Dire che stiamo attraversando un periodo particolare della nostra storia sarebbe usare un eufemismo, nel vero senso della parola. Una situazione così surreale non si viveva da parecchi anni ed inevitabilmente ha colpito tutti noi, dai più giovani (come me) ai più anziani.

Oggi, come ogni giorno, mi sono concesso 20 minuti all’aria aperta, nel giardino di casa mia: mi sono giusto messo la felpa della mia società, un paio di turf Nike e ho cominciato a palleggiare in una spazio di forse 15 metri quadrati. Pur sapendo che quello non era la normalità, mi sono divertito: da solo, con quel pallone, provavo tutte le “skill” che conoscevo. E a dire la verità, ho rischiato di cadere più di una volta per franare addosso alle piante di mia madre, di cui non voglio nemmeno immaginare la reazione.

Ad un certo punto, però, ho deciso di fermarmi e di riflettere, mentre il sole splendeva alto nel cielo. Erano le 11. Questo perché il giorno prima ero rimasto profondamente colpito da una notizia che era uscita prima su Onefootball, poi su Calciomercato e poi si era via via sparsa nel web: Abdelhak Nouri si era risvegliato finalmente svegliato dal coma, dopo 3 lunghissimi anni. 3 anni di dolore lancinante per la sua famiglia e per tutti i suoi compagni di squadra, che lo avevano visto crescere e piano piano affermarsi come uno dei migliori prodotti delle giovanili dell’Ajax.

Ma adesso torniamo indietro a luglio del 2017: la stagione calcistica in Olanda è terminata da più di un mese. Per l’Ajax è stata una stagione con più ombre che luci e non è arrivato nessun trofeo: la squadra che arriverà in semifinale di Champions League due anni dopo, però, sta cominciando lentamente a prendere forma. Con il Jong Ajax, la seconda squadra dell’Ajax, ha brillato in modo particolare Nouri, un minuti ragazzino di origini marocchine. 170 per poco meno di 60 chili lo rendono un peso piuma rispetto ai robusti difensori olandesi, ma lui ha qualcosa in più: il talento. Un talento sconfinato racchiuso in un corpo che non lo limitava, ma ne amplificava ulteriormente le qualità: Nouri infatti era un giocatori agilissimo, capace di giocare nello stretto e di dribblare con grande naturalezza ed efficacia. Davanti alla porta, poi, si era dimostrato molto freddo ed era anche dotato di un’ottima visione di gioco. Ecco, se c’era una caratteristica che aveva stregato l’Ajax, quella era la sua visione di gioco: sembrava che il trequartista olandese tenesse in mente una sorta di cartina del campo, aggiornata in tempo reale con i movimenti dei suoi compagni di squadra. Alcuni dei suoi assist, per quanto le difese della seconda serie olandese siano poco compatte rispetto agli standard italiani, sono da vero visionario. Da Xavi, per dirla tutta. Insomma, Nouri era un giocatore completo e con ampissimi margini di crescita. Tutto questo a soli 20 anni.

Ma Abdelhak era anche tanto altro: era un ragazzo d’oro, come lo descrivevano i suoi amici. Un ragazzo disposto ad aiutare chiunque glielo chiedesse. Un ragazzo che si faceva rispettare, non tanto per l’aggressività, o per una particolare ed innata leadership, ma perché si comportava come un uomo, non più come un ragazzo. L’eleganza che portava in campo la faceva trasparire anche fuori. Il minimalismo che lo contraddistingueva nei dribbling si rivedeva anche nel suo modo di parlare: poche parole, tanti fatti e soprattutto rispetto.

Ad Amsterdam l’avevano capito subito: quel ragazzino era veramente un fenomeno, la Next Big Thing del calcio olandese. Uno che con il pallone faceva quello che voleva quando lo voleva. Sempre con eleganza ed efficacia, però, mai esagerando con inutili doppi passi o inefficaci no-look. Esteticamente era un giocatore meraviglioso nella sua pura semplicità. Infatti a maggio del 2017 venne eletto miglior giocatore della seconda divisione: 10 gol e 11 assist in 26 partite lo avevano definitivamente affermato fra i professionisti e infatti l’Ajax l’aveva fatto esordire in prima squadra, facendogli giocare 12 partite totali fra campionato e coppa, in cui andò anche a segno.

Il mondo del calcio era sul punto di conoscere quel minuto ragazzino: tutti, finalmente, avrebbero potuto ammirare la bellezza del suo gioco. Infatti all’inizio di luglio venne promosso definitivamente in prima squadra dall’allenatore Keizer, subentrato a Bosz, e cominciò la preparazione estiva con i grandi, con quella maglia che indossava sin da piccolo e con cui sognava di giocare la Champions League.

L’8 luglio si sarebbe tenuta un’amichevole contro il Werder Brema: una normalissima e tranquilla amichevole estiva, in cui rimettere nelle gambe un po’ di minuti e risvegliarsi dal torpore estivo. Insomma, un modo per i calciatori di svegliarsi dopo le vacanze. Una sorta di rientro a scuola. Nouri era in campo, eccitatissimo per l’inizio di questa nuova avventura con i grandi. Fino al 70esimo le squadre si contendevano la vittoria in un clima di assoluta tranquillità: il Werder stava vincendo 2-1 e l’Ajax stava cercando di recuperare il gol di svantaggio.

Ad un certo punto, al 72esimo minuto, sulla trequarti offensiva dei Lancieri, Nouri prima di cadere mette le mani davanti e si appoggia per terra con la schiena. Inizialmente la situazione non sembra particolarmente grave, perché poteva trattarsi benissimo di un colpo di sole, date le alte temperatura e la prolungata esposizione alla luce solare. L’arbitro gli si avvicina, mentre un suo compagno di squadra gli tiene la mano sinistra: Nouri perde completamente colore, sbianca in volto, come se fosse svenuto. Viene chiamato il medico della squadra, che accorre velocemente, cercando di capire cosa stia succedendo. Compagni e avversari cominciano a pensare al peggio: Nouri, probabilmente, sta giocando la partita più importante della sua vita. Sì, perché sta giocando per la sua vita. Il suo talento in questo caso non lo aiuterà, pensano i compagni. Presto accorrono anche i medici del Werder Brema e un’ambulanza. Intorno al ragazzino si forma una confusa mischia di persone che devono salvargli la vita: nessuno ormai crede più nel colpo di sole. Nessuno.

Abdelhak sale sull’ambulanza e viene portato in ospedale. Le prima notizie che arrivano sembrano rincuoranti: il ragazzino è fuori pericolo di vita, nonostante l’aritmia cardiaca che l’ha colpito come una freccia in campo. I familiari sono pieni di speranza, i suoi compagni di squadra si stringono in un caldo ed appassionato abbraccio per quello che era un ragazzo amato da tutti. Un vero uomo, nonostante i soli 20 anni. E ora si era anche dimostrato incredibilmente forte.

Il 13 luglio, però, arriva la notizia che frantuma definitivamente il fragile pallone di speranze: l’ospedale di Innsbruck, dove era stato ricoverato, comunica che Nouri ha riportato gravi e permanenti danni cerebrali, che ne limiteranno le funzioni fisiche e cognitive. In pratica, finisce in coma ed è costretto a rimanere attaccato a un freddo letto d’ospedale. Quel cervello, quello stesso cervello che gli permetteva di avere una vista totale del campo da calcio, lo aveva tradito. Il suo talento sarebbe per sempre rimasto imprigionato in quel corpo, senza la possibilità di essere espresso. E soprattutto il mondo aveva perso un ragazzo d’oro, una di quelle persone che l’avrebbero arricchito.

Per i familiari aveva inizia un lungo e tortuoso percorso, dalla fine incerta. Nessuno sapeva se Nouri si sarebbe ripreso e come si sarebbe ripreso. O se sarebbe morto con il tempo. Intanto i suoi migliori amici ne onoravano la memoria: De Jong e Kluivert, i suoi migliori amici dell’Ajax, con cui aveva condiviso gioie e dolori nelle giovanili, ad ogni gol segnato mandavano una dedica all’amico che si era dovuto fermare prematuramente. Nessuno voleva dimenticarsi di Nouri, che era rimasto nei cuori di tutti: perché? Semplice, era un ragazzo d’oro.
Nell’estate del 2018 il fratello Abderrahim dichiara che Nouri è cosciente e riesce a comunicare coi suoi familiari. Questa è solo la prima vittoria di una lunga battaglia per il ritorno alla normalità. Una battaglia che Abdelhak, pur non potendo urlarlo al mondo, ha tutta l’intenzione di combattere.

Ieri, 27 maggio, è arrivata la notizia sensazionale: Nouri è tornato a casa, è cosciente, comunica sempre a gesti e riesce anche a trasmettere emozioni. Capisce dove si trova e cosa gli accade intorno. Tuttavia rimane bloccato nel suo corpo, immobilizzato ad un letto. Che non è più il freddo letto di un freddo ospedale, ma è il caldo letto della casa. Di quella che è l’oikia della cultura greca. Un porto sicuro, come la definirebbe Seneca, dove rifugiarsi quando la tempesta si sta per abbattere sull’immenso oceano della vita. E il “ragazzino” ha vinto anche la seconda battaglia della guerra per la sua vita. In particolare, volevo soffermarmi su un dettaglio che mi ha letteralmente fatto commuovere: Nouri, quando guarda delle partite in calcio, sorride. E questa è la prova che il calcio non è solo un gioco, ma è vita. È vita nonostante su un campo da calcio quel ragazzino sia quasi morto. È un fine a cui ogni amante del calcio tende. Eppure è uno semplicissimo sport. Uno sport che ha la forza di far sorridere un ragazzo che fino a qualche giorno fa non era nemmeno in grado di far emergere i propri sentimenti.

La storia di Nouri è commovente, a tratti straziante, ma di un dolore lancinante che squarta ciò che abbiamo nel petto: molto probabilmente non tornerà più a giocare a calcio e le stesse probabilità di rivederlo in piedi sono molto remote. Eppure, oggi l’ex-promessa dell’Ajax è sempre con noi. Come un quadro che conserva la memoria di un’artista. L’artista è ignoto, forse è il talento, forse è il dio cristiano o forse il dio musulmano. Ma il quadro è davanti a noi e abbiamo avuto la possibilità di ammirarlo.

Nouri, se fosse un quadro, sarebbe la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Un quadro meraviglioso, dotato di una forza espressiva senza precedenti e di un realismo che andava oltre le normali capacità dell’uomo. Un quadro che ha lasciato negli artisti del tempo un’impronta fortissima. Un quadro che tuttavia a noi non è giunto se non attraverso copie di artisti contemporanei e subito posteriori. Perché? La tecnica pittorica usata, ripresa dagli scritti di Plinio, si era rivelata completamente inutilizzabile e i colori, una volta stessi, avevano cominciato a colare. Leonardo, sconsolato, aveva rinunciato a quel lavoro a cui aveva dedicato tre anni di prove e di studi, di cui non ci è giunto nulla, se non qualche suo disegno. Il cartone stesso è andato perduto. E il talento di Nouri, in tutta la sua magnificenza, eleganza, purezza, semplicità, è andato perduto. Il suo nome, però, finché sarà pronunciato e ricordato, sopravvivrà al tempo. Come la Battaglia di Anghiari. Benché Nouri sia protagonista di una battaglia più importante: la battaglia per la sua vita.

 

Federicoz





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