Il mito greco affascina e offre spesso spunti di riflessione e di similitudine con quanto avviene ai giorni nostri. Tra gli eventi più glorificati e le gesta più decantate dell'Antica Grecia vi è la celeberrima "Guerra di Troia" (quella dell'altrettanto famoso "stratagemma del cavallo"), della quale abbiamo conoscenza grazie all'Iliade e all'Odissea di Omero. La storia - mixata con una notevole dose di invenzione e leggenda - narra del conflitto intercorso tra gli Achei e, appunto, la città di Troia. Come tutte le guerre anch'essa ebbe un motivo scatenante: il rapimento di Elena, all'epoca la donna più bella del mondo (in base a quali criteri non è dato sapere; forse esisteva già un concorso tipo "Miss Grecia"?).

L'avvenente donzella venne rapita da Paride, figlio di Priamo e uomo più bello del mondo (che fantasia, eh!) che la portò con sé a Troia, generando odi e distruzioni in quanto Elena era promessa sposa di un re di nome Menelao. Perché Paride si invaghì proprio di una giovane impegnata con un uomo così potente? Perché, tra tutte le belle donne greche, scelse questa portatrice di guai? Al netto della sua impareggiabile bellezza, le attenzioni caddero su Elena per un motivo ben preciso. In Grecia tutti vivevano in pace ed armonia prima che la dea Eris, infuriata per non essere stata invitata ad un matrimonio nell'Olimpo, non decidesse di vendicarsi e di seminare zizzania lanciando una mela d'oro in mezza alla sala ed esclamando: "Questo è il dono per la più bella fra tutte voi!". A quel punto le dee Afrodite, Atena ed Era si avventarono avidamente sulla mela, credendo ognuna di essere la più bella della festa.

Come avrete ben inteso ne nacque un parapiglia che solo il capo degli dèi avrebbe potuto dirimere. Le tre pulzelle erano però irrefrenabili, e ciò costrinse Zeus a passare la "patata bollente" a Paride (l'uomo più bello). Il quale scelse Afrodite e in cambio gli venne offerta la possibilità di giacere con la bellissima Elena: tutto ciò scatenò una guerra di proporzioni immani che sconvolse il mondo greco per decenni.
Un po' come sta succedendo in quello interista. Questa volta la guerra non è nata da un "pomo della discordia" bensì dagli oscuri raggiri e dalle provocatorie dichiarazioni di una pseudo-procuratrice e della negligenza mista a cupidigia dello stesso marito-calciatore che non ha saputo metterle un freno. La decisione della società di escludere Mauro Icardi dal ruolo di capitano è sembrata la naturale conseguenza di questi deplorevoli atteggiamenti, sebbene la fascia sia oggigiorno un prestigioso "accessorio", un simbolo più che una vera necessità.

L'equilibrio nello spogliatoio faticosamente raggiunto da Spalletti e dai suoi collaboratori è stato sconquassato nel breve volgere di qualche mese da una serie di inspiegabili e tafazziane scelte di alcuni calciatori (su tutti Ivan Perisic e la sua reiterata volontà di cambiare aria) che, unite all'improvvida linea comunicativa adottata dalla famiglia Icardi, hanno generato una fragorosa esplosione fatta di equivoci e tensioni. Da questa spiacevole situazione escono tutti perdenti: Icardi che oltre alla fascia dirà addio a qualsiasi possibilità di rinnovo, senza dimenticare le referenze poco lusinghiere che questa vicenda gli crea attorno (un top club interessato all'argentino dovrebbe mettere in conto la scomoda presenza di Wanda); ma anche la società, che seppur in apparenza ne esca vincitrice, ha compiuto un azzardo perché in caso di cessione il prezzo sarà inferiore ad aspettative dirigenziali e clausola, e soprattutto perché si potrebbe creare una spaccatura nello spogliatoio tra Icardiani e Anti-Icardiani. A tal proposito è paradossale la situazione in cui si troverebbe invischiato Lautaro Martinez: nonostante l'amicizia che lo lega al connazionale lo inserisca di diritto all'interno del primo gruppo (pare insieme a Vecino e Borja Valero), la probabile esclusione di Maurito dalle prossime partite lo avvantaggia garantendogli quella titolarità che lui stesso e il linguacciuto padre-procuratore esigevano da tempo (pazzesco il parallelismo con la Nara, non trovate?).

Da questo terremoto l'Inter potrebbe rialzarsi più forte di prima, far fronte comune nelle difficoltà ed avere quella necessaria e decisiva spinta per il delicato rush finale; oppure la voragine apertasi potrebbe risucchiare ogni cosa, destabilizzando un ambiente già di per sé instabile e rovinando i piani di un sereno e tranquillo raggiungimento di un posto nella Champions della stagione ventura. Dopo la qualificazione conquistata per il rotto della cuffia nel passato campionato e l'acquisto di Radja Nainggolan - anch'egli al centro di questioni extra-campo, sebbene il ribelle belga sembri aver finalmente intrapreso la strada del pentimento e della redenzione -, le speranze del tifoso interista di soffrire di meno in questa stagione sono state letteralmente spazzate via da un tornado di vicende che col pallone c'entrano poco o nulla.

Prendete ad esempio l'inaspettata esplosione di Nicolò Zaniolo alla Roma. Le "Vedove di Zaniolo" levano al cielo grida sempre più disperate e accorate; salire sul carro di quanti lo avevano previsto, degli espertoni ai quali pure uno scambio "alla pari" con il Ninja sarebbe sembrata una pazzia, di tutti coloro che biasimano la cecità della dirigenza interista nell'aver venduto un talento simile, risulta esercizio fin troppo facile perché nel giudizio a posteriori chiunque eccelle. I più che paragonano poi la cessione di Zaniolo a quella di Coutinho al Liverpool nel 2013 non meritano alcuna considerazione. Il punto però è un altro: la cessione del baby fenomeno di Massa va contestualizzata. Quando Ausilio, pensando di dover rafforzare ulteriormente una squadra da quarto posto, ha bussato alla porta di Monchi chiedendo il belga e sentendosi chiedere come contropartita uno tra Zaniolo, Radu (già promesso al Genoa) e Colidio (pagato tanto al Boca Juniors), la sua scelta non poteva non ricadere, a malincuore, sul giovanissimo italiano. Il fatto che il classe '99 sia diventato un fenomeno in così poco tempo, il più giovane italiano della storia a realizzare una doppietta negli ottavi di Champions, fa parte di quegli imponderabili scherzi del destino che questa vita retta dal caos ci pone dinnanzi.

Da interista spero vivamente che la vicenda degli Icardi non dia nuovi e rinnovati argomenti a giornalisti, addetti ai lavori ed avvoltoi per destabilizzare l'ambiente e gettare fango su d'un club che abbisogna solo di dosi massicce di tranquillità. In caso contrario addio Champions.