La Francia, per quanto goliardicamente possa essere odiata dagli italiani, rimane una nazione che ha dato i natali a decine e decine di giocatori sensazionali: Zidane, Platini, Henry, Griezmann, Benzema, Kopa, Trezeguet...e sto nominando solo i giocatori più offensivi, perché se dovessi elencare tutti i giocatori straordinari che hanno vestito la casacca blue dovrei stare qui almeno un’ora.
Fra questi, però c’è un attaccante di cui moltissimi ignorano l’esistenza. Eppure detiene uno dei record che più dovrebbero stuzzicare la fantasia degli amanti (o dei curiosi cronici) del calcio, ovvero il maggior numero di gol segnati in un mondiale, precisamente quello del 1958.

“Ah sì! Vabbè è facile scusa: Garrincha? Pelè? O forse Liedholm?” direbbero alcuni.
E io “Ragazzi, v’ho detto che stiamo parlando di calciatori francesi!”.
E loro “Ah io non parlo dei mangia-baguette: che pensino a ridarci la Gioconda!”
E di nuovo io, dando sfoggio di una cultura da storico dell’arte in fasce “Innanzitutto la Gioconda gliel’ha portata Da Vinci e nessuno ce l’ha rubata: per secondo avete ragione, so dei magna-baguette!”.
Qui la nostra discussione serissima finirebbe e io rimarrei con il mio segreto.
Segreto che non riuscirei a mantenere per molto, e che quindi racconterei a voi in questo articolo.

Ascoltate bene, e non ditelo a nessuno senza prima farlo ragionare sulla sua tremenda e vitale ignoranza: il giocatore in questione è...*rullo di tamburi*...*rullo di tamburi che continuano a tamburellare anche dopo lo stop del direttore d’orchestra*...*insulti del direttore d’orchestra a tutta la sua orchestra scadente e apparentemente sorda*...Just Fontaine.
Sì, lo so, sembra l’unione casuale dell’avverbio inglese “just” con uno strano francesismo di “fontana”, ma vi giuro che è stato un attaccante. Uno dei più forti che la Francia ricordi.

Il talento esotico
Just Fontaine nasce il 18 agosto del 1933 a Marrakech, in Marocco. Suo padre è normano, sua madre è spagnola. Lui, cittadino del mondo. Sin da piccolo dimostra di essere uno studente diligente e di possedere una grande abilità nelle lingue, che gli permette di parlare fluentemente il francese, l’arabo e lo spagnolo. Allo stesso tempo Just ha un’ardente passione per il calcio. Il padre, ex-giocatore e arbitro, vedendo giocare il figlio per le strade della città, capisce che ha talento, e quando si sposta a Casablanca con tutta la sua numerosa famiglia gli fa fare un provino con l’USM Casablanca: gli allenatori lo vedono giocare e ne rimangono ammaliati. Da centrocampista fa quello che vuole sul campo, ma è considerato un po’ troppo individualista e soprattutto troppo gracile. Difetti “normali” per i giocatori africani dell’epoca, ma Fontaine ha ben altri obbiettivi: lui vuole sfondare nel calcio che conta, diventare qualcuno. E difficilmente riuscirà a farlo con la nazionale marocchina o con una squadra marocchina.
Ciononostante viene tesserato dal club e la sua carriera comincia. La mattina va a scuola, al prestigioso Lyceé Lyautey, il pomeriggio studia e si allena con la squadra. A 16 anni è già considerato uno dei migliori prospetti del Nord Africa e gioca sempre con ragazzi più grandi di lui, ma i francesi non sembrano notarlo. È troppo gracile e troppo esotico, gli ripetono. Non sfonderà mai nel calcio europeo, per quanto possa essere bravo. Non è disciplinato: se proprio volesse, potrebbe andare a giocare in Brasile.

Lui non ci sta e continua a lavorare per affinare la sua tecnica e soprattutto il suo tiro, dato che con il suo arrivo in prima squadra viene spostato in attacco, a fare la punta centrale: tutti sembrano un po’ stupiti da questa scelta, ma Just non ci mette molto a convincere anche i più scettici. Le sue mancanze fisiche sono perfettamente bilanciate da una tecnica sopraffina, sviluppata non durante gli allenamenti con la squadra, ma sulle trafficate e sabbiose strade di Casablanca. I gol non tardano ad arrivare, e sono tanti: più di un gol a partita per 2 anni, fino al Natale del 1952, quando viene convocato dalla nazionale marocchina per giocare contro la Francia B, a Marsiglia. I suoi perdono, ma Just gioca un’ottima partita e le sue qualità rimangono impresse nelle menti degli osservatori del Nizza, che contattano immediatamente l’USM Casablanca e si assicurano quell’attaccante estremamente talentuoso. La stagione dopo si sarebbe dovuto trasferire a Nizza, non lontano dal luogo della partita che lo aveva fatto conoscere agli “snob” europei.

Al suo ritorno a casa, Just trabocca di emozione: il suo sogno di giocare in Europa sarebbe finalmente stato coronato e con questo anche la possibilità di giocare per la nazionale francese. E magari di vincere il Mondiale. Ma questi erano solo sogni, e il gracile ed esotico attaccante non è proprio un sognatore: il padre gli ha sempre insegnato a tenere i piedi ben piantati a terra, per evitare dolorose cadute. Eppure è impossibile non provare un inveterato sentimento di rivalsa verso coloro che l’avevano sempre definito un giocatore che in Europa non avrebbe minimamente trovato spazio. Era sempre stato considerato “la scimmietta” più brava del “circo”: una visione tremendamente classista e razzista, in linea con il pensiero dell’epoca, benché fosse francese da parte di padre.
Adesso no. Lui, al contrario di altri, avrebbe avuto la possibilità di fare la storia. E l’avrebbe fatta.

L’arrivo in Francia
Terminata l’avventura in Marocco, dove in tre stagioni ha segnato 62 gol in 48 partite, Just Fontaine parte da Casablanca su un piroscafo. Niente jet privati e nemmeno aerei spaziosi e confortevoli. Il nuovo talento rossonero ha solo una valigia, un contratto e un pallone da calcio: tutto questo deve stare in una piccola e fatiscente cabina, di quelle che prima hanno abitato chissà quante migliaia di emigranti africani che cercavano fortuna in Francia. Just passa il tempo leggendo o palleggiando, ma soprattutto pensa a cosa farà una volta arrivato: ok, parla fluentemente la lingua ed è un calciatore in rampa di lancio, ma poi? La sua famiglia è lontana e il mestiere del calciatore non garantisce ancora un futuro luminoso e soprattutto ben pagato. Eppure, nonostante il futuro sia estremamente incerto, lui decide di inviare buona parte dei suoi primi stipendi in Marocco, per aiutare la sua famiglia e i suoi amici.
I tanti vizi della Costa Azzurra non contaminano minimamente la purezza dell’esotico Just, che rimane il ragazzo sobrio e diligente che aveva lasciato Casablanca.
L’esperto attaccante Luis Carniglia si rivede sin da subito in Fontaine: entrambi provengono da due nazioni, l’Argentina e il Marocco, che pur essendo separate da migliaia di chilometri, sono considerate estremamente arretrate non solo economicamente, ma anche calcisticamente. I due, pur appartenendo a due generazioni completamente diverse, si intendono a vicenda: l’argentino, ormai 36enne, serve più da uomo-squadra e non gioca molte partite, ma consiglia Fontaine, come farebbe un padre con il proprio figlio.

L’esotico marocchino, soprannominato quasi subito “cinese” per i suoi occhi a mandorla, entra sin da subito in sintonia con i suoi compagni di squadra, diventandone il perno offensivo ed affinando le sue qualità principali. Allo stesso tempo, impara anche i fondamenti della tattica: non deve più dribblare ogni avversario che ha davanti per segnare, ma può passare la palla ai suoi compagni di squadra, che non sono meno dotati di lui. Il calcio è uno sport di squadra e si vince tutti insieme. Eppure lui è un fuoriclasse, lo si capisce subito. Lui, quando vuole, può decidere da solo una partita. Basta che prenda palla e cominci a danzare su di essa, lasciando inermi tutti i difensori francesi. Il fragile ragazzino marocchino, capace di trasformarsi in un violento haboob.

In Francia la sua reputazione cresce ad una velocità impressionante, quasi paragonabile alla sua quando supera un avversario. Già nel dicembre del 1953 viene convocato dall’Under 21 francese per giocare contro il Lussemburgo. “Siamo a metà dell’opera”, avrà pensato. “E ora dimostriamo a tutti quello che valgo” avrà aggiunto il suo inconscio. Nell’8-0 finale, tre sono i gol del “marocchino”. Tre gol lo fanno entrare direttamente nei cuori di tutti i tifosi presenti allo stadio, quel freddo giorno di un autunno che si appresta a cedere il passo all’inverno. Quei tre gol che lasciano sul palato un dolce sapore di datteri, ma allo stesso tempo sono francesi. E il CT della Francia non si fa problemi ad inserirlo nei 40 preselezionati per il Mondiale in Svizzera, salvo poi non convocarlo. Dopotutto, la Francia è strapiena di giocatori offensivi e “quello lì” ne deve ancora fare molta di strada.
“Quello lì” alla fine della sua prima stagione in Francia conta 17 gol segnati in Division 1 e soprattutto una coppa nazionale vinta. Eppure nessuno sembra ancora considerarlo un calciatore d’alto livello.

Sì, ok, è bravo, ma è troppo fragile fisicamente. Ce lo vedete contro i colossi della Svezia o dell’Unione Sovietica? Abbiamo tutti visto la fine che ha fatto la ginga brasiliana ai Mondiali del 1950 e non vogliamo che la Francia faccia la stessa fine. Vero?
Beh, se questi furono i pensieri dell’allenatore che non convocò Just per i mondiali in Svizzera, bisogna dire che furono assolutamente errati, perché la Francia uscì già al secondo turno. Intanto il “cinese” pensava a fare bene a Nizza, dove aveva anche trovato quella che sarebbe diventata la sua anima gemella. Ma procediamo con ordine.

La sua seconda stagione in Francia si conclude ancora meglio della precedente: 20 gol segnati in 28 partite gli garantiscono il quarto posto della classifica marcatori, ma la stagione della squadra è tutt’altro che esaltante e si conclude con un triste nono posto, esattamente a metà classifica. Triste perché quando una squadra si posiziona fra le prime cinque, la dirigenza e i tifosi capiscono che è stato fatto un buon lavoro, mentre se una squadra finisce fra le ultime cinque, a tutti appare chiaro che bisogna cambiare qualcosa. Se invece si finisce in mezzo, i limiti e le potenzialità di una squadra rimangono espressi a metà, ed è difficile capirci qualcosa.
Ciononostante tutti si preparano ad affrontare la stagione successiva, sotto la guida di un nuovo tecnico argentino. E quel tecnico è Luis Carniglia, che conclusa la carriera da calciatore con il Nizza viene scelto per diventarne l’allenatore: la scelta del club rossonero si rivela vincente, con il tecnico argentino che riesce a far emergere tutto il potenziale della squadra e a portarla alla vittoria del campionato e della coppa. Paradossalmente, però, Fontaine, che è stato il suo prediletto sin dall’inizio, gioca una stagione sottotono, segnando solo 5 gol in 17 partite. Colpa di alcuni problemi fisici e di qualche errore di troppo.
Eppure la sua fama ha ormai raggiunto l’apice. Tutte le squadre di Francia lo vogliono, e lui sa che la sua scelta dovrà essere ponderata, perché a 23 anni quello sarebbe stato il contratto che l’avrebbe catapultato nel calcio che conta. Arrivano persino alcune offerte dall’estero, ma lui, come il padre gli aveva insegnato sin da piccolo, ha piedi ben piantati a terra. Non vuole esagerare, ma nemmeno dimostrarsi troppo timido. Dopotutto, è uno degli attaccanti più forti di tutta la Francia. Nel frattempo, Kopa vola in Spagna, acquistato dal Real Madrid del mitico presidente Bernabeu, e lo Stade de Reims, la squadra francese più blasonata dell’epoca (e pensando al Reims di oggi fa abbastanza sorridere), si ritrova un attaccante di riferimento. La tifoseria è inferocita e minaccia la dirigenza di non presentarsi allo stadio se non arriverà un altro attaccante di pari livello: dopotutto, loro sono la squadra del momento e devono sognare in grande. L’aver vissuto una stagione piuttosto “strana” terminata con un mediocre decimo posto in campionato e una finale di Coppa dei Campioni persa non aiuta di certo la dirigenza, che viene “messa al muro”.

Una squadra fortissima per un giocatore ancora più forte
Fontaine è “solo” uno dei tanti ottimi attaccanti presenti in Francia, ma la dirigenza decide di puntarci con convinzione, acquistandolo per 105 mila franchi, una cifra più alta di quella che il Real aveva speso per Kopa. Inizialmente i tifosi non sembrano stravedere per lui, perché non è proprio quel colpo che si aspettano, dato che viene da una stagione in cui ha segnato appena 5 gol. Ok, è giovane e ci può stare una stagione di transizione, ma in quel momento il Reims ha bisogno del trascinatore, di quell’uomo capace di segnare e far segnare. E quell’uomo è Fontaine, ma nessuno lo sapeva ancora. Alla fine, della prima stagione, però, tutti se ne sono resi conto, e quell’uomo che aveva fatto innamorare prima i tifosi del Casablanca e poi quelli del Nizza fa letteralmente impazzire quelli del Reims, che dimenticano completamente il ben più famoso Kopa. 30 gol in 31 partite riportano il Reims in posizioni di classifica “degne”, ma la cima è ancora lontana. Nella stagione successiva, però, i 34 gol in appena 26 partite risultano fondamentali per la vittoria di campionato e coppa, trofei già vinti in carriera da Fontaine. Questa volta, però, il merito è tutto suo. E in più, arriva anche il titolo di capocannoniere.

Eppure, chissà per quale motivo, Fontaine non è ancora considerato il miglior attaccante francese in circolazione. Raymond Kopa è la vera stella della nazionale francese, ma questa volta nessuno può pensare di escludere Just dai convocati per il mondiale in Svezia. E infatti non lo escludono, benché con la nazionale vanti numeri piuttosto mediocri: dopo il folgorante esordio con l’Under 21 ha giocato altre 4 partite e ha segnato appena 1 gol. Un Immobile ante litteram: eccezionale con il club, pessimo in nazionale.
Eppure, chissà per quale motivo, tutto sarebbe cambiato proprio con quel mondiale.

IL MONDIALE
La Francia si presenta in Svezia come una nazionale ultra-offensiva, molto vicina allo stile di gioco sudamericano, benché questo non debba trarre in inganno: non è il talento a fare da padrone nella nazionale francese, quanto l’intesa fra i membri di essa. Le cinque fondamenta infatti sono Kopa, Vincent, Piantoni, Wisnieski e lui, Fontaine, che è costretto ad indossare la maglia numero 8 per non scomodare il fenomeno del Real Madrid. Tre di loro giocano nello Stade de Reims e Kopa ci giocava fino a due stagioni prima. Tutti, tranne Vincent, non sono “francesi purosangue”, come sarebbe piaciuto ai vertici della federazione, probabilmente: Fontaine viene dal Marocco, Wisnieski e Kopa hanno i genitori polacchi, mentre Piantoni ha origini italiane.

Insomma, la nazionale francese di oggi, formata in larga parte da giocatori di origini africane, ha le sue radici nel melting pot che si andava formando negli anni '50 e '60. Gli anni del boom economico, che convinsero molti italiani, polacchi e spagnoli ad emigrare verso nazioni a vocazione mineraria, come Francia, Belgio e Germania, benché il lavoro nelle miniere fosse massacrante e pericolosissimo. Questo però non era il caso di Fontaine, che era semplicemente un ragazzo che aveva inseguito e continuava ad inseguire il suo sogno di alzare quella maledetta coppa del mondo che non ne voleva sapere di ritornare a “casa”.

Il mondiale inizia con una grande vittoria contro il Paraguay, ma soprattutto il “cinese” riesce a segnare una tripletta all’esordio in un campionato mondiale. Nella partita successiva, però, arriva una sconfitta che sa già di eliminazione: la fortissima Jugoslavia riesce a battere per 3-2 la nazionale francese, con Fontaine che non si scompone e segna una doppietta. All’ultima partita del girone la nazionale blue incontra una Scozia che ormai non ha nulla da perdere dato che ormai è fuori dai giochi. Piantoni e di nuovo Fontaine però decidono l’incontro e portano la Francia ai quarti di finale, dove si trovano davanti la forte Irlanda del Nord, sorpresa di questo campionato mondiale. La nazionale francese invece è tutt’altro che una sorpresa ed è quasi in preda ad una sorta di “trance” agonistica: la partita si conclude con un sonoro 4-0. Fontaine? Pervenuto, con un’altra doppietta.

Arriviamo alla semifinale. E che semifinale! La Francia di Kopa e Fontaine avrebbe sfidato il sorprendente Brasile di Pelè e Garrincha. Sorprendente perché ai tempi la Selecao era tutt’altro che una nazionale affermata, e anzi le ferite del Maracanazo non si erano ancora rimarginate. Per questo l’allenatore Feola aveva cercato di instillare nei suoi giocatori la tattica, che però non ne voleva sapere di contaminare la purezza di Pelè e Garrincha. E alla fine fu proprio questa purezza, unita ad un talento fuori dal comune, che decretò la vittoria del primo mondiale verdeoro.
Ma questo i francesi non possono saperlo, benché la partita si metta subito male con il gol di Vavà. Fontaine riesce a pareggiare pochi minuti dopo, ma prima Didi e poi uno scatenato Pelè mettono la parola fine a qualsiasi possibilità di giocarsi la finale.

I giocatori blue escono dal campo a testa bassa, distrutti. Il loro sogno stava per realizzarsi. La coppa del mondo sarebbe potuta tornare a casa. E adesso non sarebbe più stato così. I brasiliani, quegli stessi brasiliani che erano considerati alla stregua di animali li avevano non solo battuti, ma proprio stracciati, umiliati di fronte a tutto il mondo. E anche la stella di Fontaine, che aveva brillato di una luce accecante, era stata oscurata dai nuovi fenomeni brasiliani. Eppure lui sapeva cosa voleva dire lottare per superare determinati stereotipi, e se ne stava in silenzio, conscio del fatto che quella del Brasile sarebbe stata prima di tutto una vittoria sociale. E poi, scusate, Just rimaneva il capocannoniere del mondiale e sicuramente sarebbe rimasto tale: fino ad allora aveva segnato 9 gol, mentre Pelè, il secondo in classifica, appena 4. E rimaneva una partita da giocare per entrambi.

Nella finale per il terzo posto si sfidano la Germania e la Francia: è questa la partita che consegna a Just Fontaine il record che fino ad oggi ha tenuta viva la sua memoria che altrimenti, molto probabilmente, sarebbe andata perduta nella mediocrità, in quel pozzo senza fondo che inghiotte tutto e tutti.
In quella partita Fontaine segna 4 gol, portando a 13 il suo score totale in quel mondiale. 13 gol in 6 partite. Numeri che tuttora non sono stati eguagliati da nessuno e che probabilmente non verranno mai eguagliati. Kopa lo definisce il miglior attaccante del torneo, Pelè il miglior giocatore. Ma purtroppo a noi questa memoria è arrivata offuscata dalla moltitudine di eventi che si sono succeduti dal 1958 ad oggi.


Vediamo di analizzare più nel dettaglio Just Fontaine: nel 1958 non è più la fragile e indisciplinata “scimmietta”, ma è un attaccante dinamico e letale davanti al portiere. Sono proprio la grande freddezza davanti al portiere e la sua straordinaria mobilità a contraddistinguerlo: e la tecnica, beh, la tecnica non gli manca di certo, anzi, ma non è un giocatore spettacolare come Pelè o Garrincha. Non è l’attaccante che cerca ossessivamente il dribbling, quanto più è un giocatore che fa della semplicità un’arma letale. Non lo si vede mai scartare quattro avversari per poi insaccare scartando anche il portiere, perché quando capisce che il dribbling sarebbe troppo difficile, preferisce passare il pallone ad un compagno meglio piazzato. I suoi stessi gol non sono belli come quelli di Garrincha e Pelè: non fraintendetemi, gol meravigliosi ne ha fatti, ma con il suo arrivo in Francia è diventato un giocatore più concreto che spettacolare. Una sorta di incrocio fra Icardi e Aguero, per fare un paragone abbastanza vicino a noi, visto che credo che veramente in pochissimi lo abbiano visto giocare una partita intera.


Gli ultimi attimi di gioia e il declino
Adesso, dopo questa breve digressione, torniamo alla sua storia
Fontaine, partito da comprimario, torna da eroe nazionale: all’aeroporto lo accoglie una massa in festa nonostante la sconfitta e il Reims non ci pensa due volte a rinnovargli il contratto a cifre, ironia della sorte, faraoniche, per far desistere il pressing serrato di Barcellona e Real Madrid. L’attaccante intanto pensa ad espandere sapientemente il suo business: di sera grazie alla sua voce calda e melodiosa canta nei locali più “in” di tutta la Francia, mentre di giorno si allena e fa da testimonial per diverse aziende. Tuttavia, Fontaine non diventa un “galletto”, ma rimane l’umile ragazzino che aveva lasciato il Marocco con un borsone pieno di vestiti e di speranze. La sua famiglia viene in Francia, e lui si ritrova a vivere quel sogno che aveva intimamente desiderato per tanti anni.
Calcisticamente poi non potrebbe andare meglio: nella stagione 1958-59 segna 24 gol e il Reims arriva fino in finale della Coppa dei campioni. I trofei sono zero, ma la fama continua ad aumentare.

La stagione successiva Kopa rientra a casa e va a ricomporre i “quattro moschettieri”, che conducono la squadra alla vittoria del campionato e della supercoppa europea, con il “cinese” capace di realizzare 28 gol in altrettante gare. Gol che gli valgono anche il titolo di capocannoniere, che però ha un sapore vagamente amore, come un seme di caffè troppo tostato. Nel marzo del 1960, durante la gara contro il Sochaux, Fontaine si è infortunato gravemente dopo un durissimo scontro di gioco. La diagnosi è impietosa: tibia e perone fratturati. Con questo, la sua carriera si può definitivamente finita.
L’11 dicembre dello stesso anno gioca la sua ultima parte con la nazionale francese, contro la Bulgaria.
Nei successivi due anni gioca appena 16 partite e segna 9 gol.
Nel 1962 decide di appendere gli scarpini al chiodo, tormentato da continui infortuni.

Un talento meraviglioso ma fragile: un diamante purissimo, lavorato artigianalmente dalla stessa mano del Talento, che purtroppo ha dovuto dire addio prematuramente allo sport che amava. Similitudini con un altro grande del calcio mondiale che ha vestito la maglia del Milan?
Ai posteri di VxL l’arduo commento.

 

Dopo il ritiro, però, Fontaine non si è dato per vinto. Ha fondato il sindacato dei calciatori; ha cominciato a lavorare per Adidas e nel 1967 è diventato CT della Francia, anche se per poco. Nel 1973 un PSG appena fondato lo ha convinto a rimettersi in gioco per dare fama e credibilità alla squadra. Nel 1981 la sua vera ultima partita, da allenatore del suo amato Marocco.

Oggi è un amato 80enne che ama la pesca e il sonno. Oggi è quasi diventato un signor nessuno, che non si ricorderebbe proprio nessuno se non fosse che ogni 4 anni, in occasione dei Mondiali, salta fuori il suo nome. Perché alla fine la memoria di un uomo è legata a ciò che ha fatto in vita. E quando anche questo ricordo si perde, la memoria svanisce per sempre. Ecco perché Fontaine è l’esempio lampante del bomber dimenticato. Un giocatore straordinario che ha scritto una pagina di storia. Una pagina senza trofei di rilievo, una pagina composta solo da tutti i suoi gol.

 

 

Federicoz