Vorrei iniziare a scrivere questo racconto con una frase che, ormai, è diventata storica. Molti di voi, magari quelli meno giovani, diranno "Ma che frase è mai questa?". Per chi non lo sapesse, "Che succede?" è una citazione (voluta, sottolineo) di un "gesto tecnico" di Marco Castoldi, in arte Morgan. Questa frase, che ripeto essere diventata storia, è stata pronunciata durante il festival di Sanremo, precisamente quando, dopo che Marco aveva cantato di fronte al pubblico dell’Ariston una versione "rimaneggiata" della canzone Sincero, Bugo ha deciso di abbandonare il palco, visibilmente offeso, forse quasi sorpreso da quel gesto così meschino e allo stesso tempo coraggioso, quasi innocente. Nello stesso momento in cui Bugo è uscito di scena, Morgan ha pronunciato le due parole famose, come se non si fosse assolutamente reso conto di ciò che aveva fatto.

Fra sentimento e lavoro

E, forse, nemmeno io che sto scrivendo questo pezzo so a cosa sto andando incontro, perché, dopotutto, le idee vengono fuori con la scrittura, e la scrittura richiede tempo. Tempo che, evidentemente, nessuno è disposto a dare a Maurizio Sarri, per me, in questo caso, Maurizio. E, forse, nemmeno lui, allenatore della Juventus e vincitore di un'Europa League con il Chelsea, si è reso conto, un anno fa, a cosa stava andando incontro. Perché che i tifosi napoletani l'avrebbero odiato, era chiaro. Che lui non sarebbe più stato considerato il Che Guevara del calcio italiano, era chiaro. Dopotutto, nella visione sociologico-antropologica che noi abbiamo del calcio, Sarri è diventato un venduto, uno che ha buttato dietro alle sue spalle dei valori "superiori" per dedicarsi al guadagno e alla vittoria dei trofei. Una visione, questa, tanto obsoleta e tanto cara a noi tutti, che non siamo assolutamente in grado di immedesimarci nella mente di quello che a tutti gli effetti è un professionista che deve "fare i propri comodi". Di questo, però, parlerò in un altro momento.

Allegri aveva capito tutto, Maurizio no

Ora vorrei soffermarmi su Maurizio, il nostro amico "che non è più lo stesso". Una frase che lascia sul palato un sapore agrodolce di cliché. Eppure, tant'è. Il divorzio fra Allegri e la Juventus, alla fine della stagione 2018-2019, era dato praticamente per scontato. Già dal freddo inverno si sapeva che il tecnico livornese avrebbe voluto prendersi un anno di riflessione, un anno da passare con la sua famiglia, senza avere sul collo il fiato asfissiante di dirigenza (che aveva altri piani per il futuro) e tifosi (che, giustamente, volevano vincere questa Champions League). Lui, che aveva vinto 4 scudetti ed era arrivato due volte finale di Champions League, doveva ancora sentirsi dire che qualcosa non andava bene, che la sua squadra non giocava. Ed effettivamente era vero, ma non era quello l'obbiettivo di Allegri, che sapeva perfettamente di non disporre di una squadra fatta per un calcio tutto fantasia e tocchi di prima. Per quello servono ben altri interpreti. Alla fine della stagione, quindi, arrivò questo attesissimo divorzio, accolto con scetticismo da alcuni e con gioia da altri. L'erede, dopotutto, sarebbe potuto essere decisamente importante: si era addirittura arrivato a parlare di Guardiola, quando l'unico obbiettivo realistico a cui la dirigenza poteva aspirare era Sarri, l'emblema dell’anti-juventino. I tifosi scettici, quindi, aumentarono di numero, anche perché Maurizio, nella visione bianconera della cose, era un perdente nato, capace di vincere solo nelle coppe. E, paradossalmente, era anche quello che voleva la Juventus. Dopotutto, a chi poteva fregare di vincere il nono scudetto di fila? Ai tifosi della Juventus fregava, eccome se fregava.

L'ex allenatore del Napoli, quindi, firmò questo contratto con la Juventus. Era lapalissiano che avrebbe usato il suo 4-3-3 ed era ancora più chiaro che Pjanic sarebbe diventato il nuovo Jorginho. Poi arrivarono anche i colpi de Ligt e Danilo, che arricchirono il pacchetto difensivo della nuova Juventus che stava nascendo, una Juventus che voleva mettere da parte il suo passato fatto di "non gioco" e nessuna Champions League. Una Juventus che voleva riscattarsi, diventare il nuovo Napoli, rappresentare un ideale di calcio ammirato ed emulato in tutto il mondo. O meglio, questo era il pensiero di dirigenza e tifosi prima di prendere Maurizio, che da quando si è effettivamente seduto sulla caldissima panchina bianconera non ha trovato pace, semplicemente perché è emersa tutta l’incoerenza di società e tifosi. Esatto, quella stessa società e quegli stessi tifosi che tanto volevano il bel gioco, che tanto volevano vincere la Coppa dalle grandi orecchie.

Una società forte e lungimirante, non con Paratici


La società della Juventus è da anni la miglior società italiana. Impossibile negarlo. Chi si nasconde dietro al patetismo di dichiarazioni da bar come "Calciopoli" o "Ladri!" evidentemente non capisce assolutamente nulla di calcio, pur pretendendo di essere un pozzo (o una fogna?) di verità assolute. Marotta e Petrarchi, dopotutto, sono stati i protagonisti assoluti di una rinascita senza precedenti nel calcio italiano e mondiale, oserei dire. Ripartire dalla Serie B e tornare a competere prepotentemente fra le grandi d'Europa è un qualcosa che non capita tutti i giorni, anzi. È un vero e proprio miracolo sportivo da ammirare e cercare di emulare. Eppure c'è chi ancora, anche fra gli stessi tifosi, critica e ha criticato la Juventus. Che sia perché non ha mai avuto il Gasperini di turno, che sia per le sue plusvalenze ultragonfiate, che sia, che sia, che sia. Insomma, se c'è una società che in Italia è odiata, quella è la Juventus, senza se e senza ma. Io, personalmente, non ci trovo nulla di male in ciò che fa la società bianconera, che, per quanto talvolta possa sembrare antisportiva, fa tutto negli interessi della propria squadra. Andare a "rubare" i migliori giocatori delle altre squadre è politicamente scorretto? Sì, e allora? Purtroppo bisogna entrare nell'ottica che il calcio "non è più quello di una volta", detto come se una volta fosse il paradiso. Non è così. Il politicamente scorretto è sempre esistito ed è giusto che esista, altrimenti il mondo sarebbe noiosissimo. Chiudendo questa lunga premessa, mi vorrei soffermare su cosa Paratici (perché Marotta in inverno era volato a Milano) abbia sbagliato nella gestione del nostro Maurizio. Ci sono due visioni distinte: da una parte quella prettamente calcistica, dall’altra quella più "filosofica".

L'incompatibilità tattica

Sicuramente Paratici ha scelto il tecnico meno adatto per questa Juventus, per un motivo in particolare: il gioco di Maurizio è basato sulla squadra, vista come entità unica e indissolubile. Un gioco di squadra presuppone la capacità del singolo di adeguarsi all'insieme, in modo da favorire un'intesa potenzialmente vincente. In altre parole, il gioco del nostro Maurizio vuole essere un richiamo a quello che il calcio dovrebbe essere, ovvero un gioco di squadra in cui è appunto l'insieme a prevalere sul singolo. Purtroppo, alla Juventus, questo gioco è un'utopia. Mi spiego: forse non sarebbe nemmeno impossibile da realizzare, ma sulla panchina dovrebbe essere presente un allenatore-generale, che è diverso da un tattico del calcio come Sarri. Questo perché lo spogliatoio della Juventus, per quanto possa sembrare "serio", si è rovinato con l'arrivo di Cristiano Ronaldo. Non mi faccio problemi a dirlo perché è evidente. Con ciò non sto affermando che la Juventus è diventata più scarsa con l'arrivo di uno dei giocatori più forti al mondo, ma sto solo dicendo che lo spogliatoio ne è stato irrimediabilmente danneggiato, per una questione semplicissima: CR7 non è un giocatore disposto a fare squadra. È uno dei solisti migliori della storia del calcio, un trascinatore senza paragoni, che, però, proprio per questo non può essere "incatenato" a degli schemi predefiniti. Al portoghese deve necessariamente essere lasciata libertà di scelta nelle azioni di gioco, altrimenti lo si limiterebbe e non si riuscirebbe a tirare fuori da lui il 100% del suo sconfinato talento. Ripeto: non sto assolutamente andando contro Ronaldo, anzi. Il suo acquisto è stata una mossa di marketing perfetta, che però presupponeva anche una presa di coscienza tattica da parte della Juventus, che evidentemente non c'è stata. Altrimenti, se ci fosse stata, Sarri non sarebbe mai e poi mai arrivato a Torino. Un discorso simile vale anche per Dybala e Douglas Costa, anche se sicuramente in misura minore, perché questi ultimi non dispongono di quella strabordante personalità che invece è un marchio di fabbrica del fuoriclasse portoghese.

Riassumendo il discorso, è chiaro che la scelta di Paratici è tatticamente completamente sbagliata, perché va a costringere un allenatore a mutare i propri schemi in funzione di una squadra che è fatta per vincere grazie alle giocate dei singoli. Questo, di per sé, non sarebbe assolutamente un male, perché lo stesso Real Madrid ha vinto tre Champions League grazie alle giocate dei singoli, pur senza proporre un gioco di chissà che livello tattico. Queste squadre non sono squadre, ma aggregati di campione che giocano per loro stessi e che, in quanto campioni, riescono ad ottenere risultati superiori alla media. Un direttore sportivo (o chi per lui) deve, quindi, comprendere i bisogni della propria squadra. E Paratici, abbandonato da Marotta, ha dimostrato di capirci ben poco.

Comfort zone, questa amata comfort zone

"Maurizio, che succede?" potrebbero dire molti tifosi juventini. "Maurizio, ndo sta il sarrismo?" potrebbero dire tanti altri. Beh, il sarrismo, in quanto stile di gioco e pensiero anticalciocapitalistico (permettetemi questo neologismo), non esiste più. O meglio, è sopravvissuta l'idea, che, tuttavia, non è in alcun modo collegata all'individuo. Non vi è alcun nesso ontologico fra il sarrismo e Sarri, senonché è stato proprio Maurizio a inventare questo "stile". Con il suo trasferimento alla Juventus, questo stile è evidentemente andato in frantumi, sia per tre motivi:

  • il motivo tattico, di cui ho parlato sopra;

  • il motivo temporale, per cui non gli è stato dato (e nessuno gli sta tuttora dando) il tempo necessario per lavorare con calma e precisione (anche se credo fermamente che sarà un sonoro fallimento);

  • il motivo antropologico.

Su quest’ultimo vorrei aprire un importante discorso. Sarà estremamente generalizzato, quindi qualsiasi juventino che la pensi diversamente non deve assolutamente sentirsi preso in causa. Anzi, vi invito a commentare e farmi sapere la vostra in caso non foste d'accordo.

Il motivo antropologico è dettato principalmente dalla natura stessa dei tifosi e della società, che, nonostante le varie dichiarazioni, continuano a preferire inconsciamente lo Scudetto alla Champions. Mi spiego: la società e molti tifosi bianconeri affermano che la Coppa dalle grandi orecchie è l'obbiettivo stagionale. Arrivati a metà stagione, con la squadra che non è ancora certa del primo posto, tutti questi cominciano a gridare allo scandalo, come se l'allenatore fosse un indegno. Eppure, per vincere la Champions League, bisogna notoriamente uscire dalla propria comfort zone e dedicare anima e corpo alla sua vittoria. Il campionato, quindi, deve essere messo da parte, ma società e tifosi non ce la fanno proprio, perché rappresenterebbe quasi un’onta. Vorrebbe dire che la Juventus non è più la squadra più forte d'Italia.

Cavolate. Per raggiungere un determinato obbiettivo, bisogna avere la mente fissata principalmente su quell'obbiettivo. Quando questo obbiettivo diventa più complesso, bisogna fissarsi solo ed esclusivamente su quell’obbiettivo, senza cercare di ritornare alla proprio comfort zone. Non so quante volte io abbia detto obbiettivo, ma proverò a rifare questo paragone in modo più "scolastico", così magari è anche più facile da comprendere: immaginate di essere uno studente bravissimo in italiano (che è la Serie A), che da sempre prende 10 nei temi di questa materia. Purtroppo, com'è normale che sia, fate pena (o siete meno bravi) in un'altra materia, per esempio inglese (che è la Champions). Voi volete cambiare le cose e cominciare ad alzare quel 6 di inglese. Quindi vi impegnate in quella materia e le dedicate più tempo rispetto all'italiano, in cui comunque avete il vostro 9, perché non gli dedicate più il tempo per prendere 10. In inglese, dopo essere riusciti a prendere un 7, prendete un 5. Ora, l'alunno Juventus, se succedesse ciò, lascerebbe subito perdere inglese e si fionderebbe di nuovo su italiano, dove riusciva ad avere voti altissimi. L'alunno Liverpool o Real Madrid, invece, continuerebbe a impegnarsi in inglese, magari riuscendo ad arrivare al tanto agognato 10.

Con questa metafora molto scolastica e semplice spero di avervi fatto capire come, probabilmente, ragionano sin troppo spesso società e tifosi della Juventus. Un modo estremamente deleterio di fare le cose, che fa parte della mentalità dell'italiano medio. Italiano medio che non si trova solo alla Juventus, ma anche all'Inter, al Milan, al Napoli, al Palermo e al Chieti. In altre parole, il posto fisso farà sempre più gola di un obbiettivo per cui bisogna sforzarsi.

Un fallimento preannunciato


Ora, dato che ho finito di esporre i motivi del fallimento di Sarri (e sto parlando come se fosse già finita la sua avventura, perché per me lo è a tutti gli effetti), voglio semplicemente concludere il tutto con un in bocca al lupo per Sarri, che merita tutto il rispetto del mondo, anche perché ha accettato una sfida difficilissima: snaturarsi per vincere con una squadra infarcita di campione di altissimo livello. Perché si potrà dire tutto, ma Ronaldo e Dybala sono giocatori stratosferici, che, però, necessitano di una forte leadership da parte dell'allenatore o di libertà tattica. E il nostro bel Maurizio, purtroppo, non riesce e non riuscirà a garantire ciò. E non gliene si deve fare una colpa, perché tutto, dal tempo alla libertà di creare una squadra sarrista, gli è stato negato. E tutti gli hanno remato contro dal primo giorno.

Quindi, Maurizio, che succede? Nulla, non succede nulla. Perché questo matrimonio non s’aveva da fa', né ieri né mai!

Federicoz