Un giorno, il cui tempo, nel manoscritto che ritrovai, è ignoto, si aggirava per le vie di una modesta scuola un ragazzino, che di nome faceva Giorgio. Giorgio Chiellini, detto anche Giorgione.
“Giorgio! Giorgio! Vieni a giocare (vi prego, la c, che si trovi a inizio o fine di parola, ma anche in mezzo, pronunciatela come dei veri toscani) con noi, a grullo!” gli disse un amico, seguito da altri suoi coetanei.
“Nono ragazzi, perdonatemi, oggi non è proprio giornata. La maestra, quella buona donna, m’ha dato un quattro che se lo scopre il mio babbo non mi fa uscire per un anno! E pensare, cavolo, che sono sempre stato il migliore cavolo, il migliore della classe...cos’ha avrò fatto stavolta, amici?” rispose Giorgio.
“A grullo Chiello, sempre a pensare alla scuola stai! Vieni lo stesso, che poi al babbo cosa vuoi che ne freghi della scuola!”
“No ragazzi, la scuola va sempre messa al primo posto, e poi vengono i divertimenti. Non mi interessa cosa ne pensiate voi, visto che con i voti, beh, non è che ve la caviate chissà come…”
“A proprio grullo sei Chiello! Faremo a meno di te: sei tanto bravo a scuola, ma a calcio fai un po’ schifo.”
“CHE COSA HAI DETTO? Io, il figlio del dottore, farei schifo a calcio? Amico, o calzolaio, vai a riparare un po’ di scarpe che mo’ mi girano eh, mi girano!”
“Giorgione, stai calmo, sennò quel naso che ti ritrovi se trasforma nella centrale di Larderello! E poi, sinceramente, non è sciallo giocare con te: stai sempre così agitato e rabbioso, come se dovessi giocare la Coppa dei Campioni...ah no, scusa, sei juventino...non volevo”
“Mo’ vai via Papu che se continui la prossima volta, in palestra, ti falcio!”
Il Papu, infastidito e impaurito, si allontanò mestamente, continuando il suo tour per la scuola alla ricerca di ragazzi con cui giocare, non competere. Lui adorava divertirsi, palleggiando con quel suo pallone dell’82 che gli aveva regalato il babbo. Pensava di più al calcio che alla scuola, il Papu. Per questo il primo anno era andato molto male, con voti da valzer: un due tre un due tre (nah questa è vecchia). Poi però, nel secondo anno, dopo essere riuscito a passare per il buco del c...nono, rettifico, buco della chiave, la sua media voto era andata salendo, fino a quasi competere con quella del Giorgio. Purtroppo il Papu aveva un problema: era incostante: ogni tanto prendeva 4, e poi per quattro compiti di fila lo vedevi sventolare il suo 10 (talvolta con la lode per il bel gioco). E Chiello che si rodeva il fegato peggio dell’aquila a Prometeo, ovviamente, non lo poteva dare a vedere. Dopotutto, era il figlio del dottore e, nonostante tutto, la sua media era ben più alta di quella del Papu.
“A Mario, che succede oggi? Perché te ne stai tutto solo in disparte? Vieni qua che ci facciamo na bella chiacchierata. L’hai vista che passera la Raffaella? Mamma mia!”
“Senti Papu, non c’ho voglia di parlare di quella o di quell’altra tipa. Dopotutto, sono un tipo navigato e te ne potrei parlare per ore...ah diavolo, dimentica quello che ho detto!”
“Ma no Mario, che c’è?”
“è che, è che...è per prima, hai capito. Giorgio m’ha deriso davanti a tutta la classe: c’eri pure tu. E io che pensavo fosse mio amico! Quel suo brutto naso un giorno lo prendo con una pallonata, che magari s’appiattisce!”
“Guarda, per questioni d’areazione non te lo consiglio. Lo manderesti in surriscaldamento e chi lo tollera più poi?”
*risate sincere di entrambi”
“No, sinceramente, stai tranquillo Mario, è che ha avuto un giorno difficile...sai, per lui prendere 4 è come tirare il pelo ad un orso: prima t’ammazza e poi te magna, se non sei più rapido di lui a scappare. Anche se tu, di scappare, non c’hai proprio voglia a quanto pare”
“E che sono, un loffio? No Papu, non scappo da lui! Lo affronto a testa alta, la prossima volta, e gli faccia vedere io chi domina sul campo da calcio...altro che scuola!”
“Sta attento, che Chiello, pur essendo un secchione, sa essere ben cattivo…”
“Anch’io so essere ben cattivo, anche se ora sono qui a piangere!”
E una lacrima rigò il volto scuro di Mario, che cercò di nasconderla dall’occhio attento del Papu. Lui, però, la notò e non disse nulla, perché una parola sbagliata, in quel momento, avrebbe fatto più male di un imbarazzante silenzio.
“Papu, dai, vengo io a giocare...almeno ci divertiamo un po’, in mezzo a tutti sti secchioni seriosi e rompic******i!”
“Eddaje Mariooooooooo, namoseeeee (in un dialetto romano più imbarazzante del silenzio)!!!”.

I due arrivarono al campetto, dove però si trovava già Giorgio con i suoi amiconi: il Gigi, il Leo, il Barza e quelli là, insomma, i migliori della classe. In disparte se ne stavano il Dani e il Felipe: mamma mia se sembrava imbufalito! Ringhiava quasi, come se stesse per azzannare qualcuno da un momento all’altro.
Felipe non è mai stato un ragazzo facile: è dovuto crescere in un quartiere difficile, ha dovuto sbattersi per arrivare a dove è arrivato oggi, fra i migliori della classe. Eppure è un tipo ruvido, di quelli che le note le prende come se fossero la pioggia su Londra. A Mario e al Papu non piaceva, perché in tutta sincerità rimaneva una testa di c***o, però gli stava sempre più simpatico del Giorgio e di tutta la sua combriccola.
I due, quindi, si avvicinarono a Felipe per chiedergli se potessero giocare.
“Che c***o volete si può sapere pischelli? Non venite a rompere il c***o a me che c’ho già i c******i girati con quel nasone della mia squadra!” disse subito il ragazzo, con un vago e alquanto “escobaresco” accento sudamericano.
“Ok ma stai calmo amico. E non chiamarmi pischello, sennò t’apro il c**o, capito?” rispose Mario d’istinto, com’era solito fare. Eppure sapeva benissimo che stava per cacciarsi nei guai, con quello lì. Il Papu pensò di intervenire ma quando vide i due avvicinarsi pericolosamente disse che no, era meglio andarsene via prima di prenderle. Infatti tra i due litiganti il terzo ne prende per due.
Dopo aver visto la rispettiva rabbia negli occhi, però, i due si placarono e si sedettero sulla stessa scalinata, con in mano un panino alla cotoletta (surgelata e ricotta chissà quante volte), come due amici di vecchia data. “Eppure prima si erano quasi menati sti pischelli!” pensò il Papu dalla finestra della scuola.
“Mario, t’ho visto un po’ agitato eh. C’hai avuto due palle così a dirmi le cose che m’hai detto, sai? Nessuno era mai stato così schietto con me. Tutti hanno paura di quello che sono diventato e di come lo sono diventato. Pure lui, lo vedi, quel Giorgio. Santa madonna se mi sta sui cosiddetti!
Adesso fa il bravo capitano, lì, in mezzo alla difesa, come se fosse il Dio del calcio. Bravo è bravo, non posso negarlo, eppure ti mena, ti mena, ti mena. Mi piace tutto sommato. Ok che io c’ho na reputazione che potrei tornare in Brasile e costruirmi una banda, però questo qui non ci sta dentro Mario. Poi prima, dopo che ho lasciato la squadra per andare a palleggiare da solo, m’ha preso per il c**o davanti a tutti: ha detto che ero una mela podre o come dite qui in Italia una mela marcia...stavo per saltargli addosso, ma poi mi sono ricordato che papà non potrebbe mai sfidare un dottore, e io mi ritroverei di colpo solo, abbandonato. E poi aveva detto che ero un tipo rissoso: beh, non aveva tutti i torti”.
“Tranquillo Felipe, mo’ al gruppetto degli antipatici mi so aggiunto pure io. L’avessi visto prima in classe: stessa cosa ch’è successa a te. Identica. Ti giuro che non ci crederesti.”
“Eddai racconta che so un tipo facilmente ansioso!”
“Beh, io aveva scritto il tema più bello, più completo: insomma aveva messo più roba possibile in poco, concentrato un po’ tutte quelle forme fighe, e la prof l’aveva pure letto davanti a tutti. Roba che non mi era mai successa, insomma. Chiello, però, aveva preso il voto più alto e ha cominciato a dirmi che la mia era solo fortuna, che a scuola non avevo mai fatto nulla per dimostrare quei voti, che ero un casinista di prima categoria che non ascoltava mai nessuno...ok, l’avevo ben fatto ed è innegabile, però perché doverlo dire davanti a tutti, che magari intanto se n’erano pure dimenticati…”
“Mario, forse siamo più simili di quello che pensiamo.”
“Oddio, spero di no…”
“Cosa dici?!”
“No nulla Felipe, continua pure!”
Ed entrambi scoppiarono a ridere di una risata improvvisa, naturale, di quelle che scaturiscono non tanto fra i veri amici quanto fra persone che si ritrovano a vivere una situazione simile. Una situazione che accomuna i più deboli in una lotta ideale contro chi è più forte e soprattutto credibile.

Felipe continuò a parlare, ma l’amanuense che scrisse questo manoscritto, purtroppo, l’ha scritto proprio male e non si capisce un emerito nulla. Perciò possiamo solo ipotizzare che pensarono a come fargliela pagare, o magari risero del più e del meno scherzando su chi fosse più brutto fra lui e il Giorgione.
Di fatto siamo sicuri solo di una cosa e per quella, beh, per quella ho fatto una ricerca filologica degna del miglior Petrarca: ho compreso che questo segno più quella lineetta più quell’altra cancellatura...beh, non interessa di sicuro a voi e non capireste, perciò vi dico solamente che Felipe e Mario non diventarono amici. Erano due persone troppo diverse, con due storie troppo diverse e con soprattutto un modo di intendere il calcio completamente diverso.
Uno era un bambinone, l’altro un macellaio. Uno provò a crescere, provò a prendersi le sue responsabilità, mentre l’altro rimase un macellaio.

Felipo invitò Mario a sbrigarsi per rientrare in tempo in classe ed evitare un’inutile sgridata. I due si incamminarono, ma quando furono sul ciglio della porta videro la professoressa, la signora Calcio, che stava sgridando il Giorgione per il suo comportamento.
“Ma ti sembra normale quello che hai fatto a Mario prima? Guarda che t’ho sentito da fuori Giorgio: adesso chiamo la Vecchia signora e vedi come t’aggiusta!”
“Nonono prof la prego non voglio finire sullo sgabello com’ha fatto con Leo, la prego!”
“Giorgio, sei sempre stato un alunno modello, ti sei sempre comportato bene, anche se dalla prof di ginnastica m’è arrivata una voce che sei un po’ aggressivo...eppure sei sempre stato molto sportivo, hai stretto sempre la mano ai tuoi avversari e li hai rincuorati dopo una sconfitta…
“PROF MI SA CHE NON HA CAPITO CHE È JUVENTINOOOOOO!!!”
“Ah silenzio Inter, capisco che non hai i voti di Giorgio però un po’ di contegno in classe lo devi mantenere. Comunque Giorgio, per questa volta mi sembra giusto chiamare la Vecchia signora. Lo faccio nel pomeriggio, intanto va’ a sederti al tuo posto.”

“Buongiorno prof e scusi il ritardo!” dissero Mario e Felipe volando in classe e sedendosi al posto con una mossa da navigati traceurs (coloro che praticano parkour, l’ho appena scoperto anch’io), mentre Giorgio, vedendoli, s’accendeva di brutto. Mamma mia che paura che faceva!
“Ragazzi, fa lo stesso, ma ora sedetevi che dobbiamo cominciare le interrogazioni di storia...allora, Felipe e Mario volete cominciare voi?”
Fra i due vi fu uno sguardo d’intesa, e nello stesso preciso istante dalle loro bocche sibilò lo stesso sibilante suono
“Sì prof!” dissero. Poi si alzarono e andarono davanti alla cattedra, rivolgendosi a tutta la classe.
“Allora ragazzi, come abbiamo sempre fatto scegliete l’argomento che v’è piaciuto di più e cominciate a parlare.”

Fra i due vi fu (eh sì, ancora) uno sguardo d’intesa, ma questa volta non dissero nulla nello stesso momento e partì Mario.
“Allora prof Calcio, oggi le volevo parlare del 2010, sa, quell’anno mica tanto bello per l’Italia però fighissimo per noi dell’Inter…”
“Mario, ti prego, cerca di usare il linguaggio che hai usato nel tema”
“Non è mica figliolo di dottore e se vede!” disse un Giorgio visibilmente alterato, con il naso che cominciava a fumare come una pietanza appena servita in tavola. E, in un certo senso, Mario aveva servito una pietanza caldissima. Mario non fece nemmeno caso a quello che disse il suo compagno di classe e continuò con la sua presentazione.
“Allora prof, correva l’anno 2010 e noi dell’Inter vinsimo...no scusi vincemmo il campionato, e poi la Coppa Italia e poi ancora la Champions League...o era il contrario...occavolo adesso non mi ricordo…”
“Fa lo stesso Mario, continua pure”
“E poi nulla, festeggiammo come non avevamo mai fatto. Però io, ho buttato la maglia a terra, non me ricordo nemmeno perché. So sempre stato un po’ agitato, però non è colpa mia. È che tutti m’hanno preso per modello, e di essere modello non c’avevo proprio voglia. Ok, so bello (basta che lo credi Marione) ed è innegabile scusatemi, guardate che bicipiti no?”
“Mario, non ce ne frega nulla dei tuoi bicipiti”
“Ha ragione prof, ma voleva rispondere a quello che m’ha detto prima Giorgio, se posso. L’ho sentita sgridarlo e volevo parlargli”
“Vai pure, però se venite alla mani ve meno io con due 3 che non tirate più su nemmeno se diventate miei cognati”
“Giorgio, non sono mai stato un santo di giocatore ed è innegabile che tu c’abbia ragione su questo. Eppure, da capitano, avresti sempre potuto dirmelo prima no? Dopotutto ce siamo scontrati chissà quante volte sul campo e, cavolo, inciampavo sempre sul tuo naso...spero solo tu non ti sia fatto troppo male…”
E la metà classe scoppiò in una risata clamorosa, mentre l’altra metà guardava torvo i due presentatori. Che poi, fino a quel momento, aveva parlato solo Mario, che tutto sommato era un ragazzo simpatico. Ma quando sarebbe intervenuto Felipe ne sarebbero accadute delle belle…
“Ora hai rivangato tutto. M’hai dato del bambinone, come se d’indossare l’azzurra non me ne fregasse nulla...Giorgio, eri il mio capitano, e me l’avresti pure potuto dire prima. Ora guardati, da grande secchia sei diventato il piccolo uomo.”
“Oh Mario, porca di quella...sta’ zitto e porta rispetto a Giorgio!” disse Gigi con la sua voce forte e profonda, andando a diffondere in tutta la classe uno sgradevole aroma di tabacco. Malboro direi.
Il resto degli amichetti del Giorgio, quelli del campo, cominciarono a difenderlo, ma la maestra intervenne subito.
“Ragazzi, ve sembra il modo d’agire? È palese che abbia torto, anche solo per aver seminato odio. Ora buoni che sennò ve piazzo un quattro e chiamo anche le vostre Vecchie signore eh, e non credo saranno molto felici di sentire quello che potrei dire…”

E con questa frase ad effetto, si zittirono subito. La paura di prenderle e di finire tutti sullo sgabello come Leo era reale. Oppure, ancor peggio, sarebbe potuti finire in castigo dal Diavolo, sempre come Leo.
Mamma mia il Diavolo! Un uomo che era stato famosissimo nella ridente cittadina di (eo purtroppo non si legge nel mio manoscritto), ma che negli ultimi anni si era ridotto a chiedere l’elemosina e a fare “l’educatore” dei bambini capricciosi. Anche Mario c’era passato, e mamma mia! All’inizio aveva fatto tanta di quella roba, poi il Diavolo l’aveva menato di brutto il figliolo!

Mario quindi si zittì, e lasciò parlare Felipe, che ringhiava. Eccome se ringhiava.
“Giorgio, non c’ho voglia di far giri di parole come Mario sai, e te lo dico direttamente: sei stato una testa di c***o, e non me lo aspettavo, devo dire la verità. Il figliolo del dottore, dopotutto. Il grande uomo, insomma. Capiamoci Giorgio: c’ho passato degli anni nella tua squadra, nella tua Juventus, che detta sinceramente mi sta sul c***o, perché so nerazzurro fino al midollo. Te fa rosicare questo, eh? La Champions, sai, ha un bel sapore. E io posso fregiarmi di tifare la squadra del triplete, tu, invece, devi sperare di vincerla. Senti, fatti un giro, respira, e vedi di darti una calmata perché sennò nella prossima partita vedi chi ti spacca...e sai che non me frega nulla del rosso.”
Lo disse con occhi di fuoco. Era una testa di c***o il Felipe, e non lo aveva mai nascosto.
E dato che il Giorgio aveva mostrato d’esserlo, voleva farlo pure lui. Occhio per occhi, dente per dente, naso per naso. Era cattivo il Felipe. E anche molto brutto. Sembrava un mastino infernale da arrabbiato, e Giorgio preferì non parlare. Mario e il suo compare si sedettero e la lezione proseguì.

A fine giornata, dopo una lunga ed estenuante lezione di religione, in cui tutti erano stati attentissimi (!), Giorgio si fermò all’ingresso della scuola, pensieroso. Aspettava qualcuno.
Quando vide Mario uscire lo fermò strattonandolo, e per questo il fermato si preparò con il pugno serrato. Accorse anche il Felipe, che stava per dare manforte al suo compare. Eppure non servì.
Giorgio si scusò, abbassando il capo per la prima volta. I suoi occhi s’inumidirono e pianse lacrime calde, sincere. Felipe e Mario lo guardarono e gli tirarono una pacca sulla spalla.
I tre si guardarono negli occhi: non, non sarebbero mai diventati amici. Era troppo diversi. Eppure erano diventati uomini.
Si incamminarono in tre direzioni diverse, con il Papu che li guardava dalla finestra delle scale. Era ancora incastrato nella coda per scendere le scale.
“Il bello, il brutto e il cattivo, che è anche brutto tra l’altro” disse.


Questa “commedia”, se tale si può definire, non intende in alcun modo offendere nessuno, ma vuole semplicemente far sorridere e soprattutto riflettere. I termini volgari utilizzati, opportunamente censurati, e gli sbagli grammaticali vogliono essere un tentativo di rendere la narrazione quanto più realistica e non intendono in alcun modo essere realmente collegabili ai personaggi, che, sottolineo, non conosco personalmente.
Concludo questo lungo e palloso disclaimer sperando che la lettura sia stata di vostra gradimento e per qualsiasi critica vi invito a commentare.
E poi mi appello alla locuzione “satira tota nostra est”.

Grazie dell’attenzione

Federicoz