È arrivato circa un anno fa, forse qualcosa di meno. È arrivato fra le aspettative più alte di ogni singolo tifoso rossonero: era il nuovo fenomeno della Serie A, il bomber che tutti volevano, Lewandowski 2, di fatto. Al Genoa aveva segnato 13 goal in 19 partite, una media straordinaria per un ragazzo alla sua prima stagione in Serie A. Noi tifosi milanisti eravamo consapevoli di aver trovato una punta degna della 9, dopo il fallimento (ma voluto da chi?) del Pipita. Le prime partite lasciarono un dolce sapore di miele sui palati più stanchi della tifoseria rossonera: c’era chi sperava che prendesse (o scaramanticamente non prendesse) la 9, chi lo paragonava al mitico Shevcenko, chi diceva che sarebbe stato il nuovo perno di un progetto vincente. E Paquetà doveva essere il nuovo Kakà. Mi ricordo ancora quel goal al Napoli: dopo un lancio lungo stop del polacco, finta e controfinta, rientro sul destro e tiro a giro. Pubblico in estasi per quella dimostrazione di velocità, di tecnica mista alla forza bruta.

La sua stagione era andata avanti con una buonissima media realizzativa, nonostante il Milan di Gattuso non giocasse un calcio entusiasmante. Ma almeno dei palloni giocabili gli arrivavano, e di fatto ogni suo tiro in porta si tramutava in goal. Per 40 milioni era sembrato un affare come pochi, e il cambio di panchina lo avrebbe dovuto ulteriormente aiutare. L'arrivo di Giampaolo aveva suscitato delle grandi perplessità nella maggior parte dei tifosi milanisti, che non vedevano in lui un tecnico capace di far fare al Milan il salto di qualità: questo perché nella sua carriera non aveva mai allenato un top club, e purtroppo il bel gioco non aveva portato la Sampdoria a nulla. Una scommessa, insomma. Una scommessa sponsorizzata da Sacchi, che l'aveva indicato come suo possibile erede, poiché usava il 4-3-1-2, modulo difficile da mettere in pratica con successo. Perché questo? Con questo modulo bisogna dare un impronta quasi esclusivamente verticale alla propria squadra, che comporta quindi un gioco dinamico e rapido, che non abbia momenti di pausa per giocate orizzontali. E per dare orizzontalità bisogna che I terzini di entrambe le fasce iperlavorino sia in fase offensiva che difensiva. Insomma, un modulo giusto per un Milan con Maldini, Baresi, Ancelotti, Evani, Gullit, Rijkard e Van Basten, ma non per una squadra come quella di oggi.

Eppure la tourneè in America aveva fatto ben sperare, soprattutto la partita con il Bayern: si era visto un Milan gagliardo e si intravedevano già le prime combinazioni interessanti. Il più in forma era sembrato Theo, che fino ad ora si è rivelato il miglior acquisto del mercato estivo. La partita con il Cesena ha segnato, purtroppo, un punto di non ritorno: quello 0 a 0 aveva fatto venire I brividi ai tifosi rossoneri, che si ritenevano già insoddisfatti di Giampaolo. Che intanto non aveva avuto la tanto agognata seconda punta rapida (Correa, quello scarso si intende, quello che fa panchina all’Atletico Madrid e pretende di essere pagato 55 milioni) e aveva adattato Suso a trequartista, bocciando di fatto Paquetà e Calhanoglu che sono per natura due trequartisti. Ma non erano questi i veri problemi. Piatek era il vero problema del Milan: non riusciva più a segnare, non costruiva più occasioni da rete, non sembrava più il freddo pistolero che aveva fatto tremare tutte le difese d’Italia. Ma cosa li è successo durante la breve permanenza di Giampaolo?

Piatek è arrivato in Italia da classico “signor nessuno” e sin dalla prima partita (quaterna in Coppa Italia) ha dimostrato di essere una punta completa: forza fisica, rapidità, tiro forte e preciso, freddezza e intelligenza tattica. Non è un Lukaku di fisico, ma si difende bene con la sua statura robusta. È veloce, ma non è un Lautaro. È cinico, quasi come un Icardi. Insomma, un attaccante completo. Gattuso lo aveva reso un giocatore letale, che sapeva segnare da ogni occasione possibile. Di fatto lo aveva abituato a un gioco che non gli garantiva rifornimenti continui, e quindi quelli che arrivavano andavano trasformati con freddezza. Era diventato l’idolo di San Siro, la sua esultanza la preferita dei tifosi rossoneri. La sua maglia una delle più vendute, il suo nome uno dei più cantati. Era diventato una punta completa. Ma per fare la punta, e questo Giampaolo non l’aveva proprio capito.

Perché il polacco è sostanzialmente bravo a fare una cosa, giustamente: goal. Ma Giampaolo nel suo gioco ha bisogno di un attaccante che faccia il regista, che sappia portare e smistare la palla. Che sappia difenderla portandosi sull’esterno, per permettere gli inserimenti delle mezzali. Ma Piatek non è assolutamente in grado di svolgere questo compito, non essendo dotato né di tecnica sopraffina né di grandi capacità nel difendere il pallone. Inoltre, la sua visione di gioco non è proprio quella di un Quagliarella. Lo si è visto più volte durante la gestione dell’ex tecnico: il polacco andava a prendersi la palla per giocarla, ma poi non si vedeva mai in profondità, ne sui cross degli esterni. E sulle poche occasioni che gli capitavano non riusciva a mandarla dentro. Soltanto da rigore, ci era riuscito. Troppo poco per quella che dovrebbe essere una punta fra le più forti in circolazione.

Non reggeva nemmeno la scusante “che non sa giocare con un’altra punta”, perchè con il Genoa aveva giocato con Kouame, senza nessuna difficoltà, anzi: I due sono diventati ottimi amici non solo dentro il campo, perché l’uno era la salvezza dell’altro. L’ivoriano si muoveva tantissimo, svariando su tutto il fronte d’attacco, e lasciava al polacco la possibilità di segnare.

Con Pioli pensavamo che tutto questo fosse finito, che Piatek sarebbe ritornato quello di una volta, e la prima partita sembrò darci ragione: primo goal su azione dopo mesi. La maledizione della 9 è stata sconfitta, pensavamo. Chissà con quanto godimento avrà riso Pippo, davanti alla nostra illusione. Un’illusione che sarebbe durata veramente poco, perché il polacco non è cambiato di un nulla. È rimasto lo scarso attaccante che Giampaolo ha voluto plasmare: molle in fase di finalizzazione, imbarazzante in quella di costruzione. Semplicemente perché cerca di fare cose che lui non è capace a fare, per predisposizione naturale. E si intestardisce pure nel farle, come dimostra un’azione nel finale di Milan-Napoli: lui si ritrova da solo, circondato da 5 maglie azzurre davanti all’area di rigore, mentre c’è un suo compagno libero. Invece di passargli la palla, come dovrebbe fare un buon regista offensivo quale Giampaolo gli ha fatto credere di essere, cerca di affrontare palla al piede l’intera difesa partenopea, facendo di fatto sfumare una potenziale ottima occasione.

Questa a dimostrazione che il periodo di involuzione di Piatek è cominciato con Giampaolo, che l’ha reso un giocatore assurdamente scarso. In sé, come “puntero”, come “cobra d’area di rigore” rimane un giocatore eccezionale per prestanza fisica e cinismo, ma dovrà tornare ad essere chi veramente è. Fino ad allora vivrà nella mediocrità che lo contraddistingue al momento. Ma per fargli riacquistare il titolo di “bomber” servirà un allenatore sensazionale, un Antonio Conte, o un Mourinho. Purtroppo Padre Pioli qualche miracolo lo farà, ma questo appare sin troppo complesso. Magari che non fosse un fenomeno lo sapevamo, ma che sia scarso no. Non lo è, semplicemente non fa quello che sa. Pretende di essere qualcuno che non è. Piatek si è dimenticato chi è.

 

NB: cercasi un bravo psicanalista e motivational speaker, magari non quello di Bonucci.