io scommetto che ci vedrete un uomo determinato a guadagnare terreno con voi, che ci vedrete un uomo che si sacrificherà volentieri per questa squadra, consapevole del fatto che quando sarà il momento voi farete lo stesso per lui. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui. Allora, che cosa volete fare".