Oggi vi riporto a distanza di qualche settimana la storia di un altro astro nascente del calcio italiano, come sempre coperto dalla sua privacy, e che chiameremo Pietruccio, che ci racconterà il suo calcio, le sue partite e il suo essere fuori dal campo. E questo è la sua storia che mi ha dettato per filo e per segno.

Sono Pietro Sabonitta, nato a Roma il 29 Agosto 1949 poco distante da Porta Pia nel quartiere Nomentano. I miei genitori sono, perchè per me sono sempre presenti anche se non in carne ed ossa, Arvisio muratore e Mirella dottoressa. La mia vita da ragazzino non fù tutta rosa e fiori, ma se da una parte non mi mancava il sostegno dei miei genitori, dall'altra ero un monello, e facevo letteralmente impazzire tutto il vicinato, bussavo alle loro porte e scappavo, legavo le porte tra vicini e suonavo ai loro campanelli, e nele ore di sonno tra le due del pomeriggio e le quattro, mi arrampicavo alle finestre del piano terra e strillavo "Al fuoco! Al fuoco!" e scappavo. Un giorno la zono dove abitavo fece una riunione e stavano raccogliendo le firme per farmi chiudere in un istituto, ma mia madre prese di petto chi aveva pensato tale cosa e glie le suonò di santa ragione, ma anche io ne presi tante ma tante da mio padre, i segni delle sua cinghia li porto tutt'ora addosso, anche se non sembravano farmi capire, continuando a fare quel che volevo. A scuola ero bravo, ero uno dei migliori della classe, la maetra diceva sempre a mia madre "Non capisco come possa essere così bravo, e poi fuori fa il brigante". Mio padre, allora mi mise all'avanguardia "O ti comporti bene, o ti porto a lavorare con me", niente non sentivo, e all'età di sette anni, nel dopo scuola mi faceva lavorare, che poi era soltanto lo spazzare e portare dei sacchetti semi vuoti a buttare, e proprio un giorno di quelli, che andammo a lavorare in un centro sportivo, correva l'anno 1959, e quando entrai ebbi una folgorazione, al vedere alcuni ragazzini giocare al calcio, io non ne avevo mai posseduto uno, quindi mi fermai aggrappato alla rete a vedere quella palla rotolare da una parte all'altra. Di colpo "Oh, vieni a pulire che stiamo lavorando e non giocando", così abbassai la testa e andai a lavorare. Ma quel vociferare e quel rumore del calcio a quel pallone, mi richiamava, sembrava una bella donna che mi ammaliava con il suo rumore, così in un momento di attesa, che i sacchetti fossero riempiti o che qualcuno mi chiedesse di pulire, sgattaiolai fuori dal locale ed entrai in campo. Appena entrato fui fermato "Dove credi di andare? Fai parte della squadra? Se no, ti conviene uscire. E poi sei tutto sporco, ma dove ti sei rotolato in una montagna di farina? Esci subito!". Così, abbassai la testa e ritornando vero mio padre, venni fermato da un'altro signore, borghese, che disse "Ehi!" richiamando quel signore "Lo mando io questo ragazzino, c'è qualche problema?", ecco che quel rude e scostante signore, che non era altro che un aiutante dell'allenatore, rispose "Ah signor Barinozzi, credevo fosse uno dei tanti pezzenti che vogliono giocare", il borghese lo guardò e rispose "Pezzente? Ma cosa sono queste parole? Non vedi che è un ragazzino? La farà cacciare via in men che non si dica. Ha capito?", nel frastuono uscì mio padre "Vi sta infastidendo? Pietro torna subito qui! Chi ti ha detto di muoverti?". Il borghese si voltò verso mio padre e con fare elegante disse "Lei è il padre? E non si vergogna a far lavorare un bambino?", e mio padre prendendomi per un braccio gli rispose "E a lei cosa gli frega? Andiamo, cammina!". Ecco che il borghese, mise il suo bastone sulla nostra strada, all'altezza del petto di mio padre "Forse lei non ha capito...Io la denuncio per sfuttamento minorile", mio padre allora si rese conto che quella persona avrebbe davvero fatto tale denuncia, e disse "Ok, ma se combina danni, è sua responsabilità. Ha capito signor....", "Barinozzi. Duca Conte; Arturo, Filippo, Gianmaria, Estrulapio...". E vabbè, aveva tanti di quei nomi che ci sarebbe voluto un taccuino per ricordarselo tutto. Così dopo aver fatto cacciare quel rude signore, mi accompagnò fino alla metà campo, dove stava l'allenatore, e gli disse "Faccia divertire questo ragazzino, perchè a quest'età deve divertirsi e non lavorare". Così prese e dopo poco scomparve nel nulla. L'allenatore mi disse "Hai mai giocato a calcio?", ed io "No, non ho neanche avuto uno in vita mia". Così dopo avermi spiegato alla buona quel che dovevo fare, mi fece portare una maglietta e un pantaloncino, e giocai con le mie scarpe, visto che non vi erano un paio di scarpini da indossare. La squadra portava il nome del proprietario, la Oreste Maggione, e giocava proprio a due passi da casa mia, quindi raggiungibile a piedi. Ricordi che a fine allenamento, mi venne presa l'altezza e il peso; recitava così lo scritto del dottore....Il ragazzo è di buona costituzione; alto 1,50 per 35 kg, da controllare al fine mese...  Mio padre al termine del lavoro, poggiò la sua mano sulla mia testa, e mi fece una carezza, non l'aveva mai fatto in vita sua, almeno da quando ricordo, prese la mia testa e la spinse verso il suo fianco. Forse quel signore borghese gli aveva fatto capire qualcosa. Un giorno venne indetta all'interno del campo una gara di velocità tra tutti i giocatori presenti, facemmo i 50 metri, in squadra c'era anche qualche ragazzino in sovrappeso, ma era divertente fare questa gara, l'allenatore partecipò con noi, partendo per primo, fece un tempo sotto i 15 secondi, diciamo che essendo più alto di noi aveva le gambe più lunghe, quindi faceva dei passi più lunghi. Così dopo che provarono tutti e solo alcuni scesero sotto i 15 secondi dell'allenatore, toccò a me; 3....2....1....Via! Partii a tutta forza, sembrava che i miei piedi non toccassero terra, e tagliai il traguardo. La faccia del cronometrante rimase sconcertata, si avvicinò all'allenatore e disse "Ma questo ragazzino è un fulmine!", avevo fatto un tempo da record; 10 secondi! L'allenatore disse di colpo "Ho trovato il tuo ruolo, sarai un esterno di centrocampo". Piede sinistro e tanta corsa, questo furono i miei primi anni di calcio. Mio padre e mia madre ogni domenica erano con me, e questo mi faceva davvero piacere, perchè mio padre aveva smussato quel carattere duro, e che sembrava un'altra persona, avevo più tranquillità addosso, e mi sosteneva, ero al settimo cielo. Nel 1964 le mie giocate arrivarono fino ad una grande squadra della Capitale, la Roma. Il presidente Francesco Marini-Dettina, mi disse "Ragazzo tu hai del talento, e sarai il futuro della mia Roma". Bèh che dire, mi trovavo allo Stadio Tre Fontane in zona Eur, e tutto era così bello, un campo grandissimo, tribunette e spettatori, tanti spettatori, anche se la gara era soltanto una amichevole tra le varie squadre minori della Roma. Era piena estate, e dopo una piccola festiciola che il mio quartiere mi fece a sorpresa, con tanto di striscione con scritto; Pietruccio Reuccio Del Nomentano. Così dopo aver seguito alla lettera l'indicazione del dottore della società, di seguire la sua dieta e di andare a dormire presto, la mattina dopo mi ripresentai al campo, accompagnato da mio nonno Alfredo, che diceva sempre "L'orgoglio de nonno tuo, faje vede che i Sabonitta sono i migliori!", perchè la sua vita da pensionato lo teneva spesso nei dintorni della zona, invece quella opportunità del nipote, non se la sarebbe mai persa. Il primo allenamento fu davvero sfiancante, l'allenatore era Juan Carlos Lorenzo, e la squadra poteva contare su giocari importasntissimi; dal capitano Giacomo Losi, a Giancarlo 'Picchio' De Sisti, da Karl-Heinz Schnellinger ad Antonio Angelillo, oltre ad un super portiere Fabio Cudicini. La Serie A era davvero molto importante, e passare da una piccola squadra di quartiere alla Roma era un salto decuplo, e chi se lo sarebbe mai aspettato? Nonno Alfredo da fuori, nelle partitelle di allenamento mi dava le dritte "Pietrù, mettite de qua....Pietrù attento che te sta a venì addosso!", così in breve tempo divenni Pietruccio anche per tutti i miei compagni, allenatore e tifosi. Piacevo alle ragazze, tanto che Picchio De Sisti mi disse un giorno "Stanno tutte qui per te!". Diciamo che mi stavo togliendo tante soddisfazioni in campo, e anche fuori, addirittura litigarono due ragazze un giorno, e dovetti intervenire per staccare, si erano prese a capelli. L'allenatore mi consigliò di giocare come terzino, ma io non sapevo difendere, ero bravo a salire, ma quando mi trovavo sotto pressione sbagliavo o scalciavo l'avversario, tanto che mi ritrovavo spesso ad essere espulso dal vice-allenatore. Tentavo di fargli capire che io ero un esterno, e solo in quel ruolo riuscivo ad esprimere il mio gioco, ma niente insisteva a mettermi là, e alla fine le mie brutte prestazioni nelle amichevoli, portarono la società a cedermi dopo poco più di due mesi, non ero stato preso di buon occhi dal tecnico. Ma non riuscendomi a collocare nei primi tre campionati dalla Seria A alla C, mi mandarono in Interregionale. Passai al Colleferro, che giocava in un campionato che comprendeva le squadre del Lazio, della Toscana , della Sardegna, quindi avevamo davvero tanti viaggi da fare e tante traversate via mare per arrivare in Sardegna, bellissima isola, spettacolare mare, indimenticabile. L'allenatore mi diede fin da subito la sua fiducia, e lo ripagai nel tempo. Nonno era sempre al seguito, partivamo al mattino che ancora la luce del giorno e arrivavamo in meno di un'ora a Colleferro, quando giocavamo in casa, altrimenti due giorni prima quando partivamo per le trasferte, soprattutto quelle sarde. Nonno sempre in primo piano "Pietruccio fatti valere, daje giù" (daje giù, sta per "fagli vedere chi sei"). Fu una stagione assurda, presi tanti di qui calcioni che ad ogni fine gara uscivo con dei lividi sulle gambe che faceano un male e che tentavo di alleviare mettendo le gambe sotto l'acqua gelata delle docce. Avevo la maglia numero sette, e spingevo tanto, ed avevo sempre l'avversario che non accettava i miei dribbling ubriacanti, ero una specie di Bruno Conti, quindi era facile che l'avversario non accettasse l'essere saltato con tanta facilità. Restai al Colleferro per tre stagioni, segnando una decina di reti, e facendone segnare almeno il triplo agli attaccanti, ma non riuscimmo a salire oltre la metà classifica. Il grande calcio non mi chiamava, quindi mi spostai alla squadra del Pietrasanta a Lucca. Non ero ne il primo ne l'ultimo arrivato, ma c'era una specie di favoritismo per i giocatori locali, partivo spesso dalla panchina, ed ero anche preso di mira perchè romano, quindi dopo poche gare giocate e tanta voglia di andare via, a fine stagione chiusi il mio contratto con la squadra toscana e me ne ritornai a Roma. Quei fischi e insulti mi avevano dato davvero tanto fastidio, e pensai seriamente di chiudere con il calcio, ma non prima di essermi confrontato con il nonno, che mi disse "Se molli adesso, glie la dai vinta aloro. Quindi rimboccati le maniche, butta tutto alle spalle e vai avanti". Restai comunque fermo per fino al 1970, quando mi venne proposto di andare a Viterbo nella Viterbese, ma rifiutai, volevo una squadra vicino casa, non mi andava di trasferimi, soprattutto dopo che avevo conosciuto la mia fidanzata del tempo, quindi declinai. Tornai a giocare nella squadra che mi aveva dato la possibilità di giocare al calcio e vi rimasi per 4 anni, riuscimmo addirittura a giocarci la promozione, ma poi arrivammo terzi per le ultime gare perse. Nel 1974, decisi di entrare nella nuova squadra romana, la Lodigiani che giocava le partite caalinghe allo Stadio Flaminio,  e che per la prima volta si affaciava al calcio, come terza squadra di Roma, che era stata iscritta nella Promozione del Lazio. Beh l'aria romana mi faceva bene, e il pubblico, contando quel centinaio persone inizialmente, che partecipavano alle nostre gare. Lì ebbi il momento di spicco della mia carriera, una stagione di grandissimo livello, segnai addirittura una decina di reti. Giocai per ben sei stagioni nella Lodigiani, sempre titolare e con un ruolino di grande livello, se non erro, ho i ritagli di quegli anni del Corriere Laziale, c'è la pagina di saluto...ah eccola...Pietruccio lascia la Lodigiani dopo 150 presenze e 40 reti, i tifosi lo ringraziano con con striscioni e cori. Nel 1980 all'età di 31 anni decisi che era arrivato il momento di dire stop alla mia carriera, ero rimasto così legato alla società, che decisi di entrare nello staff come vice-allenatore, e restai li per due stagioni. Poi decisi di sposarmi con mia moglie Angela che avevo conosciuto nel 1982 dopo pochi mesi naque mio figlio Francesco. Sfruttai un campo abbandonato, nel quale vedevo un ottimo potenziale e grazie all'aiuto di alcuni amici e al permesso del Comune di Roma, costruimmo un piccolo impianto, dove aiutavamo ragazzi disagiati a seguire il prorpio sogno, organizzavamo partitelle anche con squadre di Serie C, e alcuni di loro negli anni novanta riuscirono ad esordire in Serie A e divenire anche molto famosi. Nel 1991 arrivò il mio secondo genito Tommaso. Nel 2019 deisi di cedere l'impianto e di godermi la mia pensione e viaggiare con mia moglie, sono un nonno di quattro nipoti, due femmine e due maschi, che continua a seguire il calcio, e che ogni tanto ricorda quel giorno nel quale misi piede in campo per la prima volta al Tre Fontane e che indossò la maglia per il quale facevo il tifo fin da bambino e che ancora oggi custodisco proprio lì, attaccata al muro. Vi ringrazio per avermi riportato indietro nel tempo, per aver percorso con me ogni tappa della mia carriera, e che non cambierei di una virgola, perchè alla fine giocare nella Roma sarebbe stato il mio sogno, ma che nella Lodigiani ha trovato una valida alternativa per giocare tra la sua gente, e l'addio è ancora così forte che mi porta le lacrime agli occhi a ricordare. Un abbraccio  e un saluto a tutti i lettori di Vivoperlei.calciomercato.com e grazie a te 5 Maggio 2002.

Beh cosa dire? Soltanto grazie, a chi ha inseguito il suo sogno e che non riuscendolo ad esaudire con la maglia della Roma indosso, è riuscito con una società alle prime armi a far parlare di se e restare nel cuore di quelle persone, che gli hanno tributato un addio che si vede soltanto nelle grandi squadre di calcio e per giocatori che hanno lasciato un segno indelebile, uno su tutti Francesco Totti, ecco Pietro ha fatto lo stesso effetto su i tifosi di quella squadra. Grazie Pietro per il tuo racconto.