Passano minuti, ore, giorni. Eppure la stupidità di molte persone rimane invariata. Einstein, in fondo, aveva ragione.

Perché ostinarsi ad uscire anche se il Paese sta andando in rovina per colpa di uno spaventoso virus? Niente di più che un’influenza, dicono alcuni. Un’influenza che ha fatto 3000 morti. E non mi interessa se tutti dicono che erano persone dal quadro clinico complicato: avrebbero potuto vivere altri anni, sbaglio?
Solo perché sono più deboli, hanno meno diritto di vivere rispetto a chi invece è più forte? Se fosse così, saremmo una società primitiva, quasi animalesca, regolata dalla legge del più forte. Legge che attualmente vige nel mondo del calcio: belli che passati i magici tempi (che purtroppo non ho potuto vivere!) in cui vincevano trofei anche squadre meno blasonate, meno ricche, ma che si sforzavano di giocare a calcio con quello che avevano, spremendo da ogni singolo giocatore il massimo. Oggi, invece, squadre come Dinamo Zagabria, Steaua Bucarest, Notthingam Forrest e Celtic sono realtà ben lontane dall’essere riconosciute e vincenti a livello internazionale. La stessa cosa vale paradossalmente anche per l’Ajax: stupendo, meraviglioso, ma in Europa è difficilissimo che vinca. Per l’Atalanta vale lo stesso. Questo perché oggigiorno non vige più la regola del “vince chi gioca a calcio”, ma “vince chi ha più soldi per permettersi i giocatori migliori”.

E non nego che in passato sia stato così, perché il soldo ha sempre attirato l’uomo, che per natura è una creatura corruttibile, non sempre moralmente ineccepibile. Nessuno si sognerebbe mai e poi mai di dire no di fronte ad un contratto 4 o 5 volte più alto rispetto a quello che si percepisce. Ma il mondo del calcio di una volta era diverso: prima delle implicazioni economiche, spesso (ma ovviamente non sempre) vi erano quelle affettive. Il giocatore si sentiva legato ad un determinato club, come se da giovane avesse stretto una sorta di patto matrimoniale con questa entità fisico-astratta. Un vero è proprio foedus latino, basato totalmente sulla fides, anche se forse nel mondo romano c’erano delle implicazioni economiche.

Insomma, una volta il calcio era bello perché era puro, perché era un gioco prima che un lavoro, niente di più, niente di meno. Ognuno cercava di seguire il proprio cuore e le ogni squadra cercava di esprimere un proprio gioco: chi non lo faceva, difficilmente vinceva. E se vinceva, era perché aveva i giocatori più forti, che il calcio ce l’avevano codificato nel DNA. Oggi invece vincono solo queste squadre, perché le seconde, quelle che giocano bene, necessiterebbero di risorse economiche ingenti per trattenere tutti i giocatori che plasmano nella giovanili, inevitabilmente attratti da tutti quei top club che offrono stipendi faraonici conditi con promesse di grandezza, spesso irrealizzabili. Questo perché il calcio è sport, divertimento, non denaro. Eppure questo ce lo siamo dimenticati.

Tutto questo lunghissimo, eterno pensiero per dire che nel calcio vige la legge del più forte.
Chiaro, no? Anche in natura vi è questa legge, ma fino ad un certo punto. Sin da Darwin, infatti, si è diffusa sempre di più la teoria che a sopravvivere per più tempo sia sempre l’organismo più adattabile: prendiamo ad esempio il celacanto, un pesce che si credeva estinto da 65 milioni di anni. All’improvviso, un secolo fa, è stato scoperto in un mercato ittico asiatico. E giù teorie su teorie. Ma l’equazione era semplice: il celacanto era sopravvissuto perché era stato capace di adattarsi all’ambiente circostante, mutando le proprie abitudini. Infatti sopravvivono sempre gli animali che si adattano alla natura, non quelli che adattano la natura. E questo dovrebbe far riflettere anche noi: siamo sicuri che cambiare, stravolgere il pianeta non comporti alcun rischio? Sicuramente NON ne siamo sicuri, noi, persone ragionevoli. Poi ci sono persone un po’ meno ragionevoli, ma pur sempre d’onore, che pensano che il mondo sia stato creato appositamente per l’uomo e che quindi vada sfruttato a dovere, come una miniera senza fondo. Peccato che senza fondo non sia. E su questo ho riflettuto molto, oggi, come ieri, e ci rifletterò anche domani, sicuramente: com’è possibile considerare più importanti dei fattori economici rispetto alla vita di miliardi di persone? Tutti dicono “ma non è così, è ovvio che la vita valga di più”, e poi ne senti molti parlare di economia che deve andare avanti nonostante l’epidemia, et cetera et cetera. Bella coerenza. Sarà che sto leggendo un libro di Dan Brown in questo periodo, ma mi sento veramente un complottista cavolo! (ironia portami via sulla tue ali leggiadre e flessuose!).

E ora, che mi trovo davanti alla televisione, su RAI 1 (non m’hanno pagato per dirlo, vi giuro!) mi tocca vedere un medico che piange. Leonardo, avrà circa 30 anni, e piange disperato, come se non vi fosse male peggiore del virus, mentre altri, fra cui anche alcune personalità di spicco, dicono che non è nulla, è una semplice influenza. C’è chi dice (e non farò nomi), in pratica, che se non si vedono persone morenti per strada non è una vera malattia, facendo paragoni senza senso con la peste trecentesca. Questo solo perché le persone non hanno una visione sempre “storica” della peste, e si fanno trascinare da ciò che dice una persona istruita, che effettivamente ha studiato per anni il Medioevo o quant’altro. Il popolo è da sempre un’entità umorale. È semplicemente una folla manzoniana un po’ più ampia, che ascolta chi le garantisce il bene, il buono, la salute, anche se sono promesse obiettivamente irrealizzabili. Talvolta prevalgono i sentimenti, ma spesso questi sfociano in violenza. Tutto questo in virtù di una fantomatica libertà di pensiero e di azione.

La stessa persona che ha sminuito il virus paragonandolo alla peste, ha detto anche che l’obbligo di stare a casa è una manovra antidemocratica, e ci ha polemizzato sopra: effettivamente, è così. Uno Stato democratico non può obbligare i cittadini a stare in casa. I cittadini, i detentori del potere politico, devono essere liberi di fare ciò che vogliono.

Peccato che, secondo me, la libertà di azione finisca lì dove si va a ledere la salute psico-fisica di una persona. Sembra antidemocratico? Va bene, sembrerò antidemocratico. Ma se il governo non avesse fatto nulla, quante persone starebbero morendo in questo momento sui freddi letti di un ospedale, da soli, senza nessuno che li possa vedere? E alcuni mi diranno “Sono vecchi e deboli, e hanno una situazione clinica già compromessa”. E io vi risponderò “Hanno meno diritto di vivere?”.

Ma seriamente, vi potete immaginare cosa sarebbe successo senza un decreto che obbligasse i cittadini a stare in casa? Un disastro economico e sociale, che avrebbe visto perire intere famiglie. E magari i giovani come me sarebbero sopravvissuti, probabilmente anche i genitori, ma le persone anziane no. I nonni sarebbero stati un lontano, sfumato, doloroso ricordo.

Tutto questo perché bisogna sempre sbandierare la bandiera della democrazia, posponendo il buon senso. Non è autoritarismo quello del governo, è razionalità. Quella che è mancata e manca a molte persone, che escono nonostante tutto: c’è chi, nella mia città, ha addotto a giustificazione questa frase “devo comprare le mazzancolle”. E io non commento, lascio a voi. Perchè mi ha fatto ridere come poche cose negli ultimi giorni.

Ogni giorno poi sento di persone che fanno sport, che corricchiano sulle ciclabili qua nei dintorni: insomma, lo farei anch’io, con queste giornate stupende. Prendo dall’armadio una tuta termica, carico le mie Airpods, mi metto le Nike e corro, corro lontano, senza una meta precisa. 4-5 chilometri e torno a casa, sudato come se avessi corso la maratona di New York. Ma il mio Genio (come direbbe Erasmo da Rotterdam) mi avverte “Non farlo Federico, non farlo”. E io “Ma cosa sarà mai una corsa! Mica ho il corona!”. Ecco, questo sarei io senza un minimo di buon senso. Per fortuna che mi è ancora rimasto.

Ma persone che fate sport, sì, proprio voi, a meno che non andiate proprio in aperta campagna, dove non ci sono che piccoli animaletti intenti a riposarsi dalle estenuanti risate che si fanno di noi umani, non ce la fate proprio a stare in casa? Esistono esercizi che si possono fare in casa, no? Ma no, lo sport è insostituibile nella vita di una persona. Certo, ma la vita è proprio insostituibile. Capitelo finalmente.


E dopo questa orazione degna di un Cicerone moderno, in cui ho inveito brutalmente e nemmeno, devo ammetterlo, tanto raffinatamente contro le persone nominate sopra, voglio parlare finalmente di calcio. In parte, devo ammettere, mi sono scontrato con il mio pensiero: sono stato incoerente, in altre parole. Mi ero promesso di non scrivere nulla riguardo al coronavirus, non su VivoPerLei, ma alla fine l’ho fatto. Era uno sfogo personale, e probabilmente non sarà compatibile con il pensiero di tutti. Sinceramente vorrei che chi non è d’accordo commenti, giusto per avere un confronto con altre persone che stanno vivendo la mia stessa situazione, pur vivendo a chissà quanti chilometri da me.


E adesso, dopo che mi sono di nuovo interrotto, voglio parlare del calcio. Moto uniforme e perpetuo di tutti gli italiani, che rivedono nel pallone loro stessi. Un gol, spesso, viene sminuito: non viene apprezzato a pieno il gesto tecnico del calciatore, o non viene apprezzato nemmeno il calciatore. Ogni gol, dopotutto, se fosse apprezzate come merita, porterebbe via tanto di quel tempo che nemmeno possiamo immaginare. Ed in una società come la nostra, non abituata a fermarsi, a prendersi un momento di pausa, questo potrebbe sembrare uno spreco di tempo. Seneca stesso diceva “Siamo tirchi per tutto, ma con il tempo siamo generosissimi”: semplicemente voleva dire che in tutto quello che facciamo badiamo ad ogni singola cosa, mentre il tempo, che è la risorsa più preziosa che abbiamo, lo usiamo per sciocchezza, accorciando ancora di più il tempo disponibile per noi stessi. E qui, dico, mi contraddice anche uno dei più grandi stoici della storia, cosa dovrei fare?

Beh, non proprio: Seneca diceva che il tempo non doveva in alcun modo andare sprecato, ma lo studio, la contemplazione del bello, non è mai una perdita di tempo, e anzi arricchisce l’animo, permettendogli di entrare in quel suo porto sicuro da cui rifuggire ogni male. E ammirare un gesto tecnico di livello, o un gol “bello” (per essere riduttivi), è un vero e proprio studio del bello, che implica anche la sua contemplazione. Plotino, filosofo “totale” che visse due secoli dopo Seneca, diceva che la contemplazione del bello aiuta l’anima, imprigionata dalle catene della materia, a liberarsi e a convergere verso l’Uno.

E quindi noi, dall’alto della nostra somma, totale e moderna sapienza, dovremmo fare come ci dicono i padri della nostra cultura, vero? Probabilmente sì, e di sicuro non faremmo tutto questo dramma per l’interruzione degli sport, del calcio in particolare. Sì, fa male. Il calcio, dopotutto, occupa una parte importante nella nostra vita e nel nostro cuore.

Noi, che scriviamo in questo blog, passiamo ore e ore a scrivere, a dilettarci, in uno sforzo di altruismo egoista. Nel senso che condividiamo idee, ci diamo una mano, ma spesso vogliamo anche essere compiaciuti. Non è bello da dire, ancora meno da sentire, ma è inevitabile che sia così.

I calciatori, che vivono di calcio, sono costretti a stare rinchiusi in casa, come leoni in una gabbia fredda e buia, che non permette di esprimere il proprio stato d’animo. È brutto, ma ce la fanno.

I giornalisti sportivi non hanno di che scrivere, se non di calciomercato, di cui non ce ne può fregare di meno, in questo momento.

Da questo si capisce che il calcio non è solo un gioco: è uno stile di vita, è letteralmente la proiezione dello stato. In Italia va tutto bene? Il campionato è divertente. In Italia va tutto male? Il campionato non è più tanto divertente. Non sto attaccando la Juventus, che anzi stimo moltissimo per il modello che è riuscita a creare, ma attacco tutte le altre squadre italiane, succubi di un modello calcistico apatico. E adesso che tutto poteva cambiare, ecco il disastro. Brutto, bruttissimo. La storia del campionato cambierà sicuramente, ma non è colpa di nessuno.

Adesso va messo da parte il calcio e va messa davanti la vita. Non è un ideale cristiano, bigotto, vecchio. È un ideale umano ed etico, che va posto anche davanti all’economia, che in qualche modo ripartirà. Ci vorranno anni, forse, ma ripartirà.

Quindi il calcio è solo un gioco? No, ma in questo momento sì. Un gioco che dovrebbe dilettarci, non farci lamentare. E allora non lamentiamoci: quando abbiamo del tempo libero, sediamoci, prendiamo il computer con cui scriviamo, prepariamo un bel thè caldo e cerchiamo repliche di partite che non abbiamo mai visto, o video di gol che non abbiamo mai potuto ammirare. Oppure ancora leggete i miei articoli (che sono meravigliosi e belli lunghetti, così vi passa la voglia di uscire o vi faccio direttamente addormentare). Dopotutto, Internet è una risorsa. E in questo momento dobbiamo imparare a sfruttarla.

Ma chi, come me, deve stare ogni singolo giorno attaccato per 5 ore al giorno al computer a prendere appunti, sarà solo che schifato da quello schermo LCD. Allora prendiamo un libro, sdraiamoci, leggiamo, chiudiamo il libro, chiudiamo gli occhi, pensiamo a noi stessi. Oppure stiamo con i nostri cari. Stiamo soprattutto con i nostri cari, con i nostri genitori, che presto potrebbero non esserci più. E pensiamo che se fossimo come certe persone, saremmo noi stessi gli assassini di chi ci ha dato amore durante la nostra stessa vita. Questo per cosa? Per difendere la nostra libertà di azione?

Il calcio è il nostro gioco. Impariamo a divertirci, allora. I bambini possono insegnarci molto più di quello che pensiamo. Ascoltiamoli, allora. E stiamo finalmente a casa, perché ci sono persone, medici ed infermieri soprattutto, che non ce la fanno più. Scoppiano in lacrime, perché vedono persone innocenti morire, senza nessuno. E alcuni, intanto, pensano all’economia. Adesso, questa economia, è un gioco come il calcio. Ci si penserà dopo: sarà terribile, ma sempre meglio di riempire intere colline con cadaveri.


E sono stato molto diretto, ma volevo esserlo. L’ironia che ho sempre usato, la satira, il riadattamento, non avrebbe raggiunto, forse, alcune persone. Che poi mica voglio insegnare io, mica sono un medico da ascoltare. Volevo solo sfogarmi, condividere con voi un pensiero che da troppo mi rimbomba nella mente. E per questo ringrazio la redazione, che ha reso disponibile questo spazio per tutti noi.

E ringrazio chiunque abbia letto, dal profondo del mio cuore.

 

 

Federicoz